| Ciao a tutti,
inizio a condividere il racconto di una storia realmente accaduta, ormai diversi anni fa, che sto scrivendo per diletto e per il piacere di rivivere quei ricordi. Alcuni episodi saranno inevitabilmente romanzati, ma più che altro per cercare di rendere la lettura più scorrevole ed evitare una corrispondenza troppo evidente con certi dettagli.
Buona lettura! Atel
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Durante l’università, per un anno, mi ritrovai a condividere casa con due ragazze, a Milano. Entrambe le mie due coinquiline erano di qualche anno più grandi di me. Una, Silvia, aveva 27 anni, e veniva a Milano esclusivamente durante la settimana per lavoro. Utilizzava la stanza come un appoggio per evitare di fare avanti e indietro dalla sua casa in provincia, dove tornava ogni fine settimana a stare dai suoi genitori. L’altra, Giada, era una studentessa lavoratrice, più lavoratrice che studentessa a dire la verità. Quando la conobbi aveva 25 anni, stava quasi per terminare la sua triennale in sociologia e si manteneva nel frattempo lavorando come barista in un locale non lontano dalla casa in cui vivevamo. Io, all’epoca poco meno che ventitreenne, ero alla mia prima esperienza fuori casa, dopo aver terminato la triennale in una piccola università di provincia.
Io, Silvia e Giada componevamo un terzetto stranamente assortito. Silvia tendeva a stare molto sulle sue, la vita a Milano era per lei solo una parentesi, le serviva per non ridurre le sue giornate a un continuo viaggio su un treno regionale e questo atteggiamento si rifletteva molto nel modo in cui viveva la casa e la relazione con noi. In generale era anche una tipa simpatica e che quando voleva poteva essere estroversa, semplicemente si vedeva che non le interessasse molto costruirsi dei nuovi rapporti. Era alta e snella, biondo cenere, sempre sobria ed elegante nel vestire. Per alcuni la sua magrezza poteva essere un difetto vista la mancanza di forme, ma io ricordo di averla trovata sempre molto armonica e affascinante.
Giada era l’esatto opposto di Silvia, era una di quelle persone talmente cariche di energia e voglia di fare che stando con lei ti sentivi sempre pieno di entusiasmo. Andavo d’accordo con entrambe, ma mi venne più semplice legare con Giada proprio perché grazie alla sua espansività passammo innumerevoli serate a bere, chiacchierare e fumare nel nostro salotto. Giada era bassina, sarà arrivata malapena a un metro e sessanta, ma con un fisico tonico e ben proporzionato. I capelli erano neri, mossi, lunghi più o meno fino alle spalle. Del suo viso erano gli occhi a colpire l’attenzione, molto grandi e intensi, scurissimi, che mi catturavano sia quando portava le lenti che quando portava gli occhiali (raramente, solo nei momenti di forte stanchezza).
Giada aveva un fidanzato a Milano, era una storia iniziata da pochi mesi ma era molto felice di come stessero andando le cose. Viste le delusioni che sia lei che il suo ragazzo avevano avuto in passato, stavano andando avanti con calma, senza correre. Anche Silvia aveva un ragazzo, che viveva però nel suo paese (stavano insieme da non so quanti anni ed erano praticamente una di quelle giovani coppie per cui il matrimonio, a meno di stravolgimenti, era solo questione di tempo)
Dal canto mio, ero un ragazzo sicuramente un po’ ingenuo e insicuro, ma con tantissima voglia di costruirmi un nuovo giro lontano dalla mia vita di provincia. Non fu facilissimo all’inizio crearmi amicizie, un po’ perché arrivando solo alla magistrale tanti gruppetti erano già formati, un po’ perché non ero bravo a cercarmi nuovi amici proattivamente. Anche per questo motivo mi ritrovai a passare molte serate a casa, spessissimo a chiacchierare e scherzare con Giada, mentre Silvia si perdeva in lunghissime telefonate nella sua stanza. Ho ancora molto vivido il ricordo di Giada che si rannicchiava, minuta com’era, sul nostro sgangherato divano, piegando le gambe sotto il sedere e chiedendomi se avessi voglia di aprire una bottiglia di vino. Solitamente le nostre serate iniziavano così e proseguivano finché il sonno o l’ubriachezza non prendevano il sopravvento. Giada aveva un’altra abitudine, che poi fu quella che scatenò la storia che ci ritrovammo a vivere, cioè di camminare per casa sempre scalza. La maggior parte delle volte camminava a piedi nudi, ma anche quando indossava dei calzini, dopo un po' che eravamo sul divano, era solita sfilarseli. Io ero già consapevole delle mie fantasie sui piedi e sulla dominazione femminile, per cui fui felicissimo di aver trovato questa nuova amica, per di più mia coinquilina, che aveva anche questa abitudine che stuzzicava la mia eccitazione. Spesso indugiavo con lo sguardo, discretamente, su quei piedi scoperti, immaginando di poterne sentire l’odore. Evidentemente, però, tanto discreto non dovevo essere, perché dopo 3 mesi, durante una delle nostre chiacchierate un po’ più alcolica del solito, Giada mi chiese:
“Ste, ma ho qualcosa sul piede?”
“E che ne so, perché?” mi finsi un po’ stupito, ma avevo capito subito dove rischiava di finire la conversazione.
“No è che mi pareva che ti ci eri fissato, pensavo di avere qualcosa”
“No no, scusa, stavo con lo sguardo perso nel vuoto un attimo. Oh, stiamo oltre metà della seconda bottiglia”
“Madonna, di già?”
“Di già” dissi sorridendo, contento di averla scampata
Giada si alzò lentamente “Direi allora che possiamo chiuderla qui, ho un sonno che mi sento distrutta” disse andando verso camera sua. Prima di uscire dalla sala si fermò un secondo sullo stipite della porta e si girò di nuovo verso di me.
“Oh però non era mica solo stasera eh, sarà una settimana che ti vedo con lo sguardo perso nel vuoto sui miei piedi” mi gelò e mi guardò dritta negli occhi, seria. Poi il volto si aprì in un sorriso e disse “se ti piacciono va bene, ma voglio saperlo…domani mi racconti un po’, ok?”
“…ok…” dissi, colto totalmente alla sprovvista ma felice di avere un po’ di tempo per ragionarci.
“Bacio…Notte!”
Quella notte ci misi molto a prendere sonno. Come potrete immaginare, i miei pensieri continuavano a tornare sulla grande figura di merda che avevo fatto e a come uscirne nel modo migliore. Il sorriso con cui Giada mi aveva lasciato mi faceva sperare nella possibilità di affrontare l’argomento in modo sereno e, addirittura, una piccola parte di me sperava che, se me la fossi giocata bene, avrebbe potuto essere l’occasione per trovare una compagna di giochi. C’erano alcuni dettagli che mi facevano essere ottimista ed erano quelli sui cui provavo a concentrarmi.
Innanzitutto, mi ripetevo, Giada sembrava molto aperta di mente. Aveva avuto tantissime esperienze in passato e ne parlava in modo disinvolto. Era inoltre una persona del tutto a suo agio con il sesso e con il suo corpo, piuttosto disinibita. Per farvi capire, ero in casa da neanche un mese quando me la vidi tranquillamente camminare in pantaloni e reggiseno, mentre decideva cosa mettersi. Quando si accorse di me mi chiese addirittura un consiglio sul suo abbinamento, senza alcun accenno di imbarazzo. Mi sembrava, poi, avesse un carattere molto deciso, ancora non avrei detto dominante, ma sicuramente incline a imporsi. Si trattava di piccole cose, come per esempio quando mi diceva “Stasera si ordina? Dai un occhio ai ristoranti e dimmi un cosa potremmo prendere”, oppure “Ste, c'è da portare giù la spazzatura". Non erano domande, ma richieste perentorie. Potevano essere dettagli e finora non ci avevo mai dato troppo peso, ma nella situazione in cui mi trovavo cercavo di leggere qualsiasi indizio per autoconvincermi che fra noi potesse iniziare qualcosa di divertente. Quando mi ricomponevo un attimo, però, mi ricordavo che era fidanzata, ben più smaliziata di me e che non aveva mai e dico mai accennato ad avere attenzioni o interessi, oltre a quelli di un amico, nei miei confronti. Insomma, pensavo tutto e il contrario di tutto e in questo stato d’animo dopo un paio d’ore mi abbandonai a un sono inquieto.
(continua)
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