Vorrei condividere con voi questo racconto che ho provato a scrivere, in parte vero in parte no.
Non giudicatemi troppo aspramente, è il mio primo racconto
P.s. l'ho diviso in più parti altrimenti veniva troppo lungo^^La mia amica Beatrice - Parte 1Associamo spesso il ritorno a scuola come qualcosa di negativo: sveglia presto la mattina, il traffico in strada, le urla dei professori, i compiti… ma il primo giorno è sempre un’emozione: nonostante i ricordi spiacevoli legati alla scuola rientrare in classe dopo tre mesi di vacanza è sempre in qualche modo eccitante. Soprattutto se si tratta del primo giorno di scuola superiore.
Ricordo che arrivai presto per far bella figura con i professori e mi sedetti in terza fila all’angolo, contro il muro, per non dare troppo nell'occhio ma allo stesso tempo riuscire a seguire la lezione tranquillamente. Poco prima del suono della campanella arrivò una ragazza: statura media, un fisico snello e prosperoso con un visetto a primo impatto docile e paffuto. Lisci capelli biondi adagiati sulle spalle e un piercing provocante alla narice. Si guardò un attimo in torno, salutò una ragazza dall'altra parte della classe e si diresse verso il posto vuoto affianco al mio: uno dei pochi rimasti. Poggiò lo zaino sul banco e mi salutò con un sorriso socchiudendo leggermente gli occhi: erano verdi, grandi.
“Ciao piacere Beatrice!” mi disse
“Ei ciao io sono Antonio, piacere mio!” risposi preparato.
Parlammo del più e del meno per una decina di minuti, in attesa dell’arrivo della professoressa: scoprii che era stata bocciata per problemi familiari nei quali non avrebbe voluto essere coinvolta, difatti andava piuttosto bene a scuola tranne a fisica e chimica, dove le sue conoscenze vacillavano un po’.
Una fortuna per me dato che mi sono sempre appassionato alle materie scientifiche.
“Se vuoi posso darti una mano io, me la cavavo in fisica lo scorso anno” presi la palla al balzo.
“Come no! Se avrò qualche problema sarai il primo che chiamerò. Gratis però eh…!” sogghignò.
Poi entrò la professoressa e mi ammutolii, impaurito dall’idea di un richiamo il primo giorno.
Ero abbastanza soddisfatto di come erano andate le cose fino a quel momento; avevo già conosciuto una ragazza apparentemente molto simpatica e con un anno di “gavetta” alle spalle, segno che aveva più esperienza di me nella scuola e di certo non l’avrei buttata via.
Per il momento, infatti, non avevo alcun secondo fine se non uno: i suoi piedi. Per tutta la conversazione avvenuta poco prima ogni volta che si presentava l’occasione buttavo lo sguardo sui suoi piedi: indossava delle Converse rialzate nere, ma si intravedeva uno scorcio di caviglia a causa del risvoltino al jeans, che a me piaceva da matti. Ero stato più attento del solito per non farmi scoprire, o mi sarei rovinato i futuri cinque anni di liceo in quella scuola. Ma rafforzando il mio legame con lei e, perché no, anche con altre ragazze, avrei potuto benissimo soddisfare i miei desideri “nascosti”.
Le settimane passavano tranquille e tutti in classe cominciavano a socializzare e fare amicizia.
Beatrice mi presentò una sua amica (la ragazza che aveva salutato il primo giorno).
“Ciao sono Silvia! Tu sei Mazzarino giusto?” mi disse quasi sfacciatamente
“Mannarino. Ma chiamami Antonio per favore!” la buttai sul ridere.
Silvia era leggermente più bassa di Beatrice, con dei capelli castani tendenti al nero, due labbra carnose ed un seno fin troppo grande per la sua età. La cosa che più colpiva di lei erano però gli occhi: azzurri, glaciali, penetranti e grandissimi, quasi come se fosse un personaggio di un anime.
Dopo due mesi scarsi di scuola io e Beatrice eravamo ormai amici, ed avevo legato anche con tutti gli altri compagni di classe, chi più chi meno. Un giovedì mi arrivò la fatidica telefonata.
“Oi Anto sono Beatrice. Disturbo?” chiese gentilmente
“No figurati, dimmi pure” – “Senti hai presente che la Tenaglia ha fissato il compito di fisica sulla rifrazione il 2 del mese prossimo? Ecco io non è che ci abbia capito molto, mica potresti darmi una mano così non rischio di affossarmi fin da Ottobre?
Mi ero completamente scordato del compito di fisica e mancavano all’incirca due settimane. Avrei dovuto studiare anch'io, ma d'altronde avrei buttato al vento un’occasione d’oro.
“Certo che ti aiuto. Domani dopo allenamento ti va bene?” domandai
“Oddio grazie sei un tesoro. Allora ti chiamo io appena finisco atletica. Tu in caso aspettami sotto casa mia direttamente, tanto non dovrebbe esserci nessuno e abiti praticamente a due passi!”
“Perfetto. A domani allora, ciao!” e chiusi.
Ero al settimo cielo: anche se in chiave un po’ scolastica avevo un appuntamento con Beatrice e, come se non bastasse, era a casa da sola per più di due ore.
Così alle 16:00 uscii in motorino per andare ad allenarmi, mi feci una doccia, passai a prendere dei preservativi (non si sa mai) e parcheggiai di fronte casa di Beatrice.
Provai a suonare il campanello per vedere se era già tornata e mi aprii un paio di minuti dopo ancora mezza vestita da atletica: aveva i capelli legati in una coda di cavallo, era leggermente sudata ed indossava un reggiseno bianco e degli shorts grigi, sopra delle infradito che lasciavano intravedere il suo 37 di piede.
“Ciao Anto scusa l’aspetto sono tornata cinque minuti fa e non ho fatto in tempo neanche a disfare la borsa” disse, e mi fece accomodare in cucina offrendomi un bicchiere di succo.
“Tranquilla, fai quel che devi fare io aspetto” risposi speranzoso per quel che poteva accadere.
Lei si andò a fare la doccia senza chiudere la porta a chiave: non seppi mai se fu una specie di invito ad entrare ma trovai più saggio andare per gradi.
Mi sdraiai sul letto di camera sua e vidi il borsone dell’atletica poggiato sul cuscino. Pensai a quello che poteva esserci dentro; i suoi calzini, le sue scarpe e tutto il vestiario usato per allenarsi.
Sentivo l’acqua scorrere e mi azzardai ad aprire lentamente la borsa: sotto qualche attrezzo, una pettorina e qualche ricambio trovai una sacca rossa contenente un paio di Adidas leggermente insabbiate con all'interno un paio di fantasmini bianchi.
Avevo il cuore in gola. Ero ovviamente tentatissimo ma morivo di paura all'idea di essere scoperto, e così pensai: <ha cominciato la doccia da poco più di cinque minuti, non può finire così presto>. Mi imposi un tempo limite di tre minuti circa e cacciai i calzini dalla borsa.
Li annusai fino allo sfinimento, li leccai, me li misi in bocca e me li strofinai (quasi) ovunque.
Ovviamente il tutto non durò tre minuti: persi poco dopo la nozione del tempo e l’unica cosa che mi riportò alla realtà fu la voce squillante di Beatrice alle mie spalle
“Anto mi spieghi che cazzo stai facendo?”
Fine Prima Parte
Spero vi sia piaciuta la prima parte nonostante non succeda molto: ho voluto un po' "romanzare" il racconto.
A breve pubblicherò la seconda parte.