| V. Alessio Pisani passeggiava tranquillo, godendosi l’aria fresca serale sul volto. Quella sera si sentiva irrequieto. Più volte si guardò alle spalle, sentendosi osservato e seguito: una sensazione spiacevole e inquietante. Ancora non aveva ricevuto risposta dal Professor Ranieri, e la cosa sembrava sospetta: lui era sempre stato un docente molto efficiente e disponibile. Si era assentato già più volte nel giro di alcuni giorni e non aveva lasciato alcuna comunicazione. Era stata Ester a tenere le sue lezioni ed era sempre stata molto vaga sul motivo del reiterarsi delle assenze del professore.
L’attenzione di Pisani fu catturata da una ragazza seduta su una panchina intenta a fumare. Quella ragazza era stravagante ed eccentrica, aveva dei capelli a caschetto biondi così chiari e lucenti da sembrare quasi bianchi, e la cosa andava a contrastare con la sua maglietta nera, e, notò Pisani avvicinandosi sempre di più a lei, nero era anche il colore dei suoi occhi. Cosa che contrastava a sua volta con una dose eccessiva di trucco sul suo volto. Indossava inoltre una graziosa montatura di occhiali da vista. Il colore del rossetto era bordeaux. Aveva alle mani delle lunghissime unghie finte di vari colori, tra cui rosso, celeste e rosa. Pisani esitò. Fissò per qualche istante quella ragazza dall’aria sinistra. Era sicuro di averla già vista da qualche parte. Forse stava dando troppo spazio all’immaginazione, ma ebbe l’inspiegabile sensazione che quella ragazza non fosse lì per caso. Ma lei non diede l’impressione di aver notato che uno sconosciuto l’avesse fissata fin troppo a lungo. Oppure stava semplicemente fingendo di non essersene accorta. Tutto quello che fece fu dare un’occhiata veloce e indifferente a Pisani, per poi tornare a dedicarsi al fumo e a chissà quali pensieri. Pisani si costrinse ad ammettere di aver lavorato troppo di fantasia ed entrò nel pub verso cui era diretto quella sera.
«Che faccia» fu il saluto di Giusy, una delle migliori amiche di Pisani non appena lo vide. «Tutto ok Ale?». Giusy si era laureata alla triennale con Pisani, ma non aveva proseguito gli studi. Aveva trovato lavoro e non sentiva l’esigenza di continuare a studiare. Era una ragazza di media statura, aveva dei lunghissimi capelli neri e un viso molto grazioso, non era eccessivamente in carne ma era molto formosa, generosa soprattutto di seno. «In realtà sono un po’ pensieroso» riferì Pisani, ordinando una birra. «Il Professor Ranieri… tieni presente vero?». «Sì» confermò Giusy. «Ecco, io intendo preparare con lui per la tesi della magistrale. Ma sembra essere sparito. Non risponde alle mail, non si è presentato all’appuntamento a ricevimento e non sta venendo a lezione». «Sarà malato» buttò lì Giusy, anche se sembrava incerta. «Perché ti turba così tanto l’assenza del prof?». «Io…» cominciò Pisani, ma non terminò di dire ciò che pensava. «Tu?» chiese Giusy, visibilmente preoccupata. «Hai paura possa essergli successo qualcosa?». Ma Pisani non stava dando ascolto a Giusy. Si era accorto che la ragazza eccentrica che aveva visto sulla panchina era appena entrata nel pub, e la cosa ebbe l’effetto di far lavorare di nuovo la sua mente a gran velocità. Ma lei non diede il sentore di averlo notato. Si sedette al bancone e ordinò anche lei una birra.
Pisani tornò in sé e guardò Giusy negli occhi. «Guarda quella ragazza che è appena entrata» le disse sottovoce. «Non è inquietante? Non farti notare però». Giusy osservò la ragazza per poi tornare a guardare Pisani. «Ale, ti senti bene?» gli chiese preoccupata. «A me sembra una ragazza normalissima. Cosa c’è che non va in lei?». «Non lo so» si costrinse ad ammettere Pisani, «ma a un certo punto ho avuto una sorta di sesto senso». Giusy lo ascoltava sempre più preoccupata. «Era seduta su una panchina là fuori» proseguì Pisani, «sembrava come se stesse aspettando qualcuno o qualcosa. A una certa ho quasi pensato che fosse lì per me. Ed ora entra in questo pub». «Be’» commentò Giusy incerta, «tantissime persone entrano ed escono da questo pub. Non lo so, Ale, perché dovrebbe essere qui per te? Cioè… anche se fosse, perché non si avvicina e ti parla?». «Forse aspetta che io stia da solo» suggerì Pisani. «Magari mi sta solo spiando» azzardò a un certo punto, a disagio. Giusy inarcò le sopracciglia. «Non credo che stesse aspettando che tu fossi solo» ribadì Giusy. «Altrimenti ti si sarebbe avvicinata quando l’hai vista di fuori. E perché mai una sconosciuta dovrebbe pedinarti?» gli chiese scettica. «Senti, non lo so» ribatté Pisani. «So solo che ultimamente stanno succedendo cose strane». «Cose strane?» ripeté Giusy. «Un professore che non risponde ad una mail e si assenta per qualche lezione… una ragazza che entra in un pub a bere una birra. In effetti è stranissimo. Nessuno mai ha fatto una cosa del genere». L’ironia della ragazza era piuttosto tagliente, e Pisani ne sembrò irritato. «Dai, sono serio!» disse Pisani. «Ma questa non è l’unica cosa strana». «Senti, vuota il sacco» disse Giusy, che aveva abbandonato l’ironia e sembrava nuovamente preoccupata per l’amico. «Vuoi dirmi cosa succede?».
Pisani parve riflettere. Era come se si stesse decidendo ad ammettere qualcosa a fatica. «Credo che l’assistente del Professor Ranieri mi abbia preso di mira. Secondo me si diverte ad umiliarmi». Lo scetticismo di Giusy non si lenì. «Facciamo finta sia vero» disse la ragazza, che non capiva dove il complottismo di Alessio Pisani stesse andando a parare, «ma non riesco a capire che nesso ci sia tra l’assenza del prof, la sua assistente che ti ha preso di mira e la ragazza che è entrata nel pub a bere una birra». Pisani sembrò sconcertato. Era come se stesse cercando di mettere in piedi un castello di carte su di un piano instabile in una giornata molto ventosa. «Il professore di Antropologia si sta dedicando a degli studi molto particolari» spiegò Pisani. «Andrà all’estero per autenticare la traduzione di tre tavolette molto antiche. Tre tavolette su cui ci sono scritte delle cose». «Alessio, non ti seguo» disse Giusy, scuotendo la testa. «Secondo me sei solo molto stressato per gli esami e la tesi, e ti capisco». «No che non mi capisci!» urlò Pisani sbattendo il pugno sul tavolo, facendo sobbalzare Giusy. «Sai chi probabilmente parteciperà al progetto, andando a fare questo soggiorno all’estero?». «Chi?». «L’assistente del Professor Ranieri». Giusy sembrava disorientata. «Va bene, basta» gli disse. Ora sembrava molto preoccupata. «Stai avendo una crisi di nervi, Ale. Hai assolutamente bisogno di una bella dormita». «Non ho bisogno di dormire!» protestò Pisani. «Quello che volevo dirti è che… be’, a me piacerebbe andare all’estero e partecipare a questo progetto. Giusy, pensaci! Per il curriculum sarà oro!». Giusy quasi sobbalzò. «Ma se nemmeno sei ancora laureato alla magistrale… non prenderanno mai te, dai Ale sii realista! L’assistente del prof è una dottoranda come minimo, tu hai solo la laurea breve». Pisani arrossì. «E con questo che vorresti dire?» sbottò il ragazzo. «A breve sarò laureato alla magistrale». «A breve» sbuffò Giusy. «Quanto a breve? Devi sostenere ancora gli esami del secondo semestre, poi devi scrivere una tesi e discuterla, passeranno mesi e mesi. Nel frattempo di tavolette ne avranno tradotte non tre, ma trenta. Immagino che l’assistente del prof abbia un curriculum molto più interessante del tuo». «Giusto» disse amaramente Pisani. «E poi è una donna, vero?». «Scusami, ma che c’entra questo?» chiese Giusy, che sembrava ormai scocciata dalle farneticazioni dell’amico. «E lei è tutta quella che dice che il femminismo è importante, il femminismo così, il femminismo così…» continuò il ragazzo, che parve non aver sentito Giusy. «Ma in verità lei non cerca la parità dei sessi. Lei odia i maschi e si diverte a ridicolizzarli. Avrà sedotto il Professor Ranieri, qualche mezzo ha usato! È solo una pazza. Sapessi quant’è estasiata dalla violenza delle donne contro gli uomini. Lei se potesse mi calpesterebbe in aula davanti a tutti». Giusy mise d’istinto la mano sulla fronte di Pisani come a voler controllare se avesse la febbre. «Secondo me sei accecato dalla gelosia» disse infine. «Sei semplicemente invidioso che lei prenderà parte a questo progetto ambizioso e tu non potrai, e questo posso capirlo. Ma stai tranquillo, Ale: arriverà la tua occasione». Sorrise e gli fece una carezza affettuosa sulla guancia. «E stai molto attento prima di fare una qualsiasi accusa senza un minimo straccio di prova».
Improvvisamente accadde qualcosa che interruppe la loro conversazione. La ragazza dai capelli lucenti si avvicinò al loro tavolino. Non si avvicinò però a Pisani, né gli rivolse lo sguardo né tantomeno la parola: fu a Giusy che parlò. «Avete da accendere? Non trovo più l’accendino». Benché dimostrasse di avere su per giù dai 20 ai 25 anni circa, la ragazza aveva una voce piuttosto infantile per la sua età. Giusy studiò per qualche secondo la ragazza eccentrica. «No, mi dispiace» le disse infine. «Non fumiamo». «Non fumate?» chiese la ragazza eccentrica, con un tono quasi supplichevole, infantile e forzato, che Pisani interpretò come canzonatorio. «Che peccato». Fece una strana risatina. «Però fate bene dai. Ciao ciao». La ragazza mandò un bacio con la mano a Giusy, si voltò e andò via, continuando a ignorare Pisani.
«Ecco, lo vedi?» urlò Pisani, sbattendo per l’ennesima volta in quella serata un pugno sul tavolo. «Avevo indovinato. Quella tipa era qui per me». «E se era qui per te perché non ti ha parlato?» chiese Giusy esasperata, come a sfidarlo. «Non lo so, ma perché su tante persone che ci sono qui dentro si è avvicinata proprio a noi? Non è andata a chiedere da accendere a nessun altro se tu non lo avessi notato. Se la sua reale intenzione era quella di trovare un accendino non si sarebbe fermata solo al nostro tavolino. Non possono essere solo delle coincidenze, sotto c’è qualcosa di molto strano!». «Secondo me ci ha solo sentiti parlare e ha ritenuto assurdo quello che hai detto e si voleva fare due risate» buttò lì Giusy, che poi si alzò. «Io torno a casa» aggiunse, sbadigliando. «Sono molto stanca e ho bisogno di riposare. Ma tu ne hai più di me. Torna a casa e fai una bella dormita. Buonanotte Alessio».
VI. «Schiavo ho voglia di un caffè. Sbrigati!». Ester era a casa sua dove viveva ormai da sola. Si stava rilassando sul divano facendo zapping alla tv. Aveva incaricato il suo schiavo personale di ricopiarle dei documenti in un unico file al pc, ma non disdegnava di farsi viziare con faccende domestiche. Si divertiva tanto a distrarlo dai compiti che gli aveva assegnato per fargli fare altro e adorava farlo stancare. Adorava poi punirlo quando non tornava velocemente a fare quello che stava facendo prima, per dimenticanza o per stanchezza. «Ecco il caffè, padrona» disse lo schiavo dopo qualche minuto, porgendole una tazzina. «Siediti un attimo qui vicino» gli disse Ester. «Ho un altro compito da assegnarti». «Entro quanto tempo?» le chiese lo schiavo, un po’ preoccupato. Con tutta la naturalezza di questo mondo Ester si alzò e gli diede un forte e rumoroso schiaffo sul viso. «Non devi perdere tempo a fare domande stupide come te» gli disse. «Ti conviene eseguire gli ordini se non vuoi ritrovarti la faccia piena di schiaffi. Poi come giustifichi le guance tutte rosse a tua moglie?». Ester fece una smorfia sadica. «Chiedo scusa, padrona» disse lo schiavo. «Va un po’ meglio» disse Ester. «Anzi, ora ringraziami perché ti concedo l’onore di stare seduto mentre ascolti un mio ordine». «Grazie padrona» mormorò lo schiavo.
L’uomo si guardò in giro nella stanza e si diresse verso una sedia per poi afferrarla. «Cosa credi di fare?» gli gridò contro Ester. Lo schiavo la guardò interrogativo. «Non dovevo sedermi?» chiese lui, incerto. «Ah-ah!» si beffò Ester di lui, facendo una risata forzata. «E tu credevi di poterti sedere su una sedia come un essere umano che ha anche dei diritti? Quanto sei ingenuo. Ti devi sedere per terra, ai miei piedi. Com’è normale per uno schiavo nei confronti della sua padrona». L’uomo obbedì meccanicamente e si sedette per terra, molto vicino ad Ester. Sentì il cuore che iniziava ad accelerare, ma non ne fu stupito. La vicinanza con una ragazza così bella, giovane ed austera lo eccitava sempre come un matto, ed ogni volta era come la prima, se non addirittura ancora meglio. Ester, che aveva le gambe comodamente poggiate sul divano, gli porse un piede velato dalle calze. «Bacia la punta e chiedi scusa per essere stato così sfacciato». Lo schiavo, con ormai il membro alla massima eccitazione, le baciò le dita e le chiese scusa. Tremò intensamente quando le sue labbra ebbero contatto con la morbida pelle profumata della sua padrona. Dopodiché Ester gli porse il dorso della mano. «Ora baciami la mano e ringraziami per tutti questi onori che ti sto concedendo oggi». Con una passione ancor maggiore e col cuore che batteva ancora più forte, col membro che ormai pulsava all’impazzata, l’uomo afferrò la sensuale mano di Ester e gliela baciò delicatamente. «Sei eccitatissimo, vero?» gli chiese Ester dolcemente, sfiorandogli il sesso con l’alluce e facendolo trasalire. «Ti devi trattenere però». Con queste parole lo gelò completamente, ma allo stesso tempo la cosa non faceva che aumentargli l’adrenalina in corpo, e il tono sensuale della ragazza contribuiva di parecchio. «Quando avremo finito il lavoro, se sarò soddisfatta e avrò ottenuto i risultati che spero… be’, ti farò godere in un modo che ricorderai per tutta la vita».
Lo schiavo di Ester tremò. Per lui tutto quello che stava accadendo era inferno, purgatorio e paradiso messi insieme. Per qualche istante pensò ai suoi figli ormai adulti. Cosa avrebbero pensato di lui se lo avessero visto prostrato e annullato al cospetto di una studentessa aspirante docente universitaria, una ragazza che dall’età sarebbe potuta essere sua figlia? Che idea si sarebbero fatti di lui se avessero saputo che era lui a sgobbare e a scrivere documenti lunghi chilometri? Cosa avrebbe pensato sua moglie? Ma allo stesso tempo guardava in alto verso la donna che stava adorando. Guardava i suoi capelli, che ai suoi occhi la facevano apparire come una creatura angelica, le sue labbra sensuali e perfette, le mani dalle dita affusolate, il suo odore che gli inebriava tutti i sensi, le sue gambe così sexy… l’uomo si perse in questo turbinio di pensieri, conscio come non mai che l’unica cosa autentica che negli ultimi anni l’avevano fatto sentire vivo come non mai era Ester. Sì, la cosa più giusta da fare nella sua vita era servire Ester, annullarsi a lei e farle da schiavo.
«Ora» disse Ester facendo trasalire l’uomo e destandolo dai suoi sogni, «mettiti al pc e torna a sgobbare per me. Ti legherò i piedi, così non potrai muoverti finché non l’avrò deciso io. So che sei molto eccitato, ma devi restare concentrato. Altrimenti me la pagherai. E poi sarà peggio per te, perché in tal caso ti farò aspettare una vita per godere. Non ti resterà che soffrire, mio schiavo». Lo schiavo si alzò e si diresse alla scrivania. Ester gli legò le caviglie con dei nastri di seta rossi. «Sei un pupazzo nelle mie mani, sei in mio pieno potere, e il bello è che ne sei perfettamente consapevole» gli sussurrò divertita nell’orecchio, e l’uomo rabbrividì quando Ester gli alitò tra il collo e l’orecchio. Gli grattò collo e spalle con le unghie, che quel giorno erano lunghe e smaltate di trasparente. Poi gli diede un bacio caldo e passionale sul collo, rendendoglielo umido. L’uomo dovette mettere insieme tutto il suo autocontrollo fisico e mentale per non venire. Ricevere dei baci così intensi dalla sua padrona rappresentava per lui una gioia inqualificabile. «Se tua moglie vuole fare l’amore con te stasera, o inventi una scusa o comunque fai quello che ti pare ma non devi assolutamente venire. Se ne sei capace. Ma è arrivato il momento di tornare seriamente al lavoro. Fai qualche ricerca, spulcia pure tra letteratura, cinema e musica. Sport, se necessario. Tutti episodi in cui uomini sono stati vittime di donne, sopraffatti da esse. Ma bada bene: non cerco uomini che ne traggano piacere. Che siano episodi di dominio autentico, assoluto. Che poi la sopraffazione sia fisica o morale poco importa».
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