Sire del Loto Bianco Forum BDSM & Fetish

Posts written by Mr.teef

view post Posted: 21/5/2014, 14:06     Berlino 1936 - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
davvero intrigante!! continualo al più presto!!
view post Posted: 16/5/2014, 11:52     La spietata Ludovica - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
Grazie ancora per i commenti!!! Scusate ma sono sotto maturità e tra tesine da preparare e interi programmi da studiare non ho tempo per scrivere...appena sarò più libero posterò sicuramente un nuovo capitolo...fino ad allora stay tuned!!
view post Posted: 22/4/2014, 03:48     +3La spietata Ludovica - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
scusate il ritardo, ma tra viaggi, pasqua e la preparazione per la maturità ci ho messo un po'. per farmi perdonare ho scritto un capitolo un po' più lungo...

ringrazio come sempre per i magnifici commenti (ho cercato anche di seguire i vostri consigli riguardo la narrazione) e vi auguro buona lettura

CAPITOLO 5
Passarono diverse ore, perché quando riacquistai sensi il crepuscolo era ormai inoltrato. Ero completamente incapace di muovere qualsiasi muscolo, solo i polmoni sembravano ancora funzionare, infatti respiravo affannosamente, tanto che ad ogni boccata, vedevo rotolare sassolini intorno al mio viso. Rimasi in quella posizione, inerme, per una decina di minuti, poi cercai di strisciare verso gli alberi sul retro della stazione di benzina, per non essere visto dagli eventuali automobilisti che rifornivano i propri serbatoi. Giunto alla mia meta, con la schiena ancora grondante di sangue ed un solo occhio in grado di vedere, poiché l’altro era tanto gonfio da impedirmi di aprirlo, caddi in un sonno profondo.
Mi svegliai alla alba e decisi di raccogliere le mi membra e riportarle verso casa. Non potevo tornare dai miei, come avrei potuto spiegare il fatto che ero rimasto fuori tutta la notte e che inoltre non avevo addirittura chiamato per avvisarli? Decisi di andare nell’unico posto in cui aveva senso tornare, fu così infatti che mi diressi verso casa di Ludovica. Infondo la mia macchina era lì, i miei la conoscevano quindi non si sarebbero fatti problemi se gli avessi detto che avevo passato la notte lì e, riguardo il cellulare, potevo dire di averlo perso. Mi sollevai da terra, il sangue incrostato ora tirava tutta la pelle e le ferite lanciavano scariche di dolore al limite dell’insopportabile. Non so per quanto camminai, ma verso mezzogiorno arrivai a casa della mia Dea.
Non avevo il coraggio di suonare il campanello, nella ma testa si affollavano troppi pensieri, non sapevo nemmeno se volevo davvero tornare nelle mani di quella ragazza, dopo che lei aveva abusato del mio corpo in maniera così barbara e spietata.
La prima soluzione che mi venne in mente fu quella di trovare un posto dove stare, per poter almeno recuperare qualche energia e decisi di nascondermi nell’ampio giardino di casa sua. A fatica scavalcai la recinzione e mi nascosi tra i cespugli. Notai che nella casa vigeva il silenzio più totale, nei box mancava l’auto di famiglia e nessuna figura si intravedeva dalle finestre. Realizzai in quel momento che era sabato e perciò i genitori di Ludovica, come erano usi fare, avevano deciso di trascorrere il weekend all’isola d’Elba, dove possedevano una casa di villeggiatura. Potevo finalmente rilassarmi un po’ senza che nessuno si accorgesse della mia presenza. Sapevo però che Ludovica non amava quest’usanza famigliare e che molto probabilmente era rimasta a casa, anzi, ne ero certo poiché in quel momento vidi la finestra di camera sua spalancarsi. Mi nascosi istintivamente per non essere visto e riuscii pienamente nel mio intento. Quando il pericolo di essere scoperto era ormai passato raccolsi un mucchio di foglie, mi feci un giaciglio tra i cespugli e lì caddi di nuovo in un sonno profondo. Mi svegliai verso l’ora di cena, o almeno così credevo poiché il mio stomaco rantolava in maniera sinistra. Avevo fame, molta fame, ma di certo non potevo tornare a casa ridotto in quello stato, con la schiena ricoperta di sferzate sanguinolente ed un occhio macellato, inoltre non avevo un soldo, ne per comprarmi dei vestiti che non fossero lacerati, ne tantomeno per comprarmi da mangiare. Mi restava un’unica possibilità: entrando in cortile infatti, notai che la cuccia di Bobby era vuota e all’inizio avevo pensato che fosse nei paraggi, a schiacciare un pisolino all’ombra di qualche albero magari, ma non avendolo visto per tutto il pomeriggio conclusi che era partito insieme alla famiglia. Mi avvicinai di soppiatto al riparo canino e vidi, in un misto di gioia e ribrezzo, che la ciotola in cui mangiava era ancora piena. Fu una cosa apparentemente strana, infatti, perché, se il cane era partito con la famiglia, la sua ciotola era stata riempita? Le mie forze, però, erano al limite ed era ormai un giorno e mezzo che non toccavo cibo, quindi non mi feci troppe domande. L’odore nauseante del pappone provocava dei conati nella mia gola difficili da trattenere, ma quella era la mia unica speranza. Misi da parte l’ultima briciola di orgoglio che mi era rimasta e cercai di vincere il ribrezzo che quel cibo provocava in me, mi inginocchia, mi misi a quattro zampe e, nel culmine dell’umiliazione, mi gettai con la faccia nella ciotola, come un cane famelico. Divorai tutto ciò che stava nel contenitore e, non contento, bevvi anche dalla ciotola dell’acqua, sempre a quattro zampe, come gli animali. Infine, invaso completamente dalla vergogna, ma con lo stomaco finalmente pieno, mi raggomitolai nella cuccia e decisi di passare li la notte. La temperatura era calata di molti gradi in poco tempo, un forte vento spazzava il cielo e la terra, tanto che passai tutto il tempo in preda ai brividi, dormendo ben poco. Solo verso mattina l’aria si fece di nuovo tiepida, motivo per cui riuscii ad addormentarmi.
Per quanto fosse scomodo dormire su assi di legno, raggomitolato in posizione fetale, non potei lamentarmi più di tanto del riposo, ma fu il risveglio che mi lasciò senza parole. Sentii infatti un forte strattone al collo che quasi mi lasciò senza fiato e che mi fece andare di traverso la saliva. Cominciai a tossire violentemente e, quando gli spasmi passarono, riacquistando piano piano la vista, annebbiata dalle ore di sonno, vidi di fronte a me il viso radioso di Ludovica. Nella mano destra reggeva fermamente un guinzaglio, che subito notati essere agganciato al mio collo e, sfoggiando un sorriso radioso, disse: “Dormito bene Bobby?”. Il sangue mi si gelò nelle vene, non ero riuscito a passare inosservato, anzi lei sapeva tutto e non solo, aveva addirittura previsto tutto. “Dovevi essere affamato ieri, ho visto come hai divorato tutta la pappa che ti lasciato ahahahah!”. Ormai era sempre un passo avanti a me, mi leggeva dentro, per lei ero un libro aperto: sapeva che sarei venuto da lei nonostante tutto, sapeva che avrei avuto fame e aveva deciso di infliggermi un’ulteriore umiliazione, sapendo che mi sarei piegato a mangiare il cibo riservato alle bestie. Il suo ghigno trionfante mi sovrastava e, avendola vista di buon umore, dato che era riuscita nel suo perfido intento, sperai di muoverle un minimo di pietà e, ansimando come un vero cane, iniziai a leccarle le scarpe. “Ma guarda che bravo cucciolotto che fa le feste alla sua padrona!” disse accarezzandomi la testa con insolita gentilezza. Cercai di godermi a pieno quel momento, infatti stavo giustamente onorando la mia dea come meritava e lei sembrava soddisfatta, tanto da “coccolarmi” mentre lo facevo…cosa potevo volere di più?
La mattinata trascorse tranquilla, infatti Ludovica aveva deciso di trattarmi esattamente come il suo cane, divertendosi a lanciare oggetti, che puntualmente dovevo riportarle. Mi diede solo qualche calcio, ma solo quando davvero lo meritavo, ad esempio se facevo cadere qualcosa dalla mia bocca nella foga di correre a quattro zampe ai suoi piedi, o se per caso, riportando qualche oggetto lanciato molto lontano, impiegavo più di una frazione di secondo (non è giusto infatti che una Dea come lei sprechi inutilmente qualche istante della sua esistenza per colpa di un insulso schiavo).
Tra un gioco e l’altro però si fece ora di pranzo, quindi Ludovica afferrò con decisione il mio guinzaglio e, con passo spedito, mi portò dentro casa. Mi condusse in sala da pranzo, mi fece accucciare di fianco alla sua sedia e si mise a tavola. Il cibo era già pronto, glielo avevano lasciato i suoi prima di partire, così iniziò a mangiare. Morivo di fame ma, non osai chiedere una briciola, finché, ad un certo punto, Ludovica si bloccò qualche secondo, poi disse: “Che sbadata!! Non ti ho dato nulla da mangiare!! Toh verme!!” e così dicendo lasciò cadere un boccone di lasagna a terra, calpestandolo prontamente con le proprie Stan Smith bianche immacolate. Non potevo rifiutare quell’orrido boccone, sia per la troppa fame, ma soprattutto per non disobbedire alla mia padrona e così leccai avidamente la suola della sua scarpa intrisa di cibo, cercando di raccoglierne il più possibile. Il sapore amaro della sporcizia che aveva calpestato era disgustoso, ma nonostante ciò rimossi fino all’ultimo pezzettino di ragù intrappolato nelle scanalature della suola. Avevo finito di gustare il mio boccone e mi stavo leccando i baffi, quando una tallonata violenta colpì la mia nuca, facendomi sbattere con forza il viso sul pavimento. La botta fu allucinante: “non so come sei abituato nella stalla in cui vivi, ma qui sei in una casa, la mia casa e il pavimento deve essere immacolato!! Forza verme lecca, lecca per bene, non deve rimanere nulla hai capito?!”. Non appena mi ripresi cominciai a strofinare la lingua sul lucido marmo della sala da pranzo, rimuovendo colpo dopo colpo, strisce di cibo e polvere dalle piastrelle.
Mentre leccavo però, Ludovica abbassò lo sguardo, dalla sua posizione infatti poteva vedere benissimo la mia schiena e con fare divertito disse: “Guarda un po’ come ti ho ridotto, sembri come quei muli da soma che, essendo creature così umili e rivoltanti, si meritano solo nerbate fino alla morte ahahaha!!! Anzi sai cosa ti dico, non solo si meritano nerbate, ma devono anche ringraziare chi spreca il proprio tempo prezioso a massacrarli!! Avanti, ringraziami!!” “Grazie padrona per aver sprecato il suo prezioso tempo per lacerare il mio indegno corpo!” “Ahahahaha!!”. Tutto mi aspettavo tranne ciò che fece dopo quella sadica risata: aveva infatti preso una boccetta di sale dalla tavola e, non contenta delle ferite che mi aveva inferto, rovesciò il contenuto su tutta la mia schiena. Lanciai un urlo, le lacrime colarono dai miei occhi senza che potessi controllarle, il dolore era straziante, ma evidentemente alla mia Dea non importava minimamente, infatti anche lei si era messa a piangere, sì…ma dalle risate! Non mi sembrava vero che dopo tutto ciò che mi aveva fatto, dopo tutta la lealtà che le avevo dimostrato, dopo tutte le umiliazioni che mi aveva inflitto, potesse comportarsi così, però era troppo bella, troppo superiore, troppo perfetta e quindi poteva permetterselo. “Pensavo fosse un po’ insipido il pavimento così com’era, non ti dispiace vero se l’ho insaporito un pochino?! Ahahahaha”.
La ragazza gentile e affettuosa che si era presentata al mattino era definitivamente scomparsa.
Finito di pranzare mi trascinò senza molti complimenti verso camera sua, lasciandomi lì da solo per qualche minuto. Tornò qualche istante dopo e notai che si era completamente cambiata. Non indossava più gli shorts colorati e la canottiera di prima: ora infatti portava un top nero di pelle, che lasciava intravedere gran parte del ventre piatto e modellato da anni di palestra, culottes abbinate, capelli raccolti e stivali di pelle nera al ginocchio, con la punta arrotondata, un leggero plateau e tacchi d’acciaio che si assottigliavano sempre più verso al pavimento, tanto che, più che parti di una calzatura, sembravano due armi.
La visione di lei in quella veste era allo stesso tempo spaventosa e paradisiaca, i capelli raccolti, inoltre, le davano un tono così sofisticato e crudele, che imponeva sottomissione incondizionata solo a guardarla. Ero quasi commosso dalla sua bellezza, ma a tanta bellezza corrispondeva altrettanto sadismo.
Mi mise a quattro zampe, avvicinò la sedia e appoggiò le gambe anteriori di essa sul dorso delle mie mani, poi con noncuranza si sedette, infilzandomi le mani con le gambe della sedia, poi piantando i tacchi acuminati nelle ferite sparse sul mio dorso e, infine, accese la sua canonica sigaretta. Non sto nemmeno a descrivere quanto male facesse quella posizione, quanta sofferenza potesse infliggermi semplicemente stando seduta comoda sulla sedia, usandomi come poggiapiedi e soprattutto con quanta indifferenza faceva tutto ciò. Faticavo a resistere in quella posizione infernale e il tempo che ci mise a finire di fumare mi sembrò davvero interminabile, preso com’ero a combattere contro la folle sofferenza della sedia che cercava di trapassarmi le mani e i tacchi che riaprivano gli squarci che stavano lentamente rimarginandosi.
La sua voce ruppe il silenzio: “Tu faresti tutto per me? Anche se questo comporterebbe conseguenze pericolose? Anche se decidessi di esagerare? Anche se perdessi il controllo? Allora pezzente…quanto saresti disposto a sopportare?”. Ero spaventato, veramente e tutto il male che mi stava causando in quel momento mi rendeva ancora più difficile rispondere, poi però mi tornò alla mente quanto fosse dannatamente bella, mi tornò in mente l’emozione della prima volta che la vidi, l’emozione della prima volta che mi rivolse la parola e l’emozione di quando la mia lingua toccò per la prima volta le sue scarpe impolverate, consegnandomi di fatto a lei per sempre e ciò mosse la mia anima. “Io non sono niente, non sono nemmeno degno di baciare il terreno su cui cammini, di leccare la sporcizia sotto le suole delle tue scarpe, di vivere nel tuo stesso mondo, di condividere la stessa aria e calpestare la stessa terra. Tu sei tutto, sei la perfezione e pertanto non posso essere io a decidere, sei tu, è il tuo volere che ha valore assoluto per me. Non importa ciò che pensa un lurido verme come me, fai di me ciò che ritieni opportuno!”
I suoi occhi si illuminarono e le sue membra si rilassarono di colpo, come quando si entra in una vasca d’acqua calda dopo una gelida giornata d’inverno. Aveva raggiunto il potere assoluto, il controllo totale su un atro essere umano, che ora era disposto a sacrificarsi solo per un suo capriccio….era una sensazione impagabile!
Fece l’ultimo tiro di sigaretta, poi si alzò in piedi gettando a terra il mozzicone ancora fumante. Un solo gesto con l’indice mi fece capire che dovevo mangiarlo, e così feci.
“Dopo ciò che hai detto forse non meriti di essere trattato proprio come un cane! Sai ultimamente ho avuto un po’ nostalgia della mia infanzia, di ciò che facevo, di ciò che sentivo, delle sensazioni che provavo. Mi ricordo che il mio gioco preferito era un vecchio cavallo a dondolo, era così bello, ma poi andò perso nel trasloco. Ho deciso che voglio provare ancora quella felicità e spero che ti riterrai particolarmente fortunato nel sapere che tutto ciò sarà possibile grazie a te! Non sei contento? Ora non sei più ridotto alla stregua di un’umile cane, bensì tu ora sarai una bestia di alto rango, sarai addirittura un cavallo! Vedi quanto sono magnanima con un lurido verme come te?!”. Non sapevo cosa aspettarmi da tutto ciò, so solo che in quel momento mi gettai ai suoi piedi colmo di riconoscenza e le baciai gli stivali con devozione.
“Baciali, baciali con passione, mostra la tua sottomissione…fintantoché ne sei ancora in grado” e così dicendo mi indicò una particolare struttura che stava alle mie spalle: due mezze lune di legno unite con delle sbarre trasversali formavano una specie di U basculante in fondo alla stanza. Su ogni mezza luna vi erano due piccole pedane quadrangolari sormontate da piccole punte d’acciaio. “Immagino tu abbia capito di cosa si tratta vero? Tu sei il cavallo…e quello è il dondolo! Ahahaha!!! Avanti ora mettiti a quattro zampe poggiando su ogni pedana rispettivamente una mano e un ginocchio per lato…non hai idea di cosa ti aspetta!”. Tremavo, sapevo di essere spacciato, ma ormai avevo pronunciato quelle fatidiche parole e per di più erano anche parole scaturite dal profondo, motivate. Il mio destino era segnato e quindi, con riluttanza mi posizionai sopra quell’attrezzo infernale. Subito le punte perforarono la mia carne, straziandomi dal dolore e bloccandomi così in quella posizione. Per qualche secondo non vidi più Ludovica, ma quando riapparve capii che sarebbe davvero finita male. Aveva infatti indossato dei pesanti guanti di pelle per proteggere le sue tanto delicate quanto spietate mani, imbracciato un frustino e nella mano destra reggeva un rotolo di filo spinato.
“Da qui non si scappa più! Ahahaha” e così dicendo avvolse il filo spinato attorno alle mie gambe e alle mie mani, assicurandomi permanentemente alla struttura di legno. Grugnii e urlai, in preda alle lacrime e al dolore quando ogni centimetro d’acciaio acuminato entrava in contatto con la mia pelle, lacerandola. La crudeltà negli occhi di Ludovica aumentava ogni secondo. Prese da un angolo della stanza una pesante sella, la fece cadere di schianto sulla mia schiena ormai completamente dilaniata, assicurò la cinghia sotto il mio stomaco poi, inspiegabilmente, si diresse verso la sua scrivania e si sedette sulla sedia da ufficio posta di fronte. Rovistò un po’ tra gli scaffali e infine afferrò con decisione un cofanetto. Nel momento in cui lo aprì lanciò un’occhiata maliziosa verso ciò che rimaneva di me: dalla scatola infatti, fecero capolino due speroni d’oro massiccio, affilati come rasoi e splendenti come gioielli. Sbarrai gli occhi e, in preda al panico, cercai di divincolarmi freneticamente, nel vano tentativo di liberarmi. Ero pervaso da puro terrore e ora rimpiangevo ciò che avevo fatto, ma il filo spinato e le punte d’acciaio la pensavano diversamente, obbligandomi, non solo a rimanere in quella trappola disumana, ma aprendo anche impietose ferite all’aumentare del mio dimenarmi.
Dal canto suo Ludovica indossò gli speroni con tutta calma, godendosi ogni momento, e infine, alzandosi con aria solenne e sorriso intriso di puro sadismo, si diresse verso di me. I miei occhi supplicavano, ma non c’era pietà in quella ragazza. Mise il primo piede sulla staffa sinistra e, con un guizzo, si issò su di essa. Rimase qualche secondo in quella posizione, giusto per assicurarsi che le punte d’acciaio sotto il mio ginocchio sinistro affondassero nella carne fino all’articolazione. Lanciai un grido disumano, che continuò finché Ludovica non decise di montare completamente in sella, infliggendo all’altro ginocchio lo stesso trattamento. Come ciliegina sulla torta, infine, prese l’ultimo pezzo di filo spinato che era avanzato e, con un movimento secco, lo fece passare attorno agli angoli della mia bocca, facendone così delle briglie. Le punte si conficcarono nelle mie guance, nelle labbra e nelle gengive, ricoprendo il mento con un fiotto di sangue.
Completata la preparazione, Ludovica diede finalmente un colpo con i sanguinari speroni sulle mie cosce e iniziò a cavalcare. “Avanti, avanti, galoppa lurida bestia, sbrigati!” . Ribadiva ogni parola con colpi di speroni e strattoni alle “briglie”, senza preoccuparsi minimamente che ogni suo movimento causava in me una sofferenza disumana. A ogni colpo di sperone la pelle si squarciava, sangue usciva dalle cosce, dalla bocca, dalla schiena a contatto con la sella, dalle mani e dalle ginocchia e, nonostante tutto ciò, Ludovica continuava ad incitarmi con colpi ripetuti, aggiungendo anche delle nerbate con il frustino. La sua furia continuò per svariati minuti, riducendo il mio corpo seviziato, al limite dell’umana sopravvivenza. All’inizio latravo come un animale per il dolore, piangendo, singhiozzando, disperandomi per ciò che stavo subendo, per un capriccio della mia dea, che senza alcuno sforzo, anzi divertendosi, mi stava lentamente torturando allo stremo; poi piano piano, smisi di emettere suoni poiché, raggiunto il limite massimo di sofferenza, iniziai lentamente a spegnermi.
Le mie condizioni erano critiche, ma anche Ludovica, che se ne era accorta, aveva rallentato il ritmo per permettermi di rimanere cosciente e prolungare così la mia agonia.
Infine, quando fu soddisfatta, si fermò e dopo alcuni secondi passati a godersi il momento, troneggiando sulle mie membra dilaniate, scese dalla sella.
Ero sopravvissuto! Non so come, non so perché, con danni che sicuramente sarebbero stati irreversibili, ma c’ero ancora.
Mi slacciò la sella e tolse il filo spinato dalla mia bocca, tuttavia mi lasciò legato a quello strumento di tortura, poi prese una sedia e si posizionò di fronte a me.
La mia testa penzolava incassata nelle spalle stremate, sul viso una maschera di sangue ricopriva ogni cosa, le cosce erano lacerate e brandelli di pelle penzolavano tra i rivoli rossi che scorrevano su di esse.
Accese una sigaretta e rimase a fissare il prodotto della sua crudeltà con aria soddisfatta. Sollevò le gambe e posò i talloni affaticati su un comodino che le stava pochi centimetri a fianco. La mia vista era annebbiata, ma riuscivo comunque a vederla, a vedere la sua bellezza, che nascondeva però anche tanta crudeltà, la sua superiorità, la sua perfezione. Un terremoto scosse la mia anima, non mi importava di ciò che mi aveva inflitto, della mia vita o di altro.
Diedi un improvviso strattone con la parte destra del corpo, tanto che, in un primo momento, Ludovica sobbalzò quasi indispettita, poi con la parte sinistra diedi un altro strattone. Nel fare tutto ciò aprii ulteriori ferite con il filo spinato e con le punte d’acciaio, che amplificarono ulteriormente la sofferenza. Non mi importava! Continuai così finche la struttura alla quale ero assicurato non si mosse ed iniziò a scivolare proprio verso il comodino, su cui erano appoggiati i piedi di Ludovica. Pochi centimetri sembrarono chilometri, ma alla fine raggiunsi il mobiletto ed esausto, stremato, dilaniato, baciai devotamente le suole sporche dei suoi stivali.
“Quanto sei patetico!! Nonostante tutto ciò che ti ho fatto continui comunque a leccarmi gli stivali!! – e rincarando addirittura a dose - Avanti, forza, lecca anche gli speroni, quegli speroni che ti hanno lacerato la carne, puliscili, non voglio vedere nemmeno una goccia del tuo lurido sangue su di loro!! “.
Non c’era riconoscenza, non c’era pietà nelle sue parole, nemmeno dopo questo gesto. Per lei tutto le era dovuto e poteva permettersi qualsiasi crudeltà, reclamando comunque adorazione.
Leccai quegli spietati gioielli dorati, bucandomi ripetutamente la lingua nel farlo, allungando così il tempo impiegato a rimuovere il sangue.
Finii il mio compito come ordinatomi, ripulendo qualsiasi residuo sugli speroni. Ludovica, come ringraziamento, mi porse l’ormai consueto mozzicone ardente da deglutire ed io come sempre fornii i miei servigi come posacenere umano, senza fiatare. Baciai per l’ultima volta i suoi piedi, come una Dea quale è lei merita. “Ggg-g –g rra-zie P-p-paa-d-ddr…”
Infine i miei gomiti cedettero e mi accasciai in uno stato di semi incoscienza.
Ludovica si alzò lentamente, poggiando un piede sulla mia mano destra. “Di niente!” e con un secco calcio fece sprofondare la mia mano dentro le punte d’acciaio del supporto, che la trapassarono.


Continuo? (commentate commentate commentate e scrivetemi anche i vostri suggerimenti)
view post Posted: 12/4/2014, 19:26     La spietata Ludovica - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
i vostri commenti mi hanno convinto a continuare, però per quattro giorni sarò via con la scuola e non potrò pubblicare niente.
spero comunque che questa vacanza mi aiuti a trovare nuova ispirazione. stay tuned!
view post Posted: 11/4/2014, 22:26     +3La spietata Ludovica - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
Finalmente sono riuscito a completare il capitolo! se volete vedere fino a dove si spinge la crudeltà di Ludovica vi consiglio di iniziare subito. (come al solito ringrazio tutti per i commenti e vi auguro una buona lettura)

CAPITOLO 4
Sdraiato a terra e con la lingua incollata alle sue scarpe la mia mente cominciò a lavorare: come potevo essere ancora lì dopo tutto ciò che mi aveva fatto? E la stavo pure ringraziando di questo! Come potevo, senza essere costretto, subire le angherie di una ragazza così viziata ed egoista? Da dove scaturiva tutta questa devozione verso una persona che aveva deciso di farmi sgobbare per il suo puro divertimento e che, mentre sgobbavo, aveva anche il coraggio di lamentarsi e torturarmi spietatamente?
Credo che la mente di un sottomesso sia sicuramente uno dei luoghi più complicati dell’animo umano, dominato dalle contraddizioni e da un insano straniamento, una distorsione della realtà, dei valori, della morale e della dignità.
Non riuscendo ad arrivare a nessuna conclusione logica, decisi di spegnere il cervello e lasciarmi totalmente guidare dalla mia indole, senza opporre alcuna resistenza.
Ero a terra ormai da qualche minuto e, questa pausa, era accolta dalle mie membra devastate come una manna dal cielo. Ero sfinito, al limite dell’umana sopportazione e ogni secondo di riposo in più mi avrebbe fatto comodo. Infatti, quando Ludovica si mosse per tornare nella sua postazione privilegiata, afferrai la sua caviglia e dalla mia bocca usci: “Ti prego!” “Tu là sotto, non ricominciare, fai quello che ti dico e basta senza controbattere!” “No aspetta, non è come pensi, ti prego, hai le scarpe ancora sporche, un essere superiore come te merita la perfezione. La mia lingua indegna è ancora a disposizione, concedimi il privilegio di finire il mio compito come si deve e di ingoiare fino all’ultimo granello di sporcizia ancora attaccato alle tue regali calzature…” “Sembra che forse qualcosina stai imparando, stiamo facendo progressi eh! Su avanti, lecca verme!”. Le sue scarpe non potevano essere più pulite in quel momento, nemmeno se fossero state ancora nella fabbrica di produzione, ma io sfruttai quella scusa per concedermi un po’ di riposo extra (lo so sono un vile egoista ad approfittarmi così dell’incredibile bontà della mia padrona). Dopo 10 minuti di intenso lavoro di lingua decisi che poteva bastare, quindi le comunicai che avevo portato a termine il compito e che, se era nelle sue intenzioni, saremmo potuti ripartire. Un’impietosa scossa fu il segnale per riprendere la mia posizione di gradino e, dopo che la mia Dea prese posto, una seconda scossa, più prolungata della prima, fu il segnale per partire. La lunga pausa aveva ripristinato nei miei muscoli qualche stilla di energia e, quasi all’istante, riuscii a smuovere la macchina. Camminai per centinaia e centinaia di metri, portandomi appresso l’opprimente peso della vettura e l’ulteriore peso che aggiungevano le frasi di scherno, che puntualmente Ludovica scagliava con aria decisamente snob contro la mia persona.
Il clima intanto era diventato più sopportabile, infatti al caldo afoso e soffocante delle ore precedenti, si era sostituito una caldo, sempre intenso e sfiancante, ma più torrido e secco. La fatica non era indifferente, ma l’apparente tranquillità della mia padrona, che stranamente stava rinunciando al suo passatempo preferito, ovvero quello di torturarmi incessantemente con il suo diabolico giocattolo elettrico, sembravano rendere il mio ingrato compito perlomeno più sopportabile.
Ludovica però non aveva affatto smesso di premere il suo telecomando, spinta com’era dalla sete di dolore che sembrava alimentare ogni suo gesto, ma, non vedendo alcuna reazione in me, era arrivata a supporre che la frequenza con cui mi aveva sottoposto alle dolorosissime scariche avesse sviluppato in me una certa resistenza, oppure che, tra i miei progressi precedentemente adocchiati, ci fosse anche quello del ridurre al minimo le lamentele e le smorfie, accettando il suo volere senza opporre, quindi, alcuna resistenza visibile.
Nel suo delirio di potere però, decise che questa situazione non la soddisfava abbastanza, infatti che gusto c’era ad infliggere atroci sofferenze se chi le subiva non mostrava alcun segno di dolore, o, l’abitudine ad esso, glielo aveva reso sopportabile? Ludovica non era una ragazza capace di sottostare a qualcosa, specialmente se questa spiacevole situazione aveva una soluzione a portata di mano. Il dispositivo che reggeva, infatti, aveva una piccola manopola per regolare la potenza della scossa prodotta dal collare. Fino a quel momento l’aveva tenuta entro il limite di sicurezza, come spassionato atto di generosità o forse per non causarmi danni troppo gravi, che avrebbero seriamente messo in percolo la mia vita, interrompendo così la mia sofferenza e di conseguenza (e unica cosa importante) il suo divertimento.
Adesso pero, con noncuranza, ruotò la piccola rotella fino a fine corsa, dove l’indicatore di potenza era tinto di rosso e presentava in caratteri giallo-neri il simbolo di pericolo. Già pregustava il momento in cui avrebbe premuto il bottone: il suo dito fremeva e il fatto di sfidare la sorte la eccitava ancora di più, anche perché, se qualcosa fosse andato storto, la perdita non sarebbe stata poi così grave per lei, infatti Ludovica reputava la mia vita meno importante di quella degli insetti che usualmente calpestava.
Trattenne il fiato, un ghigno si era allargato sul suo viso quasi a coprire l’intera distanza che separava le sue delicate orecchie. Premette il pulsante, fremente di assaporare il risultato della sua perfidia. Inutile descrivere la delusione mista a furia omicida quando vide che non mi scomposi minimamente e che il suo tentativo era andato a vuoto. “Come ti permetti di lanciarmi un affronto del genere? Fermati subito feccia umana!” gridò con tono imperioso “In ginocchio, muoviti! Muoviti ho detto lurido schiavo!”. Non comprendevo ciò che fosse accaduto e tantomeno la rabbia che animava la sua voce, ma obbedii prontamente agli ordini senza protestare in alcun modo. Mi inginocchiai di fronte alla vettura “Ti senti così forte da non muovere nessun muscolo nemmeno con questo? Vuoi sfidarmi? Tanto lo so che dietro la tua andatura così sicura, la tu faccia si è sicuramente deformata dal dolore e che hai lottato per trattenerlo!”. Io continuavo a non capire, ma un’espressione terrorizzata si dipinse presto sul mio volto. “Ora guardami negli occhi e non provare a sbattere le palpebre! Voglio vedere la tua sofferenza fino in fondo, fino alla morte se necessario!”. Schiacciò il bottone con violenza, determinata a tenere il dito in quella posizione per un tempo smisurato, ma desistette dopo pochi secondi quando vide che il suo comando letale non produceva risposte dall’altro capo del terminale. “M-m-mia padrona, c-c-credo che il collare possa, ecco, essersi gu-guastato…”.
Un espressione di delusione e rabbia si dipinse sul suo volto: “Perché tutte le sfortune capitano sempre alle persone più buone?! Non è giusto!! E ora con cosa mi diverto?”. Da un lato mi sentii quasi sollevato, però dall’altro, non so come, provai una leggera tristezza e una specie di compassione nel vedere la mia padrona delusa di non potermi più torturare.
Come potevo provare compassione per un essere così spietato? Soprattutto dopo che dalla sua bocca uscirono come lame di rasoio queste parole: “e ora come faccio? - disse con un tono quasi da cucciolo impaurito, che subito però mutò in qualcosa di terrificante e sadico con il proseguire della frase – ah, ci sono! Questa l’ho tenuta da parte proprio per situazioni del genere! Muahahahah” e così dicendo estrasse dalla sua borsa delle “meraviglie” qualcosa lungo e sottile, arrotolato come una serpe in procinto di attaccare. Il paragone calzava a pennello, poiché ciò che aveva in mano era altrettanto letale: dalla sua borsa, infatti, era appena comparsa una bullwhip, nera e rosso fiammante, lunga e pronta a sferzare senza pietà.
Il mondo mi crollò addosso e il sangue raggelò all’istante nelle mie vene, tanto che avrei preferito avere in circolo azoto liquido. Scoppiai a piangere, ma non stetti nemmeno a chiedere pietà, tanto sapevo che non ne avrei mai ricevuta e decisi quindi assecondare la vena di compassione che mi aveva suscitato pochi istanti prima nel vederla delusa dal fatto di non potermi infliggere sofferenza, che prepotentemente stava facendo scattare dei meccanismi controversi nel mio cervello. Ebbi come una rivelazione: il mi scopo era di farle provare piacere, anche a spese della mia incolumità, nulla c’era di più importante al mondo e da li in poi avrei dovuto fare tutto ciò che era in mio potere per assecondarla. Allora, con la più totale sottomissione dissi: “La supplico, colpisca più forte che può!” e senza che me lo ordinasse ricominciai a trainare la macchina a testa bassa.
Ludovica era scioccata: era rimasta con la bocca semi aperta e il braccio immobile in aria. “Ha davvero detto ciò che penso di aver sentito? – si domandò tra sé e sé – Sono davvero riuscita a sottometterlo fino a questo punto? E se invece sta pensando di avermi addolcito con questo maldestro tentativo? Si sbaglia di grosso! D’ora in poi non avrò più sentimenti, nessun briciolo di pietà, sarò crudele e spietata fino a che non lo vedrò esanime a terra e nemmeno lì mi fermerò, dovrà implorarmi di continuare a seviziarlo e alla fine, prima di esalare il suo ultimo respiro, dora ringraziarmi e lasciare questo mondo con la sua lingua incollata alla suola delle mie scarpe! Muahahaha !!! Ma per questo c’è tempo, ora voglio godermela fino infondo, voglio spremere da lui ogni goccia di sofferenza!”
Questo pensiero fece saltare qualsiasi cosa la tenesse ancora a freno e quel braccio, che per un istante sembrò essere divenuto di pietra e che improvvisamente si animò di una crudeltà fino ad ora mai vista.
L’aria sibilò, si divise, attraversata da un lampo di cuoio scarlatto che si abbatté impietosamente sulla mia schiena. Lanciai un grido di dolore, ma ciò non scompose minimamente Ludovica che prese a sferzarmi incessantemente.
Piangevo, singhiozzavo, urlavo e mi dimenavo, ma ormai non potevo più tornare indietro, le avevo permesso io tutto ciò e ora dovevo pagarne le giuste conseguenze. “Più veloce, Più veloce! Continuerò finché non vedrò il sangue sulla tua schiena, ma anche a quel punto dovrai continuare, non mi importa quanto sarà doloroso”.
Ludovica non aveva pietà e ben presto il sangue cominciò a schizzare veramente dalla mia schiena sotto ogni colpo inferto dalla sua frusta. Colpiva con noncuranza e ripetutamente, producendo schiocchi agghiaccianti e ferite multiple, ma il suono delle sue risate nel compiere il gesto riusciva addirittura a coprire la vasta gamma di rumori macabri che connotavano la situazione. Ogni passo era straziante, un inferno, un tomento senza possibilità di fuga. Iniziai a sputare sangue e a trascinarmi senza ormai più forze residue per l’ultimo tratto di strada che ci separava dalla stazione di rifornimento, mentre la mia aguzzina aveva addirittura intensificato il rimo delle sferzate.
Finalmente arrivammo nei pressi del benzinaio, deserto perché ormai era in orario di self service. Trainai la macchina fino alla pompa di benzina, dopodiché, con un tonfo, sordo caddi privo di forze schiantandomi sul cemento sottostante.
Impassibile Ludovica scese dal tettuccio dell’auto, slegò le corde che avvolgevano il mio corpo, quasi privo di sensi, senza un minimo di riguardo e, sfilando il portafogli dalla tasca dei miei pantaloni, introdusse i soldi nella macchinetta e fece il pieno di benzina. Posò la manichetta del carburante e si diresse verso il posto di guida.
Si stupì del fatto che io, approfittando degli istanti in cui stava rifornendo l’auto, ero riuscito a strisciare fino alla portiera e, da terra, stavo cercando di afferrare la maniglia.
“E tu cosa credi di fare?” “L-l-la riporto a c-c-casa padrona” risposi farfugliando confusamente e con un fio di voce. “Non vorrai mica salire in macchina ridotto così, sporcheresti tutti gli interni ahahah – disse con tono di scherno – poi non ti lascerei mai guidare nelle condizioni in cui sei, sarebbe pericoloso! Vedi che mi preoccupo per te! ahahaha! Piuttosto, metti qua il tuo cellulare – disse indicando un punto di fronte ai suoi piedi – mi sono dimenticata di fare una cosa!”. Con fatica tolsi il telefono dalla tasca e lo posai a terra. Non feci quasi in tempo a ritrarre la mano che Ludovica colpì in pieno lo schermo con il suo tacco acuminato, mandandolo in mille pezzi. “Oh poverino, quanto mi dispiace! Almeno non era la tua mano…per ora!!! Ahahah!”
Così dicendo aprì la portiera e, camminando sulla la mia schiena, ridotta ad un lago di sangue, senza il minimo rispetto, si sedette in macchina.
Stava per chiudere la portiera quando, abbassando lo sguardo, notò delle piccole gocce rosse sulla tomaia delle sue decolté bianche come la neve. “Hai visto che hai fatto pezzo di merda? Hai macchiato le mie scarpe col tuo lurido sangue! Puliscimele subito! Lecca, lecca pezzente, lecca le scarpe della ragazza che ha causato le ferite da cui quel sangue esce!!!”
Così raccolsi l’ultima stilla di energia, appoggiai la mano sulla base della pedana della portiera, protesi i muscoli del collo e cominciai faticosamente a leccare via il mio sangue dalle sue preziose scarpe.
Quando vide che tutto il sangue fu asportato, mi diede un forte calcio in faccia, infilzando il tacco in uno dei miei occhi. “G-g-grazie Padrona” furono le mie ultime parole prima di svenire ai suoi piedi.
Di tutta risposta chiuse la portiera con indifferenza e sempre con indifferenza partì sgommando, abbandonandomi in fin di vita in quella stazione di benzina a chilometri da casa mia e senza più cellulare per poter chiamare aiuto.


a questo punto mi viene difficile continuare ancora. please lasciatemi qualche commento con le vostre impressioni!
view post Posted: 10/4/2014, 18:21     La spietata Ludovica - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
mi spiace ragazzi ma ho avuto qualche contrattempo e, sebbene il capitolo sia a buon punto, non riuscirò a postarlo stasera. spero comunque abbiate letto il capitolo 3 che ho pubblicato ieri sera.
Fatemi sapere fin'ora cosa ne pensate!
view post Posted: 9/4/2014, 21:42     +2La spietata Ludovica - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
ringrazio di nuovo tutti per i commenti. sebbene l'eccitazione che mi guida a scrivere questa storia sia altissima, i vostri apprezzamenti giocano un ruolo fondamentale sulla mia volontò di continuarla

ecco a voi il nuovo capitolo! Buona lettura!

CAPITOLO 3
Decisi di accorciare il più possibile la mia sofferenza e di impegnarmi al massimo delle mie forze per compiacere la volontà della mia Dea. Puntai i piedi nel terreno e cominciai a tirare vigorosamente. I primi metri sono sempre i più duri perché bisogna smuovere la macchina ancora ferma, ma appena le ruote stavano per cominciare a girare ecco che ZAAAAPP! e una scossa mi fece bloccare dal dolore, vanificando tutti i miei sforzi. Inutile dire che Ludovica scoppiò subito a ridere “Che c’è mezza sega? Non riesci a fare nemmeno un metro? Ahahaha! Dovrai impegnarti di più!!”. Feci altri tentativi, ma ogni volta la storia si ripeteva la stessa situazione e io non riuscivo a smuovere l’auto nemmeno di un centimetro e, dopo la sesta scossa consecutiva in pochi minuti, caddi pesantemente prima sulle ginocchia e poi sulle mani. “Ti muovi o no? In piedi schiavo! Guarda che se scendo sono dolori seri, ti farei rimpiangere 10 minuti di scosse ininterrotte!”. La mia odissea non era nemmeno cominciata e già ero al limite delle mie forze, ma,un po’ perché spaventato dalle sue parole, un po’ perché non volevo deluderla, mi rialzai di scatto e, dando un forte strattone, riuscii a mettere in movimento la moderna carrozza. Dopo i primi metri, in cui mi aiutai anche piantando le mani nel terreno, lo sforzo diminuì sensibilmente e l’andatura si fece regolare e “spedita”; dopo tutto avevo 10km da percorrere e, sebbene fossero le 2 di pomeriggio, avrei impiegato molto tempo a compiere la traversata, perciò avrei dovuto sbrigarmi per essere a casa entro l’ora di cena. Ludovica era comodamente sdraiata sul tettuccio dell’auto, con un sorriso stampato sul viso che non riusciva a mandare via: era soddisfatta, si sentiva bene…infliggere sofferenza la faceva sentire bene e aveva finalmente capito che a quella sensazione non avrebbe mai più rinunciato. Al piano inferiore invece le cose non andavano così bene, infatti, anche se a livello psicologico le mie sensazioni erano molto affini alle sue, poiché anch’io non avrei più voluto rinunciare al suo dominio su di me, a livello fisico iniziavano a manifestarsi i primi problemi. Ogni passo era sempre più faticoso, le vene pulsavano nel mio corpo, il viso era completamente rosso e una doccia di sudore aveva ricoperto le mie membra. Più combattevo per avanzare, più le corde che si intrecciavano sul mio petto e sulle mie spalle affondavano nella carne, ricoprendo la mia pelle di abrasioni e lividi, ma tutto ciò no sembrava turbare minimamente Ludovica che, come si accorse di un impercettibile rallentamento dovuto alla mia evidente stanchezza, non si fece nessuno scrupolo ad infliggermi un’impietosa scarica elettrica.
“Pietà ti scongiuro, non posso continuare, non ce la faccio, davvero…sono stremato” e nel dirlo mi girai verso il cofano della macchia e cominciai a leccare le suole delle sue splendide decolté sperando che un briciolo di compassione la guidasse in direzione della mia salvezza. Ancora adesso mi stupisco della mia stupidità: Ludovica non conosceva la pietà! Non so per quanto tenne il dito sul pulsante che aziona il collare, fatto sta che caddi a terra semi svenuto e ci misi qualche minuto per riprendermi. “Quando il signorino ha finito di fare il suo riposino di bellezza potremmo ripartire?” disse in tono tra lo scherno e il seccato “Avanti , non sto scherzando vedi di muoverti pezzente, sto iniziando ad avere caldo stando ferma qui, voglio un po’ di brezza tra i miei capelli e sai che ciò che voglio lo ottengo, anche a costo di calpestare il tuo corpo morente ahahahah!”. Non sapevo più cosa fare, quindi feci semplicemente ciò che mi era stato ordinato e ricominciò il mio supplizio.
Era una calda giornata di giugno e per di più era pieno pomeriggio. Il sole scagliava i suoi raggi con la massima intensità , senza pietà, tanto che fantasticai addirittura che fosse anche lui soggiogato a Ludovica e che lei, con il suo potere, potesse usarlo per infliggermi ancora più sofferenza. Volontà sua o meno il sole rimaneva cocente e ben presto prosciugò tutte le mie forze, ero pericolosamente disidratato credo.
Rallentai di nuovo, ma questa volta nemmeno le terribili scosse riuscivano a risvegliare le mie forze: “ACQUA…A-ACQUA…ho bisogno di a-c-qua…ti supplico a-c-q-ua…”.
Se non avessi avuto la vista così annebbiata dal caldo atroce e il cervello sconnesso per lo sforzo che stavo compiendo e fossi riuscito a vedere l’incarnazione del sadismo che si impossessava di Ludovica quando menzionai quella parola, sicuramente non avrei gioito nel sentire la sua risposta: “Acqua? Perché no?! In fondo anche alle bestie più spregevoli non si nega qualche sorso d’acqua ogni tanto”.
Mi precipitai davanti al paraurti a quattro zampe per farle da scalino e permetterle di scendere. Ovviante nel farlo non risparmiò la sua consueta attenzione a piantarmi nella maniera più dolorosa possibile i tacchi nella schiena, ma non mi importava e appena poggiò i piedi a terra mi precipitai a baciarglieli e a ringraziarla. “Eh no! Non basta questa volta! Ci ho riflettuto un po’ e ho concluso che da ora in poi dovrai baciare anche la terra su cui cammino!”. Riuscivo a pensare solo alla mia sete e così iniziai a baciare il sentiero sterrato in corrispondenza dell’orma lasciata dalle sue scarpe dopo ogni passo che fece per dirigersi verso il bagagliaio, ignorando anche il fatto che la terra secca su cui posavo le labbra asciugava sempre di più la mia gola. Prese una bottiglia d’acqua che tenevo sempre in macchina in caso di necessità e un recipiente di plastica simile ad un piccolo catino. Il mio sguardo divenne perplesso quando la vidi allontanarsi una cinquantina di metri oltre il muso della macchina, posare la bacinella e riempirla d’acqua. Tornò indietro e mi fece posizionare davanti all’auto, ma questa volta non più in piedi, bensì a quattro zampe. Si tolse le scarpe infilandomi il tacco della prima in bocca e posizionando la seconda in bilico sulla mia schiena, così che le sorreggessi entrambe. e disse: “Non avrai mica ceduto che ti avrei fatto bere senza prima guadagnartelo? Sono così magnanima che ti permetto di bere, però dovresti sapere che tutto in questo mondo ha un prezzo e per i pezzenti come te è giusto che anche le cose più semplici costino immensi sacrifici ahahaha! È semplice: devi solo raggiungere la bacinella….trainando la macchina….a quattro zampe, come la bestia da soma che sei…..e senza osare far cadere le mie scarpe è chiaro?! Ahahahah!!”.
Sbarrai gli occhi e iniziai a piangere, o almeno ci tentai visto che ero talmente assetato che non avevo più liquidi nemmeno per le lacrime. Il segnale di partenza fu l’ormai consueta scossa, a cui ora rispondevo come un animale ammaestrato, ma già quella rischiò di farmi cadere entrambe le sue scarpe: quella sulla schiena per il brusco contrarsi dei muscoli sottoposti all’elettricità, quella in bocca poichè stava automaticamente per uscire un urlo di dolore, che prontamente soffocai sul nascere. La macchina non si spostava di un millimetro perché nella posizione in cui mi trovavo la quantità di forza applicabile era decisamente inferiore che stando in piedi. Le ginocchia cominciarono a slittare sul terreno, lacerando dapprima i sottili jeans estivi che indossavo e successivamente la mia pelle. Gocce rosse iniziarono ad espandersi sotto di me, sgorgando da dolorosissimi tagli che si erano aperti lungo tutta l’articolazione, ma almeno questo sforzo produsse un qualche risultato, perché la macchina cominciava a muoversi. Arrancavo strenuamente verso la tanto agognata meta, soffrendo come un disperato ogni volta che una delle mie ginocchia poggiava per terra e nel continuo timore che in tutto questo sforzo facessi scivolare accidentalmente una delle preziose scarpe di Ludovica.
Già…Ludovica; dov’era Ludovica in tutto questo? Era di fianco a me che, scalza, seguiva il mio andamento sciancato e sofferente con un’espressione oltremodo divertita, come se stesse assistendo ad uno sketch comico di qualche cabarettista. Il mio ritmo, per quanto lento e goffo, era divenuto più regolare, forse anche per merito delle “scosse di incitamento” (come aveva deciso di chiamarle) che la mia Dea mi infliggeva lungo tutto il percorso. Quest’andamento regolare però la disturbava e il suo innato istinto da padrona sadica la spinse ad agire per rimescolare di nuovo le carte. Prese la scarpa che stava sulla mia schiena e me la cacciò violentemente in bocca a fare compagnia alla sua gemella, poi, con un balzo, mi salì in groppa atterrando pesantemente sulla mia spina dorsale. “Ti piace vincere facile tu lì sotto vero? Volevi prendermi in giro fingendo che fosse un compito difficile? E ora come la mettiamo? Ahahah”.
Sebbene fosse magra da far invidia ad una modella, in quel momento il suo peso sembrò vicino a quello di un tir venuto a parcheggiare proprio sulla mia schiena. Lo sforzo divenne insopportabile, il cuore aveva deciso che di lì a breve avrebbe fatto una capatina a prendere un po’ d’aria schizzandomi direttamente fuori dal petto, senza contare le braccia che volevano cedere sempre di più istante dopo istante e le ginocchia, che ormai avevano iniziato a lasciare dietro di me due righe parallele rosse e continue, tanto che sembrava avessero deciso di dipingere le linee stradali anche in aperta campagna, mandavano fitte atroci e strazianti.
L’obbiettivo, l’acqua, la necessità, ciò fu quello che mi spinse ad arrancare in preda alla sofferenza più assoluta, ignorando anche le risate di scherno di Ludovica che si erano fatte più intense e che ora erano accompagnate da tallonate sulle mie guance per spronarmi ad andare più veloce. Sembrava una bambina la prima volta che saliva su una giostra: la sofferenza, il potere, la totale adorazione nei suoi confronti la facevano sentire bene, la soddisfacevano, la rendevano speciale e ciò la incitava ad alzare sempre di più l’asticella della crudeltà, che ora sembrava non avere più nessun limite.
Finalmente, dopo uno sforzo titanico, oltre il limite delle umane possibilità, arrivai ad avere la bacinella d’acqua sotto il mento. Ce l’avevo fatta, vedevo sotto di me quel liquido cristallino che risplendeva come un diamante raro ad ogni piccola increspatura colpita dal sole. Istintivamente cercai di tuffarmici letteralmente dentro con il viso, ma Ludovica mi afferrò per i capelli prima che potessi farlo, tirandomi violentemente all’indietro: “Nessuno ti ha insegnato l’educazione in quella stalla dove vivi? Prima le signore! Non ci arrivi che dopo aver camminato scalza i miei piedi sono completamente ricoperti di fango? E tu vorresti addirittura rubarmi l’acqua con quella bocca ingrata prima che io possa lavarli? Dopo quest’affronto non meriteresti nemmeno di bere, dovrei continuare a sfruttarti fino a vederti stramazzare al suolo privo di vita! Ahaha !!! Ma ormai mi conosci, io sono troppo buona con te - lo disse con un evidente tono di scherno – infatti, al posto di puniti, ti farò addirittura un regalo!” e nel dirlo, rimanendo fermamente seduta sulla mia schiena, immerse i piedi nell’acqua che, lungi dal rimanere cristallina ed invitante, si trasformò all’istante in una brodaglia marrone piena di terra e resti vegetali.
Il pediluvio durò una decina di minuti, con il suo peso che continuava a gravare sulle mie membra sfinite. Quando fu soddisfatta ritrasse a se i piedi e, dopo esserseli asciugati sulla mia maglia, estrasse le scarpe dalla mia bocca e se le infilò. “Prego è tutta tua!! Goditela perché quella è un’acqua particolare, è acqua santa, santificata dal contatto con i miei sacri piedi! Non ti basterebbe una vita per ringraziarmi di ciò che ti ho donato!!ahaha”. Quanto la divertiva vedere uno schiavo ai suoi piedi pronto a bere un miscuglio disgustoso, intriso della sporcizia dei suoi piedi e che l’avrebbe addirittura ringraziata per questo!
L’aspetto era terribile, ma dopo tutto ciò che avevo passato per ottenerla e dato il mio estremo bisogno di assumere liquidi, affondai il viso in quel catino e cercai di bere tutto il possibile. Sorso dopo sorso mi persi a rimuginare su ciò che mi aveva detto Ludovica e mi sentii veramente una sensazione gratitudine per avermi concesso di bere quell’acqua così arricchita. Non so se fu il mio troppo pensare, o il fatto che nemmeno una bestia sarebbe riuscita a sopportare ciò che avevo sopportato io, o addirittura che in tutto questo a Ludovica non era passata nemmeno lontanamente nella testa l’idea di scendere dalla mia schiena, anche mentre, con fatica, cercavo di abbeverarmi; fatto sta che le mie braccia cedettero di schianto e caddi di testa nel catino, che si rovesciò e con lui l’ultimo goccio d’acqua che non ero ancora riuscito a bere.
“E’ così che mi ringrazi? – tuonò fuori di sé Ludovica - Rovesciando l’acqua che ti concedo di bere?! Schifoso ingrato!” e così dicendo si alzò di scatto, mi conficcò il tacco in mezzo alle scapole, ruotandolo con furia, tanto che aprì una ferita da cui scese un rivo di sangue e contemporaneamente prese dalla tasca il telecomando iniziando a premere il bottone a più non posso, in preda all’ira più ardente.
Io (o ciò che rimaneva di me) iniziai a contorcermi in modo macabro sotto il suo piede, urlando e dibattendomi come un disperato, ma tutto ciò non fu abbastanza per farla fermare. Dopo un paio di minuti, che furono per me di assoluta sofferenza, fortunatamente si calmò e dalle mie labbra, in uno stato di semi incoscienza, sussurrai: “p-p-p-i-et-t-aaa…”.
“Bevi! -fu la risposta, secca e spietata, in modo quasi totalmente distaccato -succhia l’acqua dal terreno fino all’ultima goccia e poi ringraziami come si addice ad un verme come te”. Piegai il capo ed eseguii ciò che mi era stato ordinato, poi mi girai e con riverenza e sottomissione leccai le scarpe alla mia Padrona.

Questo pezzo mi sta venendo abbastanza lungo quindi ho deciso di postare per ora solo fino a qui. Il prosieguo è già in cantiere: sta a voi dirmi se è il caso di postarlo o no. Aspetto vostri commenti con ansia!
view post Posted: 8/4/2014, 21:06     La spietata Ludovica - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
CITAZIONE (andybis @ 8/4/2014, 21:23) 
evviva! Un altro scrittore! Complimenti, scrivi davvero bene, mi sembra di essere li con la frustante Ludovica :)

Non è il mio primo lavoro sul forum. Se può interessare questo l'ho scritto quasi un paio d'anni fa https://smfetish.forumcommunity.net/?t=53094600
view post Posted: 8/4/2014, 18:22     +2La spietata Ludovica - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
Eccomi di nuovo con il secondo capitolo! ringrazio tutti per i bei commenti! buona lettura!

I giorni passavano e il suo comportamento diventava sempre più irrispettoso nei mie confronti, non che potessi aspettarmi altro dopo che in pratica ero stato io a volere questa situazione, e tutto sommato a me stava più che bene così. Oltre al rituale della pulitura delle scarpe, diventato ormai un appuntamento fisso prima del rientro da scuola, erano decisamente aumentate le umiliazioni verbali e psicologiche, anche in pubblico, e ad esse si aggiunsero anche quelle fisiche.
Un pomeriggio ad esempio mi inviò un messaggio dicendomi di presentarmi da lei con la mia macchina e che avrei dovuto accompagnarla a svolgere delle commissioni.
Arrivai sotto casa sua qualche minuto prima dell’ora stabilita e mi feci trovare prostrato di fronte al cancello (l’idea mi venne perché la casa aveva un viale d’accesso privato, in più non vi era nessuno nell’abitazione perché i suoi genitori erano al lavoro e quindi ero sicuro di non essere visto). Quando uscì di casa rimasi incantato: indossava una maglia leggera rosa che lasciava scoperta una spalla, jeans chiari attillati, un paio di occhiali da sole con lenti marroni e ai piedi delle splendide decolté bianche lucide con tacco a spillo discretamente alto. Stranamente aveva con sé una borsa davvero molto capiente e mi domandai a cosa le servisse e quanto doveva pesare, ma, visto che non mi aveva specificato cosa avesse dovuto fare nel pomeriggio, pensai che doveva ritirare qualche cosa di molto voluminoso. Comunque chinai subito il capo così da avere la fronte sul pavimento e rimasi immobile ad aspettarla.
“Cos’è? Non si saluta più ora?” disse con tono seccato ed io automaticamente iniziai a baciare e leccare le sue scarpe inserendo uno o due “scusa,mi dispiace” tra un colpo di lingue e l’altro. Nel frattempo si chinò e appoggiò il mozzicone della sigaretta che stava fumando sulla dorso della mia mano, accompagnando il gesto con un “Guai a te se ti muovi!”, attese qualche secondo (giusto per farmi soffrire un po’ il dolore della sigaretta ancora accesa sulla pelle) e, alzando la suola che avevo appena finito di lucidare con la mia lingua, spense il mozzicone che stava sulla mia mano, senza dimenticarsi di ruotare sadicamente la pianta per causare più attrito. Il dolore che provai fu elevato, tanto che una lacrima mi colò su un guancia, ma non fu nulla in confronto alla fitta interiore che mi causò ciò che disse subito dopo Ludovica: “Brutto incapace non sai nemmeno pulire un paio di scarpe come si deve, anche come schiavo non vali niente! ahahahah”. Il mozzicone e la cenere infatti si erano attaccati alla suola a causa della mia saliva che ancora la ricopriva. “Mangialo Pezzente! Voglio vedere che lo ingoi” disse questo puntando il tacco sull’asfalto e porgendomi la suola così impreziosita. “M-m-ma Ludo io…cioè non so se…” “Non esistono ma con me, io sono un essere superiore e tu sei solo feccia, anzi dovresti ringraziarmi che ti faccio mangiare la feccia sotto le mie scarpe perché non saresti degno nemmeno di quella!!” e cosi dicendo piantò il tacco con violenza sulla mia mano strappandomi un grido di dolore. Mi feci coraggio e staccai quel pezzetto di materia rivoltante con la mia lingua e lo ingurgitai non senza difficoltà, infine leccai via la cenere rimasta, così finalmente Ludovica tolse il suo tanto stupendo quanto sadico piede dalla mia mano.
Con un calcio mi fece capire che era tempo di andare, quindi le aprii la portiera, la feci accomodare ed infine partimmo.
Io mi limitavo a guidare mentre Ludovica, sdraiata sul sedile posteriore (quando la scarrozzavo mi considerava alla stregua di un autista perciò non si sognava minimamente di sedersi sul sedile anteriore e ciò mi causava un po’ di imbarazzo) distrattamente mi dava indicazioni su dove dirigermi, mentre scriveva messaggi con il cellulare. Le sue indicazioni mi parevano prive di senso poiché, dopo un po’, mi accorsi che ci stava facendo girare in tondo per le vie del paese, ma nonostante ciò non osai farglielo notare, memore di come mi aveva trattato solo qualche minuto prima.
Fu quando si accese la spia della riserva che la situazione mutò: Ludovica aveva abbandonato il cellulare e aveva iniziato a dirigere attentamente il nostro percorso fuori città, verso la campagna. Più l’indicatore di benzina scendeva più noi ci trovavamo su strade sperdute e disabitate, allorché non riuscii più a trattenermi e dissi “La benzina sta quasi per finire del tutto, non sarebbe megl…” uno schiaffo mi colpì in pieno la faccia e il rumore risuonò sordo all’interno dell’abitacolo. Non serviva aggiungere altro e continuai dritto per quella stradina di campagna che mi aveva indicato in mezzo ai campi fino a che, tossendo un po’ la macchina non decise di fermarsi.
“E adesso come facciamo? Non penso ci siano benzinai in zona per poter rifornire?” dissi io con tono preoccupato. Il viso di Ludovica si illumino e un sorriso oltremodo sadico si dipinse sulla sua bocca perfetta: “Hai perfettamente ragione, il primo benzinaio è a oltre 10km da qui e sai ora cosa succede, vero bestia da soma?!”. Le ultime parole mi avevano fatto capire quale fosse il piano che aveva architettato fin dall’inizio e la disperazione invase le mie membra: “No ti prego Ludovica non farmi questo, è davvero disumano ti prego” “Ma tu non sei un essere umano ahahahahah” e cosi dicendo aprì la famosa borsa dalla quale tirò fuori diverse corde e catene.
Fu lei la prima a scendere dalla macchina e venne addirittura ad aprirmi la portiera (non stava nella pelle all’idea che il suo sadico piano fosse andato in porto e ogni suo gesto era guidato dalla più profonda eccitazione). Mi indicò un punto di fronte alla macchina, io con riluttanza mi alzai dal posto di guida e con la faccia di chi implora pietà mi posizionai dove voleva. Iniziò a legare le varie corde e catene alla macchina (i suoi avevano una barca a vela da prima che lei nascesse e quindi Ludovica se la cavava decisamente bene con i nodi) così che, in men che non si dica, mi trovai bardato come un cavallo da traino in piena regola. A lavoro ultimato mi gettai sulle ginocchia e in lacrime cominciai a baciarle le scarpe come un forsennato, supplicandola di non farmi questo. Rimase un po’ a godersi la scena, la faceva sentire estremamente potente, poi all’improvviso si mosse di scatto e le uniche cose che sentii furono qualcosa che mi stringeva il collo e un “click” dietro la nuca. Ero terrorizzato, ma il mio terrore sarebbe di li a poco aumentato in maniera esponenziale quando sentii: “ Te l’avevo detto che ti avrei comprato un bel collare da bravo cagnolino, però questo è un colare un po’ diverso dal solito” ZAAAAP!!! Improvvisamente una fitta al collo mi fece crollare completamente a terra in preda a spasmi dolorosissimi “Hai capito di cosa si tratta? È un collare elettrico come quello che usano per addestrare le bestie rognose come te!! Io se fossi in te non proverei nemmeno ad avvicinare le mani al collo per cercare di toglierlo, altrimenti sappi che non alzerò più il mio regale dito da questo bottone ahahahaha”.
Non potevo crederci, come poteva essere così senza cuore? Come poteva trattare così un altro essere umano? La sua indole mi era ben nota sin da subito, ma mai e poi mai avrei pensato che potesse spingersi così oltre. La cosa mi spaventava a morte, ma non so come, nel profondo del mio cuore, sentivo che ciò che Ludovica faceva era giusto, infatti lei era un essere superiore ed io al suo cospetto solo una bestia da soma, pertanto aveva tutto il diritto di trattarmi come tale, o peggio.
“Ringraziami!” tuonò e accompagnò l’ordine con una violenta scossa. Come di consueto mi dilaniai la lingua sulle su splendide calzature, o forse con anche maggior convinzione del solito dovuta alla costante minaccia che il diabolico arnese esercitava su di me. successivamente un’altra scossa accompagnò i’ordine di mettermi a quattro zampe davanti al paraurti anteriore. Mi usò come gradino per salire sul cofano della macchina e, badando bene a conficcarmi più del dovuto i suoi tacchi appuntiti nella schiena nel farlo, si sedette sul tettuccio a mo di “sadico cocchiere infernale” o come un’imperatrice farebbe su una portantina trasportata a braccia da un gruppo di schiavi: “Io ora prendo un po’ di sole e mi rilasso quassù, mentre tu là sotto sgobberai disumanamente per riportare indietro la macchina, è chiaro?! E vedi di non battere la fiacca altrimenti saprò come farti accelerare ahahaha!” disse l’ultima frase facendo ciondolare tra due dita il telecomandino del collare in direzione mia, poi lo afferrò e con decisione ZAAAAAAAPPP! Quello era il segnale che mi avrebbe fatto cominciare quel compito così disumano.

CONTINUO?
view post Posted: 7/4/2014, 01:07     Servizio da Poggiapiedi - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
decisamente molto bello e scritto bene. è uno di quei racconti che a mio parere ti soddisfa a pieno anche se è breve e non ha una continuazione
view post Posted: 7/4/2014, 01:01     +3La spietata Ludovica - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
Ho deciso di scrivere un racconto inventato da me di sana pianta. In realtà è una mia fantasia che da tempo mi aleggia nella mente, spero sia di vostro gradimento.

L’anno scolastico stava stranamente volgendo al termine in maniera molto rapida e, sebbene non vedessi l’ora di godermi le vacanze estive, ero un po’ triste perché avrei passato meno tempo con Ludovica. Ludovica è stata mia compagna di classe fin dalle medie, una ragazza bella da mozzare il fiato, bionda, occhi marroni, fisico perfetto e un sorriso oltremodo affascinante. Ma ciò che di Ludovica colpiva più di tutto era il carattere: era consapevole della sua bellezza sin dalla tenera età e ciò la portò a sentirsi sempre al di sopra degli altri, in particolare era solita snobbare e deridere chiunque, specialmente chi, sia per motivi estetici o caratteriali, aveva più difficoltà a relazionarsi con le persone (gli sfigati per intenderci). Amava essere al centro dell’attenzione e godeva nel vedere il disagio di tutti i ragazzi che provavano ad avere un approccio con lei. Un carattere naturalmente votato alla dominazione.
È inutile dire che dal primo momento in cui la vidi ne fui perdutamente innamorato e, consapevole del fatto che un essere superiore come lei non sarebbe mai potuto stare con una nullità come me, decisi di diventarle amico, o meglio di diventare il suo cagnolino. Infatti solevo offrirle i miei servigi per qualsiasi necessità e col tempo lei imparò ad approfittarne in maniera sempre più spudorata. Le dovevo puntualmente svolgere i compiti perché i compiti si sa sono per gli esseri inferiori, portare la cartella poiché è un lavoro che ben si addice alle bestie come me, scarrozzarla a mie spese ogniqualvolta lo desiderasse nonostante questo da parte sua non arrivò mai alcuna riconoscenza, anzi non perdeva occasione per deridermi ed umiliarmi. Ma in fondo a me andava bene cosi, mi sentivo onorato di stare in sua presenza e già solo il fatto che mi rivolgesse la parola, anche se per umiliarmi, mi pareva un regalo. Questa situazione col tempo degenerò fino a condurmi ad un sentimento di totale sottomissione e pervase la mia anima il desiderio che lei prendesse il totale controllo su di me e mi umiliasse senza ritegno per il semplice gusto di farlo.
Quel giorno decisi di fare la mia mossa. Quando la vidi vicino al cancello d’uscita era sola (poiché la campanella era suonata da un pezzo) ed era intenta a fumare una sigaretta . Mi avvicinai e, senza degnarmi di uno sguardo, dalla sua bocca uscì una nuvola di fumo accompagnata dalle parole: “Ciao Bobby” (penserete che sia il mio soprannome e invece quello è il nome del cane di Ludovica, infatti, considerandomi alla stregua di un cagnolino, aveva deciso di chiamarmi così). “Ciao Ludo” risposi “scusa per il ritardo ma la prof ci ha trattenuto in classe”. Non disse nulla e si limitò a gettare il mozzicone della sua sigaretta, ormai finita, in direzione mia, tanto che mi sfiorò una guancia. “Andiamo! Devi accompagnarmi a casa”. Fece per avviarsi verso la mia macchina, quando le dissi “Aspetta! Ho un regalo per te” e tirai fuori dallo zaino una scatola. “Un regalo? Un pezzente come te che regalo potrà mai farmi? Ahahah!!! Dai finiscila e muoviti a salire in macchina o giuro che domani ti compro un guinzaglio per portarti a spasso e ti obbligo a indossarlo davanti a tutti, e so che lo faresti”.l’ultima frase uscì con tu tono velenoso, quasi fosse carico di disprezzo.
Era ormai seduta sul sedile e stava per chiudere la portiera quando con uno scatto la fermai, mi inginocchiai di fronte a lei e le porsi la scatola aperta. Ero riuscito a stupirla, dentro la scatola infatti ci erano un paio di decolté Louboutin nere ricoperte di borchie argentate del valore di più di 1000€. Pochi giorni prima infatti avevo vinto una schedina di scommesse calcistiche con quella cifra e all’inizio avevo deciso di incassare i soldi e portarli ai miei genitori, poiché per noi questo è un periodo un po’ difficile dal momento che mio padre è stato licenziato e mia madre è in cassa integrazione e io sapevo che ogni centesimo avrebbe fatto comodo, ma poi la mia indole sottomessa aveva preso il sopravvento e decisi di gettare letteralmente quei sodi sotto i piedi di Ludovica (la quale tra l’altro era ben a conoscenza della mia situazione economica).
Dopo qualche secondo in cui fissò un po’ stupita il contenuto della scatola, disse: “Allora non sei proprio solo una bestia inutile” “Grazie Ludo ne sono molto onorato, permettimi di indossartele cosi che tu le possa provare”. Lei annuì e subito iniziai a slegarle le stringhe delle sue All Star bianche, gliele sfilai, sfilai anche i calzini i quali erano leggermente umidi di sudore dovuto alla mattinata passata a scuola ed infine le calzai quelle splendide decolté. Inutile dire che le stavano divinamente e nell’insieme la rendevano ancora più bella, ancora più perfetta, ancora più Ludovica.
Fece qualche passo avanti e indietro e nel farlo si atteggiò (giustamente) come una modella, poi si girò verso di me, che ero rimasto in ginocchio imbambolato a fissarla, e disse”Hai la bava alla bocca vero Bobby?! È incredibile quanto tu sia patetico, mi veneri a tal punto da comprarmi un regalo fuori dalla tua portata piuttosto che aiutare la tua famiglia! Fai proprio schifo”. Il suo egoismo sconfinato mi travolse tanto che abbassai la testa, conscio però che ogni singola parola che aveva detto, per quanto dolorosa, era sacrosanta.
Il parcheggio era sterrato e quando Ludovica tornò verso la macchina le splendide scarpe che le avevo appena regalato erano già ricoperte da un alone bianco di terra. Mi superò e andò a sedersi sul sedile e fu allora che le dissi “Aspetta Ludo, ti si sono sporcate!” e senza aspettare una sua risposta mi avvicinai e iniziai a leccale le scarpe che aveva ancora indosso, centimetro per centimetro.
Scoppiò in una risata divertita aveva un espressione tra lo stupito e il soddisfatto , che si trasformò definitivamente quando le sollevai il piede e, scoppiando in lacrime, iniziai a leccare anche la suola.
“Il servizio completo eh?! Finalmente hai capito qual è il posto che spetta alle bestie come te! Falle brillare, non ci voglio vedere nemmeno il ricordo della polvere sopra e ritieniti onorato di poter ingoiare il terreno su cui ho camminato, pezzente che non sei altro!”
La metamorfosi del nostro rapporto era decisamente avvenuta e mi fu ancora più chiara pochi secondi dopo.
Quando finii il mio lavoro, e ci impiegai un quarto d’ora buono poiché volevo che quelle decolté splendessero come quando gliele avevo mostrate pochi minuti prima, Ludovica mi ordinò di sfilargliele e riporle nella scatola in modo da non rovinarle e pretese che le rimettessi le sue scarpe. Completato il mio compito feci per alzarmi e finalmente andare al posto di guida per poterla accompagnare a casa, quando il suo piede, che ora calzava le All Star bianche, calò pesantemente sulla mia mano appoggiata al suolo, schiacciandola dolorosamente e impedendomi di fatto di rialzarmi. “Non credi che, sebbene queste scarpe non siano così costose come le altre, dal momento che sono indosso a me meritino lo stesso trattamento?! Avanti pezzente lecca!”. Non melo feci ripetere due volte e incominciai a leccare con colpi larghi e lenti le sue Converse che, essendo le scarpe che usa tutti i giorni, erano ben più sporche delle precedenti. Vinsi il disgusto e mi decisi a leccare anche le suole, nere e sudice, come nera e sudicia sarebbe poi diventata la mia lingua terminato il compito. Ludovica intanto godeva di tutto ciò, stava vivendo l’esperienza che avrebbe sempre voluto provare e che era convinta di meritare per la sua sconfinata bellezza: possedere uno schiavo da umiliare nei modi peggiori, pronto ad esaudire ogni suo capriccio e a svolgere i compiti più disdicevoli senza alcun motivo.
“Quello è il posto che ti spetta e quello che da ora in poi dovrai occupare! Quel minimo di considerazione che ancora nutrivo per te è completamente sparita. Per me tu d’ora in poi sarai solo un lurido verme e sbrigati con quelle scarpe che ho voglia di tornare a casa”
Leccai freneticamente finché non fu soddisfatta, dopodiché l’accompagnai a casa e quando arrivammo le aprii la portiera, mi inginocchia in mezzo alla strada e le baciai di nuovo le scarpe. “Vedi di essere puntuale domani mattina lurido perdente leccapiedi” così mi congedò e sparì dietro il cancello della villa.

Se vi è piaciuto ho in mente anche qualche episodio per continuarlo. Fatemi sapere se volete che continui e soprattutto se avete dei consigli sono felice di leggerli e (se sono affini al mio interesse e alle pratiche di dominazione che mi intrigano) sono felice di inserirli nei prossimi episodi .
view post Posted: 6/4/2014, 16:21     Francy - RICHIESTE e OPINIONI FOTO E VIDEO E RACCONTI
Qualcuno possiede qualche clip di Francy dello store "face busting" o sa se è ancora attiva in qualche altro store o come si possa contattare?
view post Posted: 8/3/2014, 03:21     Dea Sabrina - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
se sabrina gli avesse fattto leccare gli stivali prima di massacrarlo sarebbe stato perfetto...cmq continualo assolutamente
view post Posted: 21/2/2014, 14:19     umiliazioni italiane - RICHIESTE e OPINIONI FOTO E VIDEO E RACCONTI
qualcuno possiede il video "Una Nuova Padrona di Casa, Secondo Episodio" completo (quello con Silvia x intenderci) dello store "Umiliazioni Italiane" e vuole condividerlo su questo forum?
49 replies since 7/10/2012