| Quando ho pubblicato questo racconto non pensavo che avrei scritto un seguito. Ma dal momento che avete apprezzato...
PARTE 2
Quella sera andammo al cinema. Io, Beatrice e Sonia, ma prima di andare passammo a prendere una sua amica. Beatrice scese dalla macchina per andare a chiamarla e mi ritrovai da solo con Sonia. Subito nell’abitacolo calò un silenzio imbarazzante. Fui io a romperlo quando dissi, con la bocca impastata: “A proposito, Sonia, non ti ho più ringraziato per non aver… detto quella cosa a Beatrice.” “Certo che devi ringraziarmi.” mi rispose lei. Al contrario della mia, la sua voce era limpida e squillante, sicura di sé “Ma non certo così. Devi dire…” inghiottii un litro di saliva. Guardai verso Beatrice, che stava ancora aspettando la sua amica davanti al portone di casa sua. “Ma Sonia,” dissi sudando freddo “Beatrice è qui a due passi. Ho i finestrini abbassati. Mi sent…” lei mi interruppe con un’unica parola, pesante come un macigno: “Subito.” non avevo scelta. Cercando di tenere un volume di voce più basso possibile dissi: “Sono un pervertito schifoso e devo ringraziare la signorina Sonia Vasile se ho ancora una ragazza.” la stronza fu soddisfatta. Per qualche secondo restammo in silenzio. Forse la mia punizione per essere stato così imbecille da farmi sorprendere mentre annusavo gli stivali di Beatrice era finalmente finita “Ah!” esclamò Sonia facendomi sobbalzare “Dimenticavo! Stasera ognuno paga il suo, vero?” stava parlando della serata. Mi tranquillizzai. “Sì, Sonia. Abbiamo sempre fatto così.” le risposi “Il mio biglietto lo paghi tu. Dammi i soldi.” ordinò tenendomi la mano. No, decisamente la mia punizione non era finita. Rassegnato, tirai fuori il portafoglio e misi una banconota da venti euro nella sua mano. Lei non si mosse. “Ancora? Ma Sonia, sono venti euro!” “Muoviti o dico tutto a Beatrice.” rispose lei Voi che avreste fatto? Tirai fuori un’altra banconota, questa da cinquanta euro, e gliela misi in mano “Ora basta, dai, altrimenti non avrò soldi per pagare il mio biglietto.” dissi. Non credevo alle mie stesse parole: stavo usando un tono di scusa mentre le davo un quarto del mio stipendio! Sonia fu comprensiva. Si mise in tasca i soldi che le avevo dato e da quel momento in poi non disse più nulla.
“Luca!” esclamò Michelle, l’amica di Beatrice “Che hai fatto al braccio?” “Sono caduto.” mi giustificai io “E come hai fatto a ridurti in quel modo cadendo? Hai un livido lungo almeno mezzo metro!” riuscii ad evadere la sua domanda, per fortuna. Mentre le riaccompagnavo a casa non affrontammo più l’argomento. Non ero caduto, in effetti. Il fatto è che Sonia, quando va al cinema, ha l’abitudine di togliersi le scarpe. Erano le stesse infradito che aveva addosso quando era uscita dalla doccia quel pomeriggio. E purtroppo per me quelle infradito avevano una particolarità: avevano impressa l’impronta del piedino di Sonia. Un piedino perfetto, forse il più bello che avessi mai visto. Molto ma molto più bello di quello di Beatrice! Ed era lì: perfettamente impresso, come una fotografia, sul plantare di quelle infradito. Persi completamente la testa. Arrivai persino a pensare che forse potevo toccarle in qualche modo. Magari chinandomi per cercare qualcosa, mi sarebbe bastato persino poterle sfiorare con la punta del dito. Ma che diavolo stavo pensando? Quelle erano le ultime ciabatte al mondo su cui avrei dovuto fantasticare! Andai in bagno per buttarmi un po’ di acqua gelata sulla faccia e togliermi dalla mente quell’idea malata. Ad un tratto sentii la porta che si apriva alle mie spalle. “Occupato.” dissi. Ma quando mi voltai mi trovai davanti Sonia. “Che c’è?” domandai. Era arrabbiatissima. “Pensi che non me ne sia accorta?” disse “Di che cosa?” “Non fare l’idiota! gridò lei furente “Ho visto come guardavi le mie scarpe! Pensavo di avertelo fatto passare quel vizio dopo quello che è successo oggi!” divenni bianco come un lenzuolo. Idiota! Quanto ero stato idiota! È già abbastanza pericoloso mettersi a fissare le scarpe di una qualsiasi ragazza, di questi tempi, dovevo fissare proprio le sue? “Sonia, non so di cosa tu stia parlando.” provai a mentire. Non la convinsi. Mi arrivò un ceffone che mi fece girare la testa da un lato “E non vuoi neanche ammetterlo!” gridò Sonia prendendomi a pugni sul petto “Stronzo! Stronzo! Stronzo! Lurido pervertito!” dopodiché prese un cestino dell’immondizia, fortunatamente vuoto, che trovò lì vicino, e cominciò a picchiarmi con quello. “Ahi! Mi fai male!” gridai, tentando invano di difendermi col braccio “Sei uno schifoso! Una merda! Un verme! Non meriti nemmeno di esistere!” mi accucciai a terra piagnucolando. Lei mi guardò con disprezzo “Quanto mi fai schifo… fai più schifo tu dei cessi che sono in questo bagno!” disse. Poi si tolse le scarpe e, con mia grande sorpresa, cominciò a lavarle nel lavandino in cui mi stavo lavando la faccia fino a poco prima. “Che schifo! Magari mentre mi sono distratta le hai toccate… magari ci hai infilato il naso dentro. Blea! Magari ci hai messo dentro anche il tuo coso!” disse strofinando bene le sue infradito e riempiendole di sapone. Provai a farla ragionare: “Ma Sonia, come facevo a metterci dentro…?” “STA ZITTO!” urlò lei. Mi tirò una di quelle scarpe, bagnandomi tutto “Tu non ti devi permettere di parlare in mia presenza, è chiaro? Sei solo una merda schifosa!”. Abbassai la testa e rimasi in silenzio, mentre Sonia finiva di lavare e poi di asciugare le sue ciabatte. Non so se mi faceva più paura il fatto che potesse sputtanarmi con sua sorella o il suo modo di fare.
|