| ringrazio di nuovo tutti per i commenti. sebbene l'eccitazione che mi guida a scrivere questa storia sia altissima, i vostri apprezzamenti giocano un ruolo fondamentale sulla mia volontò di continuarla
ecco a voi il nuovo capitolo! Buona lettura!
CAPITOLO 3 Decisi di accorciare il più possibile la mia sofferenza e di impegnarmi al massimo delle mie forze per compiacere la volontà della mia Dea. Puntai i piedi nel terreno e cominciai a tirare vigorosamente. I primi metri sono sempre i più duri perché bisogna smuovere la macchina ancora ferma, ma appena le ruote stavano per cominciare a girare ecco che ZAAAAPP! e una scossa mi fece bloccare dal dolore, vanificando tutti i miei sforzi. Inutile dire che Ludovica scoppiò subito a ridere “Che c’è mezza sega? Non riesci a fare nemmeno un metro? Ahahaha! Dovrai impegnarti di più!!”. Feci altri tentativi, ma ogni volta la storia si ripeteva la stessa situazione e io non riuscivo a smuovere l’auto nemmeno di un centimetro e, dopo la sesta scossa consecutiva in pochi minuti, caddi pesantemente prima sulle ginocchia e poi sulle mani. “Ti muovi o no? In piedi schiavo! Guarda che se scendo sono dolori seri, ti farei rimpiangere 10 minuti di scosse ininterrotte!”. La mia odissea non era nemmeno cominciata e già ero al limite delle mie forze, ma,un po’ perché spaventato dalle sue parole, un po’ perché non volevo deluderla, mi rialzai di scatto e, dando un forte strattone, riuscii a mettere in movimento la moderna carrozza. Dopo i primi metri, in cui mi aiutai anche piantando le mani nel terreno, lo sforzo diminuì sensibilmente e l’andatura si fece regolare e “spedita”; dopo tutto avevo 10km da percorrere e, sebbene fossero le 2 di pomeriggio, avrei impiegato molto tempo a compiere la traversata, perciò avrei dovuto sbrigarmi per essere a casa entro l’ora di cena. Ludovica era comodamente sdraiata sul tettuccio dell’auto, con un sorriso stampato sul viso che non riusciva a mandare via: era soddisfatta, si sentiva bene…infliggere sofferenza la faceva sentire bene e aveva finalmente capito che a quella sensazione non avrebbe mai più rinunciato. Al piano inferiore invece le cose non andavano così bene, infatti, anche se a livello psicologico le mie sensazioni erano molto affini alle sue, poiché anch’io non avrei più voluto rinunciare al suo dominio su di me, a livello fisico iniziavano a manifestarsi i primi problemi. Ogni passo era sempre più faticoso, le vene pulsavano nel mio corpo, il viso era completamente rosso e una doccia di sudore aveva ricoperto le mie membra. Più combattevo per avanzare, più le corde che si intrecciavano sul mio petto e sulle mie spalle affondavano nella carne, ricoprendo la mia pelle di abrasioni e lividi, ma tutto ciò no sembrava turbare minimamente Ludovica che, come si accorse di un impercettibile rallentamento dovuto alla mia evidente stanchezza, non si fece nessuno scrupolo ad infliggermi un’impietosa scarica elettrica. “Pietà ti scongiuro, non posso continuare, non ce la faccio, davvero…sono stremato” e nel dirlo mi girai verso il cofano della macchia e cominciai a leccare le suole delle sue splendide decolté sperando che un briciolo di compassione la guidasse in direzione della mia salvezza. Ancora adesso mi stupisco della mia stupidità: Ludovica non conosceva la pietà! Non so per quanto tenne il dito sul pulsante che aziona il collare, fatto sta che caddi a terra semi svenuto e ci misi qualche minuto per riprendermi. “Quando il signorino ha finito di fare il suo riposino di bellezza potremmo ripartire?” disse in tono tra lo scherno e il seccato “Avanti , non sto scherzando vedi di muoverti pezzente, sto iniziando ad avere caldo stando ferma qui, voglio un po’ di brezza tra i miei capelli e sai che ciò che voglio lo ottengo, anche a costo di calpestare il tuo corpo morente ahahahah!”. Non sapevo più cosa fare, quindi feci semplicemente ciò che mi era stato ordinato e ricominciò il mio supplizio. Era una calda giornata di giugno e per di più era pieno pomeriggio. Il sole scagliava i suoi raggi con la massima intensità , senza pietà, tanto che fantasticai addirittura che fosse anche lui soggiogato a Ludovica e che lei, con il suo potere, potesse usarlo per infliggermi ancora più sofferenza. Volontà sua o meno il sole rimaneva cocente e ben presto prosciugò tutte le mie forze, ero pericolosamente disidratato credo. Rallentai di nuovo, ma questa volta nemmeno le terribili scosse riuscivano a risvegliare le mie forze: “ACQUA…A-ACQUA…ho bisogno di a-c-qua…ti supplico a-c-q-ua…”. Se non avessi avuto la vista così annebbiata dal caldo atroce e il cervello sconnesso per lo sforzo che stavo compiendo e fossi riuscito a vedere l’incarnazione del sadismo che si impossessava di Ludovica quando menzionai quella parola, sicuramente non avrei gioito nel sentire la sua risposta: “Acqua? Perché no?! In fondo anche alle bestie più spregevoli non si nega qualche sorso d’acqua ogni tanto”. Mi precipitai davanti al paraurti a quattro zampe per farle da scalino e permetterle di scendere. Ovviante nel farlo non risparmiò la sua consueta attenzione a piantarmi nella maniera più dolorosa possibile i tacchi nella schiena, ma non mi importava e appena poggiò i piedi a terra mi precipitai a baciarglieli e a ringraziarla. “Eh no! Non basta questa volta! Ci ho riflettuto un po’ e ho concluso che da ora in poi dovrai baciare anche la terra su cui cammino!”. Riuscivo a pensare solo alla mia sete e così iniziai a baciare il sentiero sterrato in corrispondenza dell’orma lasciata dalle sue scarpe dopo ogni passo che fece per dirigersi verso il bagagliaio, ignorando anche il fatto che la terra secca su cui posavo le labbra asciugava sempre di più la mia gola. Prese una bottiglia d’acqua che tenevo sempre in macchina in caso di necessità e un recipiente di plastica simile ad un piccolo catino. Il mio sguardo divenne perplesso quando la vidi allontanarsi una cinquantina di metri oltre il muso della macchina, posare la bacinella e riempirla d’acqua. Tornò indietro e mi fece posizionare davanti all’auto, ma questa volta non più in piedi, bensì a quattro zampe. Si tolse le scarpe infilandomi il tacco della prima in bocca e posizionando la seconda in bilico sulla mia schiena, così che le sorreggessi entrambe. e disse: “Non avrai mica ceduto che ti avrei fatto bere senza prima guadagnartelo? Sono così magnanima che ti permetto di bere, però dovresti sapere che tutto in questo mondo ha un prezzo e per i pezzenti come te è giusto che anche le cose più semplici costino immensi sacrifici ahahaha! È semplice: devi solo raggiungere la bacinella….trainando la macchina….a quattro zampe, come la bestia da soma che sei…..e senza osare far cadere le mie scarpe è chiaro?! Ahahahah!!”. Sbarrai gli occhi e iniziai a piangere, o almeno ci tentai visto che ero talmente assetato che non avevo più liquidi nemmeno per le lacrime. Il segnale di partenza fu l’ormai consueta scossa, a cui ora rispondevo come un animale ammaestrato, ma già quella rischiò di farmi cadere entrambe le sue scarpe: quella sulla schiena per il brusco contrarsi dei muscoli sottoposti all’elettricità, quella in bocca poichè stava automaticamente per uscire un urlo di dolore, che prontamente soffocai sul nascere. La macchina non si spostava di un millimetro perché nella posizione in cui mi trovavo la quantità di forza applicabile era decisamente inferiore che stando in piedi. Le ginocchia cominciarono a slittare sul terreno, lacerando dapprima i sottili jeans estivi che indossavo e successivamente la mia pelle. Gocce rosse iniziarono ad espandersi sotto di me, sgorgando da dolorosissimi tagli che si erano aperti lungo tutta l’articolazione, ma almeno questo sforzo produsse un qualche risultato, perché la macchina cominciava a muoversi. Arrancavo strenuamente verso la tanto agognata meta, soffrendo come un disperato ogni volta che una delle mie ginocchia poggiava per terra e nel continuo timore che in tutto questo sforzo facessi scivolare accidentalmente una delle preziose scarpe di Ludovica. Già…Ludovica; dov’era Ludovica in tutto questo? Era di fianco a me che, scalza, seguiva il mio andamento sciancato e sofferente con un’espressione oltremodo divertita, come se stesse assistendo ad uno sketch comico di qualche cabarettista. Il mio ritmo, per quanto lento e goffo, era divenuto più regolare, forse anche per merito delle “scosse di incitamento” (come aveva deciso di chiamarle) che la mia Dea mi infliggeva lungo tutto il percorso. Quest’andamento regolare però la disturbava e il suo innato istinto da padrona sadica la spinse ad agire per rimescolare di nuovo le carte. Prese la scarpa che stava sulla mia schiena e me la cacciò violentemente in bocca a fare compagnia alla sua gemella, poi, con un balzo, mi salì in groppa atterrando pesantemente sulla mia spina dorsale. “Ti piace vincere facile tu lì sotto vero? Volevi prendermi in giro fingendo che fosse un compito difficile? E ora come la mettiamo? Ahahah”. Sebbene fosse magra da far invidia ad una modella, in quel momento il suo peso sembrò vicino a quello di un tir venuto a parcheggiare proprio sulla mia schiena. Lo sforzo divenne insopportabile, il cuore aveva deciso che di lì a breve avrebbe fatto una capatina a prendere un po’ d’aria schizzandomi direttamente fuori dal petto, senza contare le braccia che volevano cedere sempre di più istante dopo istante e le ginocchia, che ormai avevano iniziato a lasciare dietro di me due righe parallele rosse e continue, tanto che sembrava avessero deciso di dipingere le linee stradali anche in aperta campagna, mandavano fitte atroci e strazianti. L’obbiettivo, l’acqua, la necessità, ciò fu quello che mi spinse ad arrancare in preda alla sofferenza più assoluta, ignorando anche le risate di scherno di Ludovica che si erano fatte più intense e che ora erano accompagnate da tallonate sulle mie guance per spronarmi ad andare più veloce. Sembrava una bambina la prima volta che saliva su una giostra: la sofferenza, il potere, la totale adorazione nei suoi confronti la facevano sentire bene, la soddisfacevano, la rendevano speciale e ciò la incitava ad alzare sempre di più l’asticella della crudeltà, che ora sembrava non avere più nessun limite. Finalmente, dopo uno sforzo titanico, oltre il limite delle umane possibilità, arrivai ad avere la bacinella d’acqua sotto il mento. Ce l’avevo fatta, vedevo sotto di me quel liquido cristallino che risplendeva come un diamante raro ad ogni piccola increspatura colpita dal sole. Istintivamente cercai di tuffarmici letteralmente dentro con il viso, ma Ludovica mi afferrò per i capelli prima che potessi farlo, tirandomi violentemente all’indietro: “Nessuno ti ha insegnato l’educazione in quella stalla dove vivi? Prima le signore! Non ci arrivi che dopo aver camminato scalza i miei piedi sono completamente ricoperti di fango? E tu vorresti addirittura rubarmi l’acqua con quella bocca ingrata prima che io possa lavarli? Dopo quest’affronto non meriteresti nemmeno di bere, dovrei continuare a sfruttarti fino a vederti stramazzare al suolo privo di vita! Ahaha !!! Ma ormai mi conosci, io sono troppo buona con te - lo disse con un evidente tono di scherno – infatti, al posto di puniti, ti farò addirittura un regalo!” e nel dirlo, rimanendo fermamente seduta sulla mia schiena, immerse i piedi nell’acqua che, lungi dal rimanere cristallina ed invitante, si trasformò all’istante in una brodaglia marrone piena di terra e resti vegetali. Il pediluvio durò una decina di minuti, con il suo peso che continuava a gravare sulle mie membra sfinite. Quando fu soddisfatta ritrasse a se i piedi e, dopo esserseli asciugati sulla mia maglia, estrasse le scarpe dalla mia bocca e se le infilò. “Prego è tutta tua!! Goditela perché quella è un’acqua particolare, è acqua santa, santificata dal contatto con i miei sacri piedi! Non ti basterebbe una vita per ringraziarmi di ciò che ti ho donato!!ahaha”. Quanto la divertiva vedere uno schiavo ai suoi piedi pronto a bere un miscuglio disgustoso, intriso della sporcizia dei suoi piedi e che l’avrebbe addirittura ringraziata per questo! L’aspetto era terribile, ma dopo tutto ciò che avevo passato per ottenerla e dato il mio estremo bisogno di assumere liquidi, affondai il viso in quel catino e cercai di bere tutto il possibile. Sorso dopo sorso mi persi a rimuginare su ciò che mi aveva detto Ludovica e mi sentii veramente una sensazione gratitudine per avermi concesso di bere quell’acqua così arricchita. Non so se fu il mio troppo pensare, o il fatto che nemmeno una bestia sarebbe riuscita a sopportare ciò che avevo sopportato io, o addirittura che in tutto questo a Ludovica non era passata nemmeno lontanamente nella testa l’idea di scendere dalla mia schiena, anche mentre, con fatica, cercavo di abbeverarmi; fatto sta che le mie braccia cedettero di schianto e caddi di testa nel catino, che si rovesciò e con lui l’ultimo goccio d’acqua che non ero ancora riuscito a bere. “E’ così che mi ringrazi? – tuonò fuori di sé Ludovica - Rovesciando l’acqua che ti concedo di bere?! Schifoso ingrato!” e così dicendo si alzò di scatto, mi conficcò il tacco in mezzo alle scapole, ruotandolo con furia, tanto che aprì una ferita da cui scese un rivo di sangue e contemporaneamente prese dalla tasca il telecomando iniziando a premere il bottone a più non posso, in preda all’ira più ardente. Io (o ciò che rimaneva di me) iniziai a contorcermi in modo macabro sotto il suo piede, urlando e dibattendomi come un disperato, ma tutto ciò non fu abbastanza per farla fermare. Dopo un paio di minuti, che furono per me di assoluta sofferenza, fortunatamente si calmò e dalle mie labbra, in uno stato di semi incoscienza, sussurrai: “p-p-p-i-et-t-aaa…”. “Bevi! -fu la risposta, secca e spietata, in modo quasi totalmente distaccato -succhia l’acqua dal terreno fino all’ultima goccia e poi ringraziami come si addice ad un verme come te”. Piegai il capo ed eseguii ciò che mi era stato ordinato, poi mi girai e con riverenza e sottomissione leccai le scarpe alla mia Padrona.
Questo pezzo mi sta venendo abbastanza lungo quindi ho deciso di postare per ora solo fino a qui. Il prosieguo è già in cantiere: sta a voi dirmi se è il caso di postarlo o no. Aspetto vostri commenti con ansia!
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