Questa è la storia di come la persona che chiamavo la mia Dea mi abbia distrutto la vita.
Ho deciso di raccontarla qui, perché parlare dei traumi e delle ferite che ci vengono inferti può aiutare a velocizzarne la cicatrizzazione. Farò in modo di non rendere in alcun modo riconoscibile la protagonista di questa vicenda, per scontate ragioni di privacy. Vi chiederei, preventivamente, delicatezza nei commenti. Come potete immaginare, si tratta di una vicenda dolorosa. Abbiatene rispetto.
Tutto comincia circa un anno fa, quando contatto una giovane mistress, di 10 anni più piccola di me, per una sessione. Io sono uscito da una storia di quasi otto anni e, benché siano trascorsi 11 mesi da quella separazione, ancora non mi sono ripreso. E forse è la mia fragilità che mi sarà fatale.
Vi dico la verità: i nostri incontri non sono neppure esaltanti, dal mio punto di vista. Io sono più psicologico, lei è più sadica. Però scatta qualcosa: la prima volta che viene da me già si mette completamente nuda, mi chiede di farle la doccia, si lascia toccare… In più, emerge una qualche forma di intesa che va al di là del gioco. Un pomeriggio le chiedo di uscire. Il risultato è che concordiamo di andare oltre la sessione (avete capito…), ma sempre dietro mercede. Il nostro rapporto, comunque, si rafforza. Scopro che è fidanzata, che convive (la cosa mi meraviglia, vista la sua giovane età), e che però ha una relazione aperta.
La svolta avviene a gennaio 2023: d’improvviso, mi domanda se può venire a stare da me per un paio di settimane. Scoprirò in seguito che ha avuto screzi con il fidanzato, che vorrebbe lasciarlo anche se per abitudine non ci riesce… Io – la decisione più folle e masochista che potessi prendere – accetto la sua proposta. Cosa mi accade? Non lo so. Forse quella parte narcisista di me mi convince che sto riuscendo a conquistare una “put…” (passatemi il termine scurrile): se “converto” una ragazza così significa che sono veramente un ragazzo affascinante.
Quello che era cominciato come un diversivo, tuttavia, in pochi giorni si trasforma in un fuoco ardente. Mi innamoro. Sembra che anche lei sia presa… Ma poco dopo inizia l’altalena di follia che accompagnerà tutto il nostro rapporto. Sempre per riservatezza, evito di esplicitare di quale disturbo psichiatrico soffra questa persona, che proprio a causa dei suoi problemi praticamente ha dovuto saltare l’intero percorso scolastico superiore, prigioniera di cliniche e comunità. Ahimè, ha scelto ex abrupto di interrompere ogni trattamento, anche la semplice psicoterapia. E temo che questo la condizionerà per sempre (senza contare che è un mio grande errore non aver provato a convincerla ad andare almeno da uno psicologo).
Più e più volte lei torna dall’ex, persona peraltro violenta, manipolatrice, assolutamente deleteria per la vita di questa ragazza. Torna lì, benché i due non abbiano rapporti da tanto tempo. È una sorta di timore di lasciarsi alle spalle il passato, o di perdere i contatti col cagnolino, che lui custodisce gelosamente come strumento di pressione. Per me è una sofferenza continua, un andare su e giù a giorni alterni: ti voglio, ti disprezzo, ti amo, ti odio, sto con te, ti lascio… Liti, riavvicinamenti… La sua anaffettività, cui mi perito ugualmente di abituarmi: no baci, no abbracci, no dormire vicini, no contatto… Ok, lo accetto: sei così ma ti amo. E soprattutto, si instaura una dinamica tossica all’interno di una relazione velenosa: quella delle elargizioni di denaro e regali.
In qualche maniera, lei mi convince che il suo amore si può comprare. L’attaccamento ai soldi e la spinta a spenderli compulsivamente sono sintomi della sua malattia. Ma io sono preso, sono innamorato, mi lascio trasportare… Il risultato è che, a conti fatti, nel giro di pochi mesi i miei risparmi sono stati dilapidati di due terzi e più.
Sorvolo, per questione di brevità, sui tanti dettagli sulla nostra relazione. Il sesso che a un certo punto lei non vuole più fare, i segnali che forse avrei dovuto raccogliere e interpretare… Ad ogni modo, quelli che mi spingono a ben sperare sono altri: mi presenta persino a sua nonna. Dice a sua mamma di essere innamorata, mi descrive in termini più che lusinghieri… Quando io, per motivi familiari, devo trascorrere un paio di mesi estivi dalle mie parti, lei mi racconta che va a casa mia a studiare, anziché nell’appartamento che ha da poco preso in affitto per conto suo (con la falsa promessa che si tratta di “fare esperienza di vita da sola per qualche mese” e poi tornerà), perché si sente come se fossimo insieme. E c’è la magnifica e surreale avventura che mi induce a pensare che si stia mettendo sui binari giusti: le sto dietro con tutte le mie forze e riesco a farla diplomare. E a instradarla per i test universitari. Il mio apporto è essenziale, sì, ma lei è bravissima, intelligente, brillante, volenterosa. Scorgo potenzialità straordinarie, darei i miei organi perché sia posta nelle condizioni di esprimerle.
Il nostro, peraltro, è un rapporto unico nel suo anticonformismo: io, il suo fidanzato, ma anche il suo schiavo; lei, la mia Dea, ma anche la dolce cucciola che cerco di portare sulla strada più sana. Liberi di essere noi stessi perché non giudichiamo le nostre fantasie. Nel tempo, mi industrio per tirarla fuori dalla giostra delle sessioni, che lei dapprima vuole obbligarmi a tollerare. Per me è tradimento; per lei sono soldi. Da ultimo, dopo estenuanti tira e molla, sembra che si sia convinta: non vede nessuno, tiene più a me.
Le cose cambiano radicalmente a inizio agosto. All’improvviso, mi dice che vuole lasciarmi. Scopro casualmente che si trova in un’altra città. Vedo uno strano annuncio su Gabbia… Una ricerca di uno schiavo autista che porti la domme in università, in quell’altra città. So che è suo. Lei nega. Mi copro gli occhi con le canoniche fette di prosciutto. Mi racconto che ha avuto una delle sue sbandate. Anche perché, pochi giorni dopo, la crisi rientra. “No, non volevo lasciarti, mi era presa a male perché trovavo difficile la preparazione al test…”.
È a fine settembre che succede l’imponderabile. La scusa con cui mi lascia è proprio quella più assurda: io le ho sempre dato tutto quello che chiedeva e ciò l’ha resa una brutta persona. Torno a casa dopo il mio soggiorno di due mesi fuori e scopro che ha portato via tutto. È scappata, come si scappa da un mostro. Non vuole dirmi dov’è andata. Non vuole dirmi con chi. Mi blocca ovunque. Scopro, indagando e indagando, la verità.
A inizio agosto (ma chissà da quanto lo conosceva) mi aveva tradito con un altro. Apprendo che costui ha anche provato a metterle le mani addosso, ma a lei piace lo stesso. Forse, le piace proprio per questo, nella sua logica deviata. Ora vive lì, con lui. Ma la cosa più atroce è questa: scopro che ha aperto un canale porno in cui gira video con lui. Uno lo apro. C’è l’anteprima. Non riesco più a togliermi quelle immagini da davanti agli occhi: lì c’è la persona che amo, la persona di cui mi sono fidato, la persona di cui ero lo schiavo ma anche il fidanzato, che fa sesso con un altro. Apprendo che, negli ultimi tempi, a casa mia, in mia assenza, c’è stato un viavai di uomini. Per me è la devastazione interiore. E la cosa più assurda è che lei si rifiuta di darmi qualunque spiegazione. Zero dialogo. Anzi, mi odia. Ad oggi, non so neppure perché: cosa ho fatto per meritarmi il suo odio? Cosa è accaduto all’improvviso a questa ragazza, che ha tagliato i ponti con le poche persone sane della sua vita, madre inclusa? Pensa davvero di fare quello che fa in una piccola città, senza che in breve, in paese, tutti sappiano chi è? Senza che i suoi compagni la sgamino?
Gli ultimi colpi al cuore mi vengono leggendo i suoi annunci di mistress. Ha persino un nuovo numero di telefono parallelo. Praticamente, è ormai una professionista. Bella, la persona che si è messa accanto: accetta di farla prostituire, pur di scoparsela.
Certo, su questo sono obbligato a fare una precisazione. Anche tra me e lei c’erano progetti “sconci”. Non si sono mai concretizzati. Ma nel novero di queste situazioni, non era ricompreso in alcun modo il fatto che lei potesse vedere qualcuno da sola, né che potesse avere contatti di qualche tipo con qualcuno. È chiaro, io ero nel torto. Ma nell’economia dei ragionamenti sconnessi cui mi ero abituato, la mia idea era di schermarla, proteggerla, espormi io più che lei. E, soprattutto, rendere queste pratiche parte di un percorso di transizione alla normalità totale. Era il mio metodo, che oggi so essere stato fallimentare: piuttosto che pretendere un taglio netto con il suo stile di vita, togliere pezzo dopo pezzo ciò che non andava. Anziché la terapia d’urto, la crescita graduale. Una cazzata. Eppure, le intenzioni erano buone…
Ora, da un lato, mi consolo pensando che non è fedele nemmeno a lui. Dall’altro, mi piange il cuore: la mia Dea cucciola non c’è più. Dentro quel corpo c’è un’altra anima. Un’anima nera, che odia chiunque le abbia voluto bene davvero. Ho sbagliato tanto, sì. Ma ho donato tutto me stesso pur di darle una vita normale.
Io dovrei odiarla. Dovrei solo rendermi conto di quanto sono stato stupido. E profondere ogni sforzo per dimenticarmi che sia mai esistita. La città in cui eravamo insieme è diventata, per me, insopportabile. L’appartamento in cui abbiamo vissuto è una camera di tortura mentale. Oggi mi sto sforzando di frequentare altre persone; ho trovato una ragazza che mi vuole bene in modo pulito. Eppure, nella mia mente c’è sempre lei. La mia Dea, forte ma indifesa, scaltra ma autolesionista, cinica ma sfortunata, piena di una bellezza interiore che sta seppellendo nel cimitero più spoglio di un cuore forse pietrificato.
Amore mio, luce dei miei giorni, croce della mia anima, uragano della mia esistenza: addio. Io ti amerò sempre, nonostante la sofferenza atroce che mi hai inflitto. Se qualcosa di bene c’è ancora in te, lascia sbocciare quel Fiore. Te ne prego. Mio angelo privato della misericordia, creatura innocente strappata dall’ingiustizia del mondo alle piccole felicità dei tuoi primi anni: nel futuro ti arrivino la pace e la serenità che non hai mai avuto.
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