| Diciassettesimo episodio
Manfred Bauer guardava sua moglie con occhi compassionevoli. Lena si stava spegnendo pian piano e ormai era questione di poche settimane. Il cancro non rilasciava prigionieri. Non quello che aveva sua moglie. Guardò il dottor Wilhelm Bender mentre teneva la mano a sua moglie “ Dottore, dovrei parlarle” “ Certo, Herr Goldbrunner” “ Mi attenda due minuti, per favore” I due minuti servivano affinché i sedativi per Lena cominciassero a fare effetto. Ne passarono in effetti tre e finalmente la donna era sedata e i suoi dolori atroci erano messi momentaneamente in disparte. Lasciò lentamente la mano della donna e si avviò verso l’ingresso dove il dottor Bender lo attendeva “ Mi dica Herr Goldbrunner” “ Dottor Bender, io non ce la faccio più a vederla soffrire. E’ inutile, è puro accanimento. Non potremmo… Lei mi capisce vero?” “ Sì, la capisco. Lei vorrebbe l’eutanasia e sinceramente da medico non sono d’accordo ma da essere umano la comprendo. E’ sicuro?” “ Sono sicurissimo. Lei può alleviare la sofferenza di mia moglie?” Il dottor Bender annuì “ Credo di poterlo fare” “ E allora lo faccia, la prego. Il più presto possibile. Non è giusto che Lena continui a soffrire in questo modo” Il medico sospirò grattandosi la testa. Non era facile per un medico prendere una decisione del genere ma Goldbrunner era un pezzo grosso della comunità e non aveva voglia di andargli contro. Chissà chi era stato durante la guerra ma di sicuro non era stato un soldatino della Wehrmacht. Ma non erano problemi suoi. Quello che contava era che in fondo non aveva tutti i torti. Le medicine che dava a Lena erano ormai semplici palliativi e la donna soffriva le pene dell’inferno. Alla fine annuì “ Domani sera. E sua moglie smetterà di soffrire” “ La ringrazio dottore. Saprò ricompensarla” I due si scambiarono una virile stretta di mano dopodiché Bauer lo guardò uscire. Si mise alla finestra e si rese conto che il medico era ormai scomparso dalla visuale e che nessun altro girava per la strada, come del resto era consuetudine a quell’ora. A meno che non ci fosse qualche riunione tra camerati. Lì a Paso Bonilla solo alcuni conoscevano il suo passato ma molti sapevano che era stato un pezzo grosso e spesso i suoi compatrioti lo volevano come oratore per ricordare la potenza del terzo reich che, come la fenice, volevano far risorgere dalle ceneri. Il quarto reich era qualcosa di più di una semplice idea. Era qualcosa che poteva davvero nascere. Poi però guardò l’ora. Era in ritardo di dieci minuti e la sua padrona lo avrebbe punito. E si eccitò al pensiero. Uscì dalla sua abitazione facendo attenzione a non farsi notare e percorse quelle poche centinaia di metri che lo separavano dalla casa di Karin. Già, Karin. Perché si trovava a Paso Bonilla? Cercava di ragionare a mente fredda e la cosa continuava a sembrargli piuttosto strana. Possibile che gli alleati la stessero cercando soltanto perché era stata la sua amante? Era piuttosto anomalo ma non del tutto peregrina quell’ipotesi. Tutti quelli che erano stati vicini ai cosiddetti < criminali di guerra> erano stati ricercati e quando erano stati catturati erano dovuti passare sotto le forche caudine di un processo ma le donne… Le donne no. Gli alleati sapevano benissimo che le donne dei nazisti spesso erano figure marginali. Ce ne erano state alcune catturate e processate ma erano state parte attiva, come le coordinatrici dei campi di concentramento, ad esempio. Ma man mano che si avvicinava, tutti quei pensieri si affievolirono fino a scomparire del tutto quando, dopo aver suonato, Karin venne ad aprirgli. E rimase senza parole. Karin aveva fatto ricorso a tutto il suo sex appeal. Aveva indosso soltanto un bustino semitrasparente con delle splendide calze di seta fermate da un reggicalze e scarpe col tacco. Una visione straordinaria che lo fece deglutire nervosamente soprattutto quando la donna gli ordinò di mettersi in ginocchio per poi girargli intorno come una leonessa con la sua preda “ Hai quindici minuti di ritardo, schiavo. Pensi che io sia la tua fidanzatina che deve aspettare il suo uomo che torna dal lavoro?” “ Oh no padrona, ho dovuto attendere che Lena si addormentasse. Altrimenti non mi sarei permesso di farti attendere” Karin sapeva che probabilmente era vero ma era un’ottima scusa per poterlo punire e quindi di aumentare il suo potere “ Non mi interessano le tue scuse. Mi dispiace per quella donna ma avresti dovuto calcolare meglio gli orari per non far attendere la tua padrona. Subirai pertanto la giusta punizione. Non credi?” “ Sì padrona, è colpa mia e merito di essere punito” “ Allora comincia a spogliarti” gli ordinò andando in cucina per prendere quella che per lei era la perfetta sostituzione di un frustino ovvero una paletta di legno. Quando tornò Bauer era completamente nudo e con il pene sull’attenti. Era incredibile la risposta erotica che quell’uomo aveva mentre lei lo dominava. Lo fece mettere in posizione e poi, come la sera precedente, lo colpì innumerevoli volte sul suo sedere fino a vederlo striato di rosso. Lo fece girare e gli andò di fronte sorridendo. Vedeva Manfred con gli occhi bassi, incapace di sostenere il suo sguardo e si sentì potente come non mai. Poi gli afferrò i testicoli “ Aahh” urlò Bauer. Era doloroso. Le palettate sul sedere gli avevano fatto male ma la mano della sua padrona sui testicoli era insopportabile. Eppure non si mosse. Solo il suo viso testimoniava il dolore. Faceva smorfie e si mordeva il labbro inferiore “ Cosa c’è Manfred? Fa male?” “ Sì padrona, tantissimo” “ Pensi che mi possa interessare il fatto che tu stia soffrendo?” La donna aumentò addirittura la stretta e ancora una volta l’ex colonnello lasciò uscire un urlo strozzato “ Io… Non lo so, padrona” rispose poi l’uomo “ Vedi schiavo, più tu soffri e più io trovo soddisfazione. Cosa ti fa pensare questo?” “ Non lo so, non lo so” rispose Manfred quasi incapace di formulare un pensiero. Karin invece era incredibilmente calma. Sapeva di avere la situazione sotto controllo “ Oh, non ci arriva lui, poverino. Beh te lo spiego io. Significa che tu hai il dovere di soddisfarmi. Non lo credi?” “ Io… Sì padrona, vorrei soddisfarti” “ E allora devi soffrire. E’ un ragionamento logico e pure tu ci puoi arrivare. Quindi, mio caro schiavo, se aumento la pressione tu soffrirai maggiormente e io sarò più soddisfatta, se invece la diminuisco tu ti rilasserai ma io… Beh io non sarò soddisfatta. Cosa scegli?” Manfred osservò la donna. Era diversa da quella che aveva conosciuto lui tanti anni prima. Era più consapevole, era… Era la sua padrona e lui aveva il dovere di soddisfarla “ Stringi padrona, fammi male se questo ti può dare soddisfazione” Karin fece un respiro profondo. Era incredibile quel potere. Sì, lo aveva anche tanti anni prima ma era lampante come la situazione in realtà fosse diversa. A Berlino il suo era un potere fittizio mentre adesso sapeva che era vero e che Manfred avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Presa quasi da quel raptus di potere aumentò la pressione e Bauer credette di dover svenire da un momento all’altro ma poi lei si rese conto che non doveva esagerare e lo rilasciò. Che strana sensazione! Lo doveva consegnare a persone che lo avrebbero processato e condannato a morte e lei si stava preoccupando della sua incolumità. Ma in quel momento non aveva voglia di pensare a ciò che sarebbe accaduto in seguito. Voleva soltanto dominarlo. Lo afferrò per un orecchio trascinandolo con sé fino in cucina “ Sai quello che devi fare?” “ Devo prepararti la cena, padrona” “ E allora comincia a darti da fare. Sarò costretta a guidarti io visto che tu sei incapace di preparare qualcosa di decente per la tua padrona” Si mise seduta impartendo ordini secchi che non sempre Manfred riusciva a recepire per la sua totale incapacità di muoversi in ambito domestico e a ogni sbaglio si alzava sempre più innervosita “ Sei un idiota totale. Non sei nemmeno capace di servire la tua padrona” gli disse piena di rabbia. Ed era assurdo quel livore. Era completamente immedesimata in quel gioco da dover pensare che lui non fosse adeguato a lei. E la stessa cosa pensava Manfred. Era arrabbiato con sé stesso per la sua inettitudine e si riprometteva di imparare ad essere un vero schiavo domestico perché lui voleva davvero servire la sua padrona. Si inginocchiò infatti ai piedi di Karin “ Perdonami padrona. Sono un inetto ma ti prometto che se tu mi accetterai come schiavo io imparerò. Sarò quello che tu vorrai” Malgrado le scuse, Karin lo tempestò di sonori ceffoni che Bauer accettò ovviamente senza reagire. Venne poi il momento in cui l’uomo dovette servire la sua padrona. Era in imbarazzo totale, col pene sempre eretto e con l’eccitazione mentale sempre più alle stelle. Memore di quanto era accaduto la sera precedente, dopo aver portato i cibi a tavola e averle riempito il bicchiere con il vino, si mise in ginocchio sotto il tavolo. Era quello il suo posto dinanzi alla sua padrona. Attese poi che Karin gettasse il cibo per terra pronto a ingerirlo e naturalmente la donna non aspettava che quello. Lo guardava mentre con le mani dietro la schiena cercava di mangiare e non poté fare a meno di pensare che quella situazione era nello stesso tempo comica per chi la vedeva dal di fuori senza comprendere i meccanismi psicologici che si celavano all’interno di quel gioco, e altamente erotica per chi invece, come lei e Manfred, la viveva realmente. Mangiava lentamente e osservava il suo schiavo pensando nel frattempo a cosa fargli in seguito. Ancora una volta con le scarpe schiacciò il cibo per poi fargli leccare le suole sporche di quel cibo. Manfred leccava avidamente. La sua mente era del tutto vuota in quel momento. Gli unici suoi pensieri erano quelli di essere pronto ad obbedire alla sua padrona e ogni volta che lo faceva la sua eccitazione, fisica e mentale, aumentava considerevolmente. Che idiota era stato tanti anni prima! Sì, aveva trascorso bei momenti insieme a Karin ma solo quando aveva deciso di abbandonarsi completamente a lei quei momenti erano diventati straordinari. Dal canto suo, Karin continuava ad osservarlo sempre più eccitata. Aveva ancora del cibo dentro il piatto ma non ce la faceva più a resistere. Sospirò profondamente “ Basta! Adesso seguimi” gli disse e ancora una volta Manfred accolse con piacere quegli ordini brevi e secchi “ Sì, mia padrona” disse uscendo da sotto il tavolo e seguendo la sua padrona che si dirigeva verso la camera da letto. La ammirava, con quell’abbigliamento intimo, le uniche cose che indossava, che lasciava ben poco all’immaginazione. Karin aveva infatti deciso di puntare anche sul suo sex appeal che, abbinato alla dominazione, era diventato un cocktail esplosivo per Bauer. La desiderava come mai aveva desiderato qualcosa in vita sua ma non toccava a lui prendere iniziative e doveva attendere le mosse di Karin che, arrivata in camera, si denudò quasi completamente lasciandosi soltanto il bustino ormai slacciato. Lo afferrò per i capelli “ Lecca!” una sola parola, un verbo coniugato all’imperativo e Manfred si rese conto che stava quasi per venirsene. Doveva resistere anche se era maledettamente complicato riuscirci. Ma doveva farlo per lei, per la sua padrona. La sua lingua iniziò a muoversi sul clitoride di Karin che era uscito completamente fuori. Si sentì quasi in imbarazzo. Doveva leccare solo il clitoride oppure far entrare la sua lingua anche nella vagina? Decise per la prima ipotesi sperando che lei non avesse da ridire e Karin in effetti sembrò gradire moltissimo arrivando all’orgasmo in tempi ridottissimi. Karin respirò affannosamente. L’orgasmo clitorideo era differente da quello vaginale. Non sapeva definire se fosse migliore o peggiore ma sapeva che era diverso. Era più focalizzato, più centralizzato rispetto a quello vaginale che invadeva tutto il corpo. Ma era forse più intenso. Manfred la guardava e pensò di aver fatto un buon lavoro considerando come Karin aveva accolto quell’orgasmo. La donna si sedette sul letto per riprendersi “Vai a prendermi una sigaretta, schiavo” gli ordinò non appena si fu ripresa da quell’ondata di piacere intenso “ Subito padrona” Dopo pochi secondi Karin stava fumando beatamente ma di nuovo concentrata sul da farsi. Non era ancora giunto il momento del sonnifero. Oh no, non ancora. Voleva sfruttare ancora Manfred per il suo piacere. Diede alcune boccate alla sua sigaretta e poi guardò Bauer che continuava ad osservarla in religioso silenzio e naturalmente in ginocchio. Poi quell’idea… No, forse avrebbe esagerato. Però quell’idea era esaltante, troppo esaltante per non farlo “ Apri la bocca” Manfred obbedì senza domandarsi il motivo di quell’ordine. Cosa aveva intenzione di fare la sua padrona? Quando vide cha lei mise la sigaretta all’altezza della sua bocca, quasi non credeva ai suoi occhi. E quando la cenere scese all’interno di essa, rimase inebetito, completamente esterrefatto. Ma non si mosse. Se la sua padrona voleva usarlo come portacenere, ne aveva tutto il diritto. Aprì ancor di più la bocca per far capire a Karin che aveva accettato anche quello. E infatti la donna se ne rese conto. Era fantastico quello che stava vivendo e se aveva ancora qualche dubbio sul cambiamento di Manfred, ora non ne aveva più. Lui era veramente il suo schiavo. Fece scendere di nuovo la cenere all’interno della bocca dell’uomo e continuava ad osservarlo. Come era possibile che un uomo del genere, un uomo così sottomesso, si fosse macchiato di orrendi crimini? Non doveva farsi fuorviare da ciò che stava vivendo ma era impossibile non pensare che si trattava dello stesso uomo che le aveva messo le mani addosso, lo stesso uomo che forse l’avrebbe uccisa e che forse aveva sulla coscienza sua sorella Helga. Spense la sigaretta all’interno del posacenere e si alzò. Manfred era sempre inginocchiato e lei era ancora mezza nuda, con le sue parti intime in bella mostra dopo che aveva ordinato all’uomo di leccarle il clitoride. Non ci dovette pensare molto. Gli diede le spalle e si curvò leggermente “ Leccami il culo schiavo” Ancora una volta Manfred rimase di stucco. Erano tutte cose che non aveva mai fatto. Sedici anni prima Karin si limitava a dargli alcune sculacciate, un po’ di schiaffi che lui sentiva relativamente considerando il suo fisico atletico e poco altro. Era come se adesso lei stesse dando fondo a tutta la sua creatività. Quasi come se in quegli anni avesse avuto altre esperienze. E perché no? Non era certo l’unico uomo ad avere certi desideri e in fondo lui sapeva ben poco di come lei avesse trascorso quegli anni. Tutto poteva essere ma quello che contava era che ora c’era lui a farle da schiavo. Allargò dolcemente le natiche della donna e poi la sua lingua penetrò nel buchino posteriore di Karin. Prima solo la parte iniziale della lingua e poi sempre più a fondo. Karin non aveva mai provato quella sensazione. Era esaltante sia dal punto di vista sessuale che da quello psicologico. Lei era la padrona assoluta di quell’uomo tanto temuto. Riusciva a malapena a connettere e dovette toccarsi i seni mentre Manfred andava sempre più a fondo. Poi le mani si spostarono sulla vagina. Voleva sentire un piacere doppio e iniziò a penetrarsi con due dita. Ansimava sempre di più. Era un piacere che pervadeva tutto il suo corpo e che la stava facendo tremare. Arrivò quasi subito all’orgasmo e fu qualcosa di assolutamente impensabile e di grandioso. Si spostò e appoggiò le mani sul muro. Era incredibilmente soddisfatta ma non era ancora del tutto sazia malgrado quell’orgasmo eccezionale. Si sdraiò quindi sul letto mentre Bauer la osservava. Era felice nel vederla così soddisfatta “ Ti ho soddisfatta, padrona?” le chiese infatti quasi come un bambino che cercava il plauso dei propri genitori dopo un’azione compiuta bene. La donna invece non gli rispose, proprio per negargli quella piccola gioia “ Vieni qui. Non ho finito con te. Sei il mio giocattolo sessuale” “ Sono felice di esserlo, padrona” disse l’uomo salendo anche lui sul letto per ottemperare all’ordine ricevuto. Karin lo fece sdraiare. Il pene era ancora eretto malgrado fosse trascorso un bel po’ di tempo e la donna gli montò sopra. Manfred assisteva a quei gesti pregustando il momento. Poi sentì il meraviglioso calore della vagina di Karin. Quel momento valeva tutto quello che aveva subito e l’avrebbe rifatto sempre, ogni volta possibile perché quel piacere era qualcosa alla quale non avrebbe potuto rinunciare e si rese conto che forse, dopo tanti anni che la conosceva, si era innamorato di lei senza rendersi conto di non amare Karin ma ciò che lei rappresentava per lui.
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