| STORIA, FATTI, NOMI E PERSONAGGI SONO DEL TUTTO INVENTATI
Capitolo III
Ehi Giu’, tutto bene?
Ciao Fra’, un po’ stanca, ma niente di che. Ho dolori ovunque… Alessandra c’è?
Sì, è in camera.
Si sentirono delle voci provenire dalla stanza della ragazza.
Ah dev’esserci anche Sara. Tu… cosa fai?
Io… io niente, ho fatto un po’ di faccende; sto per andare a far la spesa… ho, ho qualcosa per la sera…
Che intendi?
Voglio cucinarvi qualcosa di buono, sai, per scusarmi… per…
Ma sei sicuro? Sta tranquillo, può succedere di sbagliare
Francesco raccontò alla donna di quanto si sentisse in colpa per la mattinata, Giulia, evidentemente, si convinse nel lasciarlo fare; avrebbe cucinato una lasagna per tutti. Chiavi di casa in mano, stava per uscire, quando Giulia, buttata sul divano in salone, piedi sul bracciolo, si sfilò i ripidi tacchi neri, che lasciò cadere in terra. Un tonfo. Il ragazzo si precipitò per raccoglierli.
Ma come sei carino… mettili nella scarpiera in bagno
S-sì…
Un’altra cosa, chiedi ad Alessandra se Sara rimane a cena con noi
Francesco si paralizzò; guardò per alcuni secondi Giulia; avrebbe voluto dirle qualcosa per evitare di ritornare in quella stanza e parlare con la figlia, ma non gli venne nulla in mente di ragionevole. Cominciò a sudare. Ma perché quella cazzo di ragazzina gli faceva così tanta paura? La donna, con il capo, gli fece segno di muoversi, lei non avrebbe mosso un dito, era sfinita; stese le gambe, le dita dei piedi. Francesco ingoiò il rospo, si mosse verso quella maledetta camera. La odiava. Rimase immobile, di fronte la porta bianca, per qualche minuto. Quando si decise a bussare, il pugno alzato, la porta si aprì da sola. Alessandra.
Che vuoi?
Io…
Che fai con le scarpe di mia madre in mano?
Le scarpe? No… io
Già che vai in bagno, portami le Vans nere, sono nella scarpiera, ti aspetto in salone. Fai presto che devo uscire
Se ne andò, lasciando Francesco irrigidito, l’amica alle sue spalle, che a stento tratteneva le risate. Resistere. Si riprese, decise di eseguire gli ‘ordini’. Per quanto cercasse di convincersi che stava solo lavorando, non riusciva a non pensare che quella ragazzina gli avesse appena dato un ordine. Mise a posto i tacchi neri di Giulia, con cura, prese le Vans di Alessandra. Le guardò per un attimo, poi tornò nel salone, dove trovò le tre donne che discutevano amabilmente; Giulia era ora seduta, sempre sul divano, al suo fianco le due ragazze. Quando lo videro arrivare si girarono verso di lui. Tutti quegli occhi addosso.
Fra’ non hai chiesto per la cena alle ragazze?
È un po’ timido ma’, lascialo stare
Alessandra sorrideva gentilmente, come mai in tutta la giornata. Cosa era accaduto? La cosa mandò in confusione Francesco.
Quelle sono le mie scarpe?
Eh? Ah sì, come mi hai chiesto.
Gliele porse. Alessandra si infilava le scarpe, Sara, notò Francesco, le sussurrò qualcosa nelle orecchie e scoppiarono a ridere. Comprese solo qualcosa come ‘-re a lui’.
Noi andiamo, ci vediamo a cena, allora
Ciao Ale, ciao Sara, a più tardi.
Le due si diressero verso la porta d’ingresso, Francesco le guardava; sulla soglia della porta Alessandra ricambiò lo sguardo e, prima di sparire oltre limes, gli lanciò un lascivo occhiolino. Il giovane governante se la cavò davvero con la sua lasagna; certo non era la primissima volta che metteva mano ai fornelli, ma non era nemmeno un grande cuoco. Ci mise tutto sé stesso, davvero voleva farsi perdonare. Carla, la sua fidanzata, pensava fosse un’esagerazione, avrebbe dovuto far finta di nulla e andare avanti; tutti possono sbagliare, diceva, Giulia era una persona intelligente, lo avrebbe capito. Francesco, però, non la vedeva così, affatto. Solo un gesto concreto gli avrebbe aperto la porta del perdono. Carattere. Quello che per i più poteva essere una fesseria, lui la rendeva una questione di stato. Giulia quel pomeriggio non si schiodò dal divano nemmeno per un attimo, dormì alcune ore. Chissà cosa era accaduto a lavoro… era stremata. La sua era una posizione delicata, ogni giorno aveva a che fare con problemi di vario tipo, clienti folli o esigenti, colloqui con i capi dell’azienda, richieste continue dei dipendenti, insomma, i soliti problemi di chi lavora a contatto con il pubblico. Ogni tanto Francesco ripensava al vecchio lavoro, in fondo gli piaceva stare lì.
Che buon odore!
Ti piace? Sono contento…
Ho un sonno… sono stremata
Francesco le riempì un bicchiere d’acqua, prima che la donna potesse continuare. Quella, sorpresa per il gesto, sorrise.
Mi leggi nella mente adesso?
No è che… sei stanca, vorrei…
Cosa vorresti?
Farmi perdonare
Giulia chiuse nella gola la risposta che stava per dargli, fece un largo sorriso, si avvicinò al giovane e gli stampò un altro bacio sulla guancia. Francesco era al limite, tutte quelle emozioni, in una sola giornata. La donna uscì dalla cucina e prima di andarsene lanciò al ragazzo un occhiolino complice. ‘Che bella… sembra Alessandra’. Erano le 21:30. Francesco sentì il campanello di casa suonare, gli si rizzarono i peli delle braccia. Andò ad aprire. Alessandra sembrava un’altra di fronte la madre, si comportava normalmente. La cosa rincuorò il giovane che, in tal modo, sapeva di poter passare alcune ore di tranquillità. Apparecchiò la tavola mentre le ragazze si rinfrescavano in bagno, Giulia attendeva sulla sedia, al tavolo, facendo chissà cosa con il suo telefono, le gambe accavallate, i piedi nudi. Dopo qualche minuto furono tutte a tavola. Francesco aveva, ovviamente, apparecchiato per quattro. Notò una cosa strana. Alessandra, prima di sedersi, osservò la tavola, i piatti. A cosa pensava? La vide fare un leggero risolino, poi portarsi l’indice alla bocca. Era una tipa davvero strana. Che cosa avesse attirato la sua attenzione, su quella tavola spoglia, non lo sapeva. Ma era il momento di tirar fuori la fatica del pomeriggio. Il ragazzo era tutto un brivido, un’emozione. Aveva riposto tutte le sue speranze in quella pietanza. Lì dentro c’era il suo futuro lavorativo, la sua reputazione, dignità, da buon lavoratore; ma soprattutto c’era la possibilità di riacquistare la fiducia dell’adorata Giulia, cosa che più gli premeva. Lì dentro c’era, insomma, tutto. Aprì il forno, prese la teglia fumante, la sollevò con estrema attenzione; alle mani aveva presine. Calore. Pronto, si diresse verso il tavolo. Accadde in un attimo. Francesco, ancora oggi, nelle buie e gelide sere d’inverno, si chiede perché accadde. Per anni ha cercato un colpevole, ancora oggi è convinto del fatto che, dietro l’accaduto, ci fosse lo zampino di Alessandra. Ma come avrebbe potuto? Quella era seduta alla tavola come tutte. Era folle solo pensarci, la colpa fu sua. Crede. La teglia gli scivolò dalle mani, o il suo piede si impigliò in qualcosa, oppure ebbe un mancamento, oppure chissà che diavolo accadde, e tutto finì per terra, ai piedi di Giulia, che rimase impassibile. Un botto, un fallimento. Le ragazze sobbalzarono e si affacciarono per vedere che cosa avesse combinato quel cretino. Gran parte della cena finì in terra, una piccola parte sul piede di Giulia, tra le dita e un po’ sul tallone. Vetri dappertutto; uno di questi, minuscolo, le tagliò superficialmente il dorso del piede. Sangue. Silenzio. Francesco provò sensazioni indescrivibili, un misto di rabbia, paura e delusione, la sua speranza in frantumi, tutto in terra, in mille pezzi; non aveva il coraggio di guardare in faccia Giulia. La sua Giulia. La psiche del giovane, per tutto il giorno messa duramente alla prova, si frantumò proprio come quella teglia. Si gettò in terra, ripiegato su sé stesso afferrò il piede della donna e prese a baciarlo, chiedendo perdono; la donna, per istinto, lo ritrasse; il giovane, come fosse un automa, mancando dell’oggetto desiderato, prese a baciare in terra, proprio dove quel piede aveva toccato. Subito Alessandra, dietro la madre, fece un veloce movimento con le dita, leggero, strinse le spalle della donna con una dolce convinzione, sussurrandole qualcosa nell’orecchio; Giulia, allora, come colpita da una vibrazione, lasciò andare quel dolce piedino, riportandolo al viso di Francesco, che lo cercava. Il giovane, distrutto, aprì la bocca e prese a mangiare quel che della cena era finito sul piede della donna. Diceva cose incomprensibili. Giulia paralizzata; Sara disgustata; Alessandra aveva stampato in faccia un sorriso demoniaco. Francesco con ampie boccate mangiava il cibo dal piede, leccava tra le dita, le succhiava, assicurandosi di pulire tutto. Doveva tornare perfetto, come prima. Poi passò al tallone. Al contempo baciava, baciava, baciava, con una foga inaudita, continuando a chiedere scusa. Reggeva quel piedino dalla pianta, leggermente sollevato, quasi come fosse una reliquia.
La ferita!
Una frase, un ordine. Francesco, ancora oggi, se qualcuno glielo chiedesse, giurerebbe di aver sentito quelle parole. Ma non riuscì mai a spiegarsi se furono davvero pronunciate o furono il frutto della sua mente. Di una cosa era certo… la voce era quella di Alessandra. Ricevuto l’ordine, come fosse un cane, leccò la piccola ferita sul dorso del piede. Ansante, carezzava quel piedino con la lingua, la premura di una madre. Durò alcuni minuti. Quando ebbe finito con il suo lavoro, sempre ripiegato su sé stesso, fronte a terra, si allontanò. Rimase in quella posizione per alcuni minuti. Non aveva il coraggio di alzare la testa; chi mai avrebbe avuto il coraggio di incontrare quegli occhi dopo quello che aveva fatto.
A-adesso va…
Francesco si alzò in fretta e corse fuori da quella casa.
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