| Episodio V – Piccoli campi nomadi crescono (starring : nerdyloser, 2 “patrone”, zingaropoli) Una dieta di solo caviale, tartufo bianco d’Alba o patè de fois gras può risultare noiosa nonché poco varia e salutare per il corpo e per lo spirito. Un bel piatto di bucatini all’amatriciana a volte si impone. Per questo scorgendo sullo scaffale romano un nuovo annuncio relativo a una coppia di procaci morone che si presentano come mistress originarie della terra carpatica e ben capendo che oltre al mistressaggio ci può scappare una sonora cavalcata (come confermato per telefono) l’embolo mannaro parte e mi precipito alla carica. A bordo del mio scooter gli eleganti palazzi umbertini di Porta Maggiore lasciano repentinamente il posto alle case popolari alte e regolari dell’edilizia sovvenzionata degli anni sessanta, a scampoli dell’agro romano, a vestigia di acquedotti romani fino a inoltrarmi in una terra di nessuno “senza tempo tinta” che non è più città ma non è ancora campagna. In questo empireo di capannoni industriali, campi incolti su cui insistono baracchette di legno, sfasciacarrozze, rutilanti e scintillanti Las Vegas per pensionati che vedono la soglia della povertà come l’asticella del Limbo Rock, in questo non luogo nascosto fra la Casilina e la Prenestina, in una stradina laterale vuota e brulla al di fuori di un arrugginito cancello mi attendono le due belle more. L’una avrà una 25ina d’anni l’altra una decina di più. I connotati tradiscono un’etnia marcatamente rom. La somiglianza è forte. Probabilmente sono cugine o addirittura sorelle. Sono entrambe carrozzate Abarth e anche un po’ culone e indossano (co so freddo) una retina nera e due body dello stesso colore su cui è incisa a caratteri dorati la parola “Sex” (devono essere cultrici della numerologia latina). Ai piedi, di rosso smaltati, bei sandaloni neri zeppatissimi di plasticaccia. “Io sono tua patrona!” mi comunica perentoria la più matura. “Bascia mi piede” aggiunge maliziosa l’altra. Io mi chino a tributarle il giusto saluto mentre un altro piedino mi si posa sulla schiena. Quando mi rialzo la mia “patrona” mi mette le mani sulla patta dei jeans. Er capitano sta già sull’attenti! Ricambio educatamente con una strizzata di quelle belle sisone e seguo le due cecione all’interno del cigolante cancelletto. All’interno uno sterrato di fanghiglia rossa, pozzanghere un po’ ovunque e in un ampio spiazzo è sito un tavolaccio di plastica dove bivaccano vociando sonoramente una dozzina di uomini e donne fra innumerevoli ¾ di Peroni aperte, mosaici di cartocci di Tavernello, fiumi di mozziconi di sigarette. In un tripudio di barbe incolte da ergastolani e panze alcoliche l’atmosfera è allegra e conviviale, mi salutano con ampi gesti e io ricambio. Seguendo le patrone dribblo una vecchia che spinge un passeggino da neonato contenente un ingranaggio motoristico e mi addentro in un folto dedalo di baracche di legno e casupole da cantiere in cui l’aria è pregna di urina, aglio e frittura. Il viaggio della speranza si conclude in una sorta di baracca priva di porta in cui si accede attraverso una specie di tenda di quelle fatte per tenere lontane le mosche ove la coppia di “patrone” intende svolgere la sessione. Ancor prima d’iniziare a disquisire del rate comprendo però che – seppur in cerca di un’atmosfera casereccia – questo è davvero troppo! Non lasciatevi ingannare dal mio nick, non sono magrolino né indifeso, ma qui l’atmosfera di pace può cambiare da un momento all’altro, sono lontano anni luce dalla civiltà e questi so almeno in quinnici per cui se je gira me purgano! Decido di optare così per una ritirata strategica da attuarsi con la diplomazia adeguata a non urtare la suscettibilità dei presenti che mi hanno accolto come un gradito ospite. Mascherando totalmente il mio disagio fra sorrisi e gesti rilassati eccepisco la mancanza di attrezzatura e chiedo alle “patrone” il permesso – accordato – di andare a prendere nel baule dello scooter il mio frustino personale da cui non mi separo mai. Facendo il percorso a ritroso gli amici della compagnia del tavolaccio sono intenti a canti e balli d’ispirazione etilica dal sapore squisitamente folk. Io passo lentamente e batto le mani a ritmo per mostrare la mia partecipazione. Uno zingarone dalla voluminosa silouetthe mi informa pertanto che siamo amici e mi da il cinque. Prendo congedo anche dall’amico ritrovato, infilo il cancello, la lentezza calcolata dei miei movimenti lascia il posto a una fretta nevrastenica. Inforco lo scooter e parto a tavoletta verso la civiltà!!! I miei ossequi
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