Sire del Loto Bianco Forum BDSM & Fetish

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view post Posted: 18/11/2011, 10:46     Punizioni della professoressa - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
Tutto inizio in corridoio a fine lezione, avevo fatto tardi perchè dovevo mettere apposto il mio banco di scuola quindi sono rimasta una delle ultime che doveva uscire. mentre mi avviavo verso l'uscita sentii una mia prefessoressa lamentarsi della nostra disciplina e che si dovrebbe tornare ai buon vecchi metodi della sculacciata. mi bloccai quasi all'idea di essere sculacciata da lei, il mio corpo quasi spinto dall'inconsapevole voglia di essere punita fremeva , scossi il capo come per risvegliarmi e corsi via verso l'uscita.
l'indomani a scuola la rividi in corridoio mi avvicinai e gli dissi – salve prof ho sentito per caso la sua conversazione di ieri e penso che sarebbe più che giusto tornare alle sculacciate, anche perchè oramai con la confusione che facciamo in classe non si riesce nemmeno più a capire le lezioni- lei mi guardo con un sorriso e rispose – beh allora Nadine vorrà dire che se in futuro ti meriterai una bella punizione mi adopererò per impartirtela- io deglutii e sorridendo un poco preoccupata – spero non ci sia mai occasione ma se ci sarà mi sottoporrò alla giusta punizione-.
passarono 2 mesi, era un lunedì e stavo parlando durante la lezione di un ragazzo conosciuto la domenica con la mia compagna di banco, quando sentii la voce della prof che mi chiese – nadine mi dici a che pagina siamo – io non avendo seguito feci un rapido calcolo e dissi -alla pagina 123 prof- lei passo ad un viso serio e disse -sbagliato siamo alla 125 invece di distrarti perche non segui poi dici che sono gli altri a fare casino- io abbassai il capo e tutto fini li, o almeno credevo che fosse finita li.
a fine lezioni mentre uscivo vidi la prof che mi stava aspettando mi prese per un braccio e mi porto nel suo studio, arrivate li -bene Nadine ti ricordi che mi avevi detto tempo fa sulle sculacciate – io credo che in quel momento sbiancai cosi tanto da diventare più bianca del muro, e il secondo dopo il mio viso si fece rosso dall'imbarrazzo come un peperone, facendomi coraggio risposi con un filo di voce -si professoressa
me lo ricordo- lei mi fece poggiare i gomiti alla cattedra – bene Nadine giù calzoni e mutande veloce- io ubbidii tremante all'ordine vidi con la coda dell'occhio la prof prendere una cinta nera di cuoio dl suo armadio, una lacrima comincio a cadermi per la paura e borbottai – la prego non usi la cinta- lei alzando la voce – silenzio so io cosa usare sulle ragazzine indisciplinate che non portano rispetto a chi gli vuole insegnare qualcosa di utile invece delle solite cavolate su che trucco usare o su chi e il più fico della scuola- io non potendo fare altro mi misi in posizione, passo dietro di me guardandomi poi prese le mie gambe e le allargo, dopo alzo la mia maglietta e spinse in giù la mia schiena. bene sei pronta subirai 30 colpi e dovrai contarli e ringraziarmi poi alla fine ti scuserai con me capito?- io annui col capo ma lei mi rifilo una cinghiata secca e decisa. al colpo della cinta sentii un bruciore acuto al sedere ed emisi un piccolo urlo , cercando di riprendermi , o almeno di ritrovare un minimo il mio contegno – si professoressa ho capito- -bene adesso resta cosi e dopo ogni colpo ritornaci capito- stringendo le mani alla cattedra -si professoressa- il suo braccio si alzo e inizio a colpirmi io gemevo per poi in lacrime dire – 1 grazie professoressa- e cosi via verso la ventesima bussarono per fortuna non mentre mi colpiva lei si fermo quasi arrabbiata per l'inatteso disturbo. andò ad aprire e sentii che era la bidella che gli diceva che c'era la mamma di lucia che voleva parlargli, lei gli rispose che doveva aspettare che aveva un attimo da fare, chiaramente copriva la visuale alla bidela per non farmi intravedere da essa poi richiuse la porta. tornata dietro di me mi disse – bene cerca di non urlare che i colpi non si dovrebbero sentire ma le urla si- singhiozzando -va bene – mi rimisi come voleva odiavo quella posizione perche spesso la cinta finiva per colpire anche il mio sesso procurandomi ancora più dolore. rialzo su il braccio e ciaff fino ad arrivare a 25 poi si fermo – bene le ultime 5 non le dovrai contare ma devi restare ferma in questa posizione e sforzarti di non urlare- io tremante perchè avevo capito le sue intenzioni risposi con un filo di voce – cercherò di non urlare prof – alzo il braccio e comincio colpirmi forte e velocemente invece di 5 me ne diede 7 tutte secche e veloci. mi tocco il sedere dicendomi -bene Nadine la prossima volta spero tu stia attenta alla mia lezione senno sai già cosa ti aspetta e non e detto che sia cosi indulegente con te – facendo un attimo di pausa – bene passiamo al rispetto adesso vai sotto la cattedra che cosi non ti si vede- mi fece spogliare nuda e mettere i miei vestiti nel suo armadietto poi mi fece accomodare sotto la scrivania, la quale era coperta dal davanti quindi nessuno mi poteva vedere fatto questo si sfilo le sue scarpe nere col tacco e le poso da una parte, si sedette alla cattedra e mi disse avvicinandomi i suoi piedi al viso -leccali e puliscili per bene capito- cercai di ribattere ma la paura di subire un'altra sculacciata fece si che ubbidissi anche a questo compito umiliante. guardai il suo piede la pianta era molto bella, pero era nera sia sotto le dita che al tallone e odoravano di sudore anche se, non cosi forte da essere sentito oltre a me che ero li in ginocchio ai suoi piedi. pigio il pulsante del telefono che permette di parlare con la bidella e gli disse di far entrare la mamma di Lucia, in quel momento il mio respiro si blocco e mi resi conto che gli dovevo leccare i piedi mentre parlava con la mamma della mia amica Lucia. levato il dito dal bottone mi intimo di iniziare mi feci coraggio e iniziai il sapore era aspro salato per il sudore e sapeva leggermente delle scarpa della prof, che oramai dovevano essere logorate dal continuo consumo in classe. sentii entrare la madre lei gli fece segno di sedersi , cominciarono a parlare del comportamento di Lucia e del suo andamento scolastico. alla fine lucia andava bene a scuola quindi gli disse alla madre di non preoccuparsi io ero sotto stavo attenta a come respirare per non essere sentita, lei si divertiva ad inarcare le dita per far si che leccassi bene nel mezzo ad esse, fece cadere un lapis ad un certo punto e chinandosi mi fece segno che dovevo dare leccate più lunghe e convinte rialzata con mio schifo cominciai a farlo, il sapore era orribile anche se adesso si stava attenuando. tutto ciç duro circa 20 minuti alla fine saluto la madre di Lucia , appena uscita prese prima una gamba e poi l'altra per vedere la sua pianta se era ben pulita, guardandomi – bene non dire a nessuno di oggi hai fatto un buon lavoro se rifarai l'impertinente in classe non ti dovrò nemmeno dire nulla passerai da me e avrai cio che meriti, e non solo se farai casino anche con gli altri prof verrai da me inteso- io annui e andai di corsa a vestirmi , facendo attenzione a non essere vista corsi in bagno per sciacquarmi il viso e finire di piangere. Dopo di che tornai a casa dove spinta da un inspiegabile piacere mi toccai e venni come mai era successo fino ad allora.
view post Posted: 17/11/2011, 10:29     Femmine contro maschi - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
Tutto cominciò quando lanciarono la sfida i maschi.
La sfida era che le ragazze non sarebbero mai state in grado di battere i maschi.
La scommessa era invece che ad ogni sconfitta i maschi avrebbero subito una cattivissima umiliazione.
Se le ragazze vincessero tutte le gare, per tutti i cinque anni di liceo i maschi dovevano sottomettersi a loro in tutto e per tutto, senza protestare.
-1° Prova: Corsa
La prima prova prestabilita era la corsa. La scommessa era che chi avrebbe perso avrebbe baciato il culo (davanti ai nostri amici che ci guardavano). Io diciamo ero l’ unica speranza per i maschi nella corsa. E infatti per più di 3/4 della gara ero primo, finché non vidi davanti a me Bianca, non affaticata, io con il fiatone. Al traguardo ero sfinito, e mi inginocchia davanti a Bianca. Speravo nei miei amici, ma vidi arrivare al traguardo solo ragazze, con la loro gonnellina e maglietta rosa. “BACIAMI IL CULO!!!!!!” strillava e rideva Bianca. Il nostro pubblico ci derideva. Io in passato ero stato fidanzato con Bianca, ma quando scoprì che le mettevo le corna, divenne un incubo per me. Avvicinai quindi le mie labbra al suo culo tosto e baciai velocemente. Lei un po’ sorrise, poi disse “bacialo come baciavi me!” e rideva, dovevo baciare con la lingua il suo culo. Quando lo feci, divenni rossissimo. I miei amici intanto si erano ritirati da quella gara e come conigli erano andati via. Quindi per ammonizione le ragazze erano 2 a 0. Poi Bianca quando mi stoppò mi disse sulle orecchie “ora te per punizione e ringrazia i tuoi amici, verrai nel nostro spogliatoio e leccherai il culo, ma proprio il buco!!, a tutte, e uscirai indossando la divisa di Nicole!! E ricordati che se non lo farai saranno già 3 punti in più, e ti ricordo che le gare sono 4 ed ognuna vale 1 punto! E ora non protestare e non dire niente altrimenti sarà peggio. Seguici gattonando e subisci in silenzio! Se ti lamenterai ciò che succederà sarà tremendo!” Bianca scoppiò in una risata distruttiva. Nel cammino verso lo spogliatoio mi presero a calci in culo tutte le ragazze. Poi dentro fu emotivamente distruttivo. Cominciarono a scoreggiarmi in faccia e io oltre a dover respirare quella puzza dovevo leccare il luogo da dove esce la merda. Ma Bianca non si accontentava, diceva che le umiliazioni che stavo subendo erano troppo leggere, nonostante il mio disgusto a leccare quasi la merda. “Ragazze non mi accontento!” diceva. Dopo una lunga corsa, erano molto sudate. Bianca usò ciò a suo favore. “In ginocchio e guarda verso l’ alto!!” come tirai su la testa, mi pose la sua ascella sudatissima e puzzolentissima in faccia! “AHAHAH”. L’ odoro era fortissimo. E in più fui costretto a leccarla! Le ragazze ridevano acutamente. Mi sentivo una merda. Così si concluse la prima gara.
Femmine 2, maschi 0.
-2° prova: corsa.
La distruttiva umiliazioni che subii convinse le ragazze a farci restare 1 a 0 per loro. Ciò che successe dentro lo spogliatoio non venne rivelato. Ma in me cresceva sempre di più la paura di subire altre umiliazioni da quelle ragazzine che sembravano fragili. Per loro l’ unica cosa che contava non era vincere, ma umiliarci. Tutte femministe convinte. Tutte volevano dimostrare l’ inferiorità maschile. Bianca e Giusy in particolar modo. Intanto visto che la prova si sarebbe svolta al chiuso, le ragazze decisero di chiudere a chiave le porte. La prova era di addominali e flessioni. I miei amici arrivarono tutti felici (loro non ebbero 7 cagate in faccia di 7 ragazze diverse, tanto che quasi soffocavo). Erano convinti di vincere. Le scommesse erano: se avessimo vinto noi maschi potevamo toccare il culo alle ragazze. Se avessero vinto le ragazze, ci avrebbero potuto dare calci nelle palle. Tanto eravamo convinti di vincere, tanto fu la figura di merda che facemmo. La ragazza che resistette di più fu Elena. Il bello è che le ragazze non vinsero perché erano più forti, ma perché a differenza nostra si allenarono, mentre noi pensammo “sono femmine! Le faremo il culo!” invece… “Ehi Merda sei pronto ai calci?” strillò Bianca. Ci ordinarono di metterci in fila. Se non resistevamo più di 5 calci, le ragazze avrebbero preso un’ altro punto. Io ero l’ unico onore della squadra, oh almeno per quanto riguarda il coraggio, altrimenti sarei la vergogna. PUM!!!! Con la punta del piede Bianca mi colpì le palle. Saracca assurda. Poi lei gioca a calcio!!!! Ero in ginocchio, non so come feci ma mi rialzai. Bianca si sentiva realizzata! Era contenta. Lei si era innamorata tantissimo di me. Ma ora più che innamoramento questa era voglia di vedermi soffrire e sottomesso a lei e alle sue amiche. Voleva che fossi il suo oggetto di sfogo. E ancora un’ altra tremenda botta, questa volta meno precisa, ma dolorosissima. Io strillavo come i miei amici. “forza ragazze su e giù veloci!” ridevano, godevano. La terza botta ci scaraventò tutti a terra. Francesco finì praticamente a novanta ed Elena ne approfittò per sedersi sopra di lui. “Ti arrendi?” disse soddisfatta a Francesco. “S..si!” “E allora resta così immobile!” sorrideva. Lei aveva vinto. Michele anche lui cadde a 90 vicino ad Elena. “Come poggia piedi saresti perfetto! Ahahah” mise i piedi in testa a Michele e Lucia si sedette sempre su di lui, usando Francesco invece come poggiapiedi. Io mi rialzai, tremando. Vedevo i miei amici come mobili. Ma quando guardai in faccia Bianca, lei mi salutò e mi diede il quarto calcione. Mi sembrò che le palle mi andassero da giù fino a sputarle. La botta era così tremenda, che anche super-man avrebbe avuto difficoltà a rialzarsi. “Basta così ragazze!!! Ahahahah! La vittoria è nostra!! Ahah” tutti stesi per terra, passarono sopra i nostri corpi. “Ora maschi vi abboniamo un calcio, ma dovete strillare domani a ricreazione: Le donne sono superiori ai maschi!!!!! Ahahahah!”. Detto ciò se ne andarono. Facemmo fatica ad alzarci. Non pronunciammo una parola ai nostri amici che ci aspettavano fuori. Avevano sentito le nostre grida e avevano visto uscire zampettando felici le ragazze. A casa quando guardai il mio povero pene, lo vidi nero. 4 calci non sono tanti, ma se dati benissimo e fortissimi da una ragazza incazzata, bastano a farti avere un dolore tremendo per settimane. Infatti la terza gara si svolse dopo un mese. Femmina 2 , Maschi 0. Bastava una vittoria alle ragazze per aver il titolo di :”sesso forte”. Ma come già ho detto, a loro non interessava solo vincere, a loro interessava vincerle tutte e 4 per averci come schiavi per i 5 anni di liceo. Diventammo i più derisi della scuola, soprattutto io dopo che strillai quella frase.
La terza prova era quella più portata per noi, ma con l’ handicap del fumo le forze finiscono prima. Io lo dissi:” se perdiamo questa ci sfotteranno per il resto della vita!”
-3° prova: calcetto
Dovevamo stravincere. Minimo 5 a 0. Federico in panchina come eventuale sostituzione. Lorenzo da allenatore. Un amico in comune tra me e Bianca come albitro. Fischio di inizio e la partita cominciò. Io fui subito pericoloso prendendo un palo con un tiro fortissimo. Quindi la palla andò alle ragazze. Lucia la passò ad Elena che di prima la passò a Bianca (si erano allenate tantissimo). Bianca scartò Michele ma il suo tiro colì la traversa. Palla a Giovanni dopo il passaggio del nostro portiere (Francesco). Giovanni a Michele, Michela a Riccardo, che la passò a me e di prima feci il gol dell’ 1 a 0. Ero felice. Poi le ragazze nel primo tempo non fecero nulla o quasi. Il primo tempo finì 4 a 0 per noi. Nello spogliatoio Lorenzo era felice come tutti. Il tempo di dimostrare alle ragazze qual’ era il sesso forte sembrava essere arrivato. Ma quando tornammo in campo notammo un cambiamento: Giuly entrò al posto di Giusy in attacco, e avevano cambiato i pantaloncini bianchi, con gonnelline rosa!! “Dai ragazze!!!!!” strillò Nicole. Partirono subito in attacco le ragazze, senza segare. Poi palla a me. Al 5 a 0 la partita la partita sarebbe terminata. Ma mi accentrai e tirai un tiro fortissimo che io avrei preferito scansarmi. No! Stefania si oppose!!! E si fece male ad una mano chiedendo il cambio. Negato a me il 5 a 0, con i miei compagni di squadra sfiniti, non ci fu più storia. Bianca replicò ciò che feci io: tirò fortissimo, Francesco, codardo come tutti i maschi, non lo parò e si scansò. 4 a 1. Il loro gol della salvezza era fatto, ora doveva finire il tempo. Ripeto che i miei compagni erano sfiniti. E l’ umiliazione fu più cattiva. Le ragazze potevano vincere anche 10 a 4. Non lo fecero, ma 3 gol che fecero furono umilianti: uno Bianca segnò doppietta scartando tutti noi. Il terzo lo segno Giulia con il sedere, ma il quarto ci fece sprofondare, cross e tocco di seno di Bianca. La palla finì dentro. 4 a 4 al fischio finale. Era quindi l’ ora dei rigori. Io e Bianca i primi. Io segnai e anche lei. Poi anche tutti (maschi e femmine) segnarono. Quindi toccò nuovamente a me e Bianca. Questa volta tirò prima lei. Segnò. Io avevo una tensione distruttiva addosso. Se sbagliavo, le ragazze sarebbero diventate almeno in classe nostra “il sesso forte”, con la nostra umiliazione e dovere di andare a scuola con la gonna. Noi saremmo diventati il “sesso debole”. E in più dovevamo baciare i piedi alle femmine. Troppa la tensione, troppe le domande su cosa sarebbe successo, troppo scarsa la concentrazione. Il tiro fu parato. “Abbiamo vinto!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Questa è la dimostrazione di quello che è vero: noi femmine siamo il sesso forte!!!!” strillarono le ragazze. Bianca (sempre lei la prima a umiliarmi) mi si pose davanti “E ora inginocchiati al sesso forte!!! AHAHA capito maschietto? Anzi.. capito Merdaccia? Ahahahah in ginocchio! Inchinati al sesso superiore!” “Col cazzo!” risposi di principio. Lei si incazzo. I patti erano chiari. Mi afferrò quindi le palle (visti i pantaloncini non era difficile) e le stritolò “CAZZZZZOOOOOO che male!!! Basta ok!!!” mi inginocchiai. “bacia!” mi mise le sue scarpette da calcio fucsia davanti alle labbra “e baciale come hai baciato il mio culo!”. Tutti ci deridevano. Tutti. La scena era pietosa. Ragazzi inchinati a baciare i piedi a ragazze che ci sconfissero con la gonna. Nello spogliatoio fu peggio, perché fummo costretti a mettere in bocca i calzettoni sudati, poi ci piantarono i loro piedi in faccia. Il loro odore era distruttivo. Come se già sapessero di aver vinto. Sembrava che non fossero stati lavati per tanto tempo. E in più erano sudatissimi. Con le calze in bocca e i piedi in faccia quasi non respiravamo. Se fosse stato legale, Bianca mi avrebbe ammazzato in quel modo. “Mmm vi piace quest’ odore?” ci dicevano. “E i calzettoni come sono?” ridevano da morire. Poi ci usarono come tappetini. Ci salirono sopra e cominciarono a cantare “siamo il sesso forte!” (al ritmo di “popooopopopo””) “E voi quello debole!”. La grande sconfitta dei maschi. Nel nostro paesino ci fu una rivoluzione. O almeno nelle scuole. Tutte le ragazze presero esempio da Bianca e le altre. Tutte sfidarono i maschi. Con risultati al 99% di 2 a 1 per le ragazze e l’ 1% di 4 a 0 per le ragazze. I maschi non vinsero mai. Nel nostro paese il sesso forte erano le ragazze. E guai a chi provasse a dire il contrario!!! Minimo si rischiava la castrazione per calci sulle palle e torture all’ uccello. Ma le prove erano 4. 3 a 0 per le femmine. La scommessa non poteva essere cambiata. Dovevamo ottenere un punto,altrimenti saremmo diventati gli schiavi delle femmine. E loro avrebbero potuto farci quello che pareva!!! In parole povere.. il nostro paesino divenne estremamente femminista: donne comandano, uomini subiscono. Solo che nessuna donna riusciva a ordinare ad un uomo di leccarle i piedi. Tenendo conto che dopo due mesi dalla partita a calcetto andai a vivere da Elena!!!!!!! Ciò avvenne quando mio padre dovette trasferirsi per lavoro. Mia madre lo seguii ma Bianca mi impose, dopo la vittoria a calcetto delle ragazze, di restare.
-4° prova: braccio di ferro.
L’ ultima prova fu decisa da noi maschi: che se non meglio di braccio di ferro? Una prova di forza per non diventare schiavi del volere femminile. Ciò significava subire umiliazioni su umiliazioni. E il fatto che ora abitassi da Elena non mi agevolava. Noi eravamo più forti. Ma meno furbi. Con il fatto che Giulia si fosse infortunata la mano, partecipammo solo in 5 maschi. Tutti escluso Francesco. Le prime due furono vinte da Riccardo e Federico. Le ragazze neanche si opposero. Ma da lì in poi capimmo che non c’ era storia. La furbizia era troppo differente. Sapevano che non potevano batterci, però sapevano che uno degli unici pensieri dell’ uomo è la fica e le tette. Andò allora Michele contro Giusy. Dietro Michele si postò Bianca che si tolse la maglietta. Come Michele distolse lo sguardo (e di conseguenza quasi lasciò la presa per la bella vista) Giusy portò la mano di Michele a battere sul tavolo. A Giovanni invece Giulia disse “giuro che se ti fai battere te la do”. La stupidità maschile porta a paragonare il te la do a scopare. Quindi fu 2 a 2. Toccava a me. Me contro Bianca ancora una volta. Lei che mi voleva suo schiavo, lei che era il mio tormento. Lei che se avrebbe vinto mi avrebbe torturato. Bianca era forte, molto. Ma io di più. Col braccio destro mi tratteneva finché poteva, ma col sinistro si slacciò il reggiseno. Le sue tette erano bellissime, solo un frocio poteva non guardarle. Io cercai di resistere, ma non ce la feci. Il mio sguardo andò dagli occhi di Bianca alle sue tette, mandandomi in estasi e facendomi calare le forze utilizzate. Pum!!! La mia mano batte il tavolo. Avevano vinto. Le ragazze vinsero su tutto. Ora noi saremmo stati i loro schiavi, i loro cani, i loro bambolotti. La nostra vita era loro. Loro decidevano per noi. A 14 anni fummo umiliati in prove maschili da donne che sembravano fragili. Le donne. Le ragazzine che distrussero la mascolinità maschile. Il sesso debole eravamo e siamo noi maschi. Quando la mano batte, i miei pensieri furono di paura. Chissà che cosa mi aspettava ora. Le ragazze stavano festeggiando. Ci cantavano canzoncine umilianti, ci sfottevano, ci chiamavano schiavi, merde, vermi, maschiucci (nel nostro paese essere maschiucci significava essere deboli), cani,ecc.. Loro erano le padrone assolute. Bianca mi denudò e mi fece vestire con gonna e reggiseno, mi mise un collare e mi cavalcò. Dovetti portarla in giro. Come gli altri. A casa Elena cominciò a torturarmi. Mi piantò i suoi sudici piedi in faccia, mi truccò da donna, mi prese a calci nelle palle, mi scoreggiava e sputava in faccia. Bianca quando mi vedeva impazziva dalla voglia di torturarmi. Da quel giorno il nostro modo di vivere cambiò.
Elena mi mise perfino il guinzaglio. E spesso mi costrinse a dormire nella cuccia dove prima dormiva il suo cane (che ai tempi della mia sottomissione era defunto). Mia zia (nonché madre di Elena) non disse mai niente a riguardo. Io dovetti stare un’ intero mese a casa di mia cugina. Ma quando tornai a casa mia con i miei, le visite sue e di Bianca erano molto spesso tutti i giorni. A scuola io e i miei amici fummo costretti a mettere tutti la stessa divisa: gonna rosa, camicetta e reggiseno rosa e scarpe con tacco rosa!! Inizialmente fu difficile. Ma dopo i primi mesi, ci prendemmo l’ abitudine. I miei genitori si vergognarono di me, tanto da rivolgermi poco la parola. Ogni nostro tentativo di ribellione si vanificava ogni volta. Giusy e Giuly si divertiva a tirare calci sulle palle. Elena e Bianca a torturarci in ogni modo. Ormai loro comandavano. Maschi vs Femmine. Femmine Padrone, Maschi Schiavi. Ammetto solo che quando tornai a dormire a casa mia, mi mancarono subito le umiliazioni di Elena. Alla fine mi piaceva quel ruolo, anche se inizialmente non lo volevo ammettere neanche a me stesso. Ma alla fine si sa che gli uomini sono stati creati per servire le donne!
view post Posted: 16/11/2011, 17:23     Il collegio - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
Scrissi tutto d’un fiato, quasi come se fossi in trance, senza neanche rendermi conto del tempo che passava. Mi stupii di come un effimero barlume di ricordi avesse potuto suggestionarmi a tal punto. Spesso prendevo spunto dalla realtà per i miei racconti, ma utilizzavo eventi molto più consistenti, sui quali dovevo lavorare a lungo per poter creare le mie storie. Gli elementi reali in questo caso erano ben pochi, la vaga memoria del collegio in cui avevo studiato e di cui stranamente non ricordavo quasi nulla, eccetto le interminabili ore passate sui libri, e la presenza della professoressa Margot Sobieskji, che con il suo fascino altero e severo aveva costituito la molla principale della mia invenzione.

Lei era il ricordo più vivido che avevo di quegli anni, i suoi occhi e il suono dei suoi tacchi mentre incedeva nel corridoio, erano la prima cosa che mi tornavano in mente quando ripensavo alla mia adolescenza, forse avrei dovuto ringraziarla dedicando a lei questo mio nuovo racconto. Mi resi conto che era davvero tardi e che Nadia sarebbe arrivata a momenti per pranzare con me. Dopo essermi staccato a forza dal computer, corsi a farmi la doccia, cercando di riprendermi. Ero scosso dalla dura nottata passata a scrivere e faticavo a distogliere la mente dalla mia nuova storia. Nadia aveva le chiavi del mio appartamento e, quando uscii dalla doccia, la trovai seduta sul divano ad aspettarmi.
Indossava una leggera camicia rossa, su cui riposavano le lunghe ciocche dei suoi capelli biondi e le sue gambe accavallate si affacciavano attraverso lo spacco della lunga gonna di jeans.
-Ciao amore! Ti sei alzato tardi stamattina, eh?-
-A dire il vero non ho dormito per niente.-
Era bellissima e il mio sguardo accarezzò voluttuosamente il suo corpo snello e flessuoso, giungendo fino ai piedi affusolati che irradiavano il loro fascino attraverso i sandali rossi e col tacco alto che calzava. Un impulso incontrollabile si avventò all’improvviso su di me ed ogni cellula del mio corpo desiderò di prostrarsi ad adorare quei meravigliosi piedini. Forse ero stanco, o forse era la suggestione del racconto appena scritto che mi faceva sentire così. Non era la prima volta che vedevo i piedi di Nadia e che ne ammiravo la bellezza, ma mai come in quel momento li trovai tanto irresistibili.
Temevo di non riuscire a controllarmi, è vero che avevo deciso di dire a Nadia della mia passione, ma volevo evitare di rivelarglielo in maniera così esplicita col rischio che la mia confessione risultasse troppo scioccante per lei.
-Cos’hai non ti senti bene?- mi disse notando il mio stato alterato.
-No, niente… sarà la stanchezza.-
Cercai di distogliere lo sguardo dai suoi piedi sedendomi accanto a lei, ma li sentivo insinuarsi prepotentemente nella mia testa, frugando con le dita nei miei pensieri. Mi vedevo prono, sottomesso e intento ad adorare i suoi incantevoli piedi con devozione. Sulla lingua sentivo il loro dolce sapore sommergermi mentre li lambivo infilandola sotto le sue dita, lasciando che la premesse contro i sandali che calzava. D’un tratto lei si distese, sollevando le gambe e poggiando i piedi sullo schienale del divano a pochi centimetri dal mio viso.
-Accidenti… ed io che speravo di starmene sul divano a rilassarmi mentre tu ti prendevi cura di me cucinando e facendomi magari anche un bel massaggio ai piedi.-
Perché faceva così, perché mi provocavo a quel modo?
Non mi aveva mai chiesto di massaggiarle i piedi, perché proprio ora che mi trovavo in quello stato febbricitante mi tentava con quella richiesta? Spesso, seppur con dolcezza e ironia, si comportava come una regina con me, spingendomi a servirla e a coccolarla così come io desideravo, ma in quel momento mi parve che calcasse un po’ troppo la mano e il piede su quel gioco. Osservai i suoi occhi che brillavano sorridendo e i suoi piedi ammiccanti che mi avvolgevano col loro profumo. Non avrei potuto resistere ancora a lungo, ero certo che da un momento all’altro sarei crollato ai suoi piedi baciandoli con passione come in preda ad improvvisa follia. Mi alzai subito, feci appena in tempo ad allontanarmi da loro prima che s’impossessassero irrimediabilmente di me, infatti proprio in quel momento sentii i suoi sandali cadere al suolo e vidi il nudo candore di quelle dolci estremità che continuavano a chiamarmi a sé come echi di sirene.
-Ma che ti prende tesoro?-
-Nulla Nadia, scusami ma credo sia meglio se ci vediamo un’altra volta.- -Cosa? Mi stai cacciando per caso?-
-Perdonami, ma non mi sento bene… ho un disperato bisogno di mettermi a letto e dormire.
-Ti chiamo io stasera, ma ora ti prego, lasciami solo.-
A queste parole Nadia non replicò, con rabbia si rimise le scarpe ed uscì sbattendo sonoramente la porta d’ingresso. Mi pentii subito di quanto avevo fatto e pensai di rincorrerla per fermarla, ma giunto alla porta capii che se l’avessi fatto non avrei potuto più resistere agli impulsi insensati che avevano preso il controllo della mia mente e allora avrei rischiato di perderla per sempre. In preda alla disperazione notai le infradito di Nadia, quelle che usava quando restava a dormire da me.
-Ecco, ti lascio un mio ricordino… trattale bene, sono le mie preferite.- disse sorridendo il giorno in cui le lasciò a casa mia.
In un attimo mi ritrovai sul pavimento ad abbracciare e baciare con foga le sue infradito, leccandole con passione per dissetarmi col sapore che ancora conservavano dei piedi di Nadia, sognando di sentirli sul mio petto e sul mio viso prono e intento ad amarli.

Di nuovo dieci minuti a mezzanotte quando mi svegliai con il viso ancora premuto contro gli infradito di Nadia. Percepii il fresco del pavimento sul mio corpo accaldato e mi rialzai chiedendomi se non fosse stato tutto un sogno. Ero ancora intontito e sentivo girandole di strani pensieri che si agitavano nella mia testa. Invano cercai di fugarle con una lunga e profonda sorsata dalla bottiglia di whisky che mi ammiccava dalla scrivania, ma ottenni solo nuove vertigini che si aggiunsero, mischiandosi, al mio malessere. Accesi il computer cercando inutilmente di riordinare un po’ le idee e mi ritrovai a desiderare disperatamente di fumare un po’ d’erba, magari così sarei riuscito a ragionare meglio, o almeno mi sarei potuto rincoglionire fino a perdere i sensi, ma forse per questo l’erba non bastava.

Un nuovo messaggio di Miss Lucinda mi attendeva nella mia mailbox: “Il perdono dovrai guadagnartelo e lo farai presto, pagandolo a caro prezzo! Nessun uomo può mancare di rispetto alla Suprema Dea impunemente! Hai dimenticato qual è il tuo posto, ma tra non molto lo ricorderai di nuovo, imprimendolo in modo indelebile nella tua mente!” Le sue parole mi fecero provare un indefinibile senso di sgomento, c’era in quelle poche righe il riferimento a qualcosa che non comprendevo pienamente, ma che lentamente strisciava facendosi strada dentro me. Non ritenevo il racconto ancora finito, ma l’insistenza di Miss Lucinda e l’effetto che aveva su di me lavorare a quella storia, mi spinsero ad inviarlo subito, così com’era, alla mailbox della redazione della rivista. Mi abbandonai esausto sul divano, cercando un attimo di oblio per la mia mente febbricitante e mi assopii quasi subito, nonostante avessi dormito già tutta la giornata sugli infradito di Nadia. Le luci soffuse dell’alba avevano appena cominciato a rischiarare il cielo quando sentii la porta del mio appartamento aprirsi.

Balzai in piedi credendo si trattasse di un ladro e con mia enorme sorpresa scorsi invece Nadia, che con sguardo severo e senza neanche rivolgermi la parola, varcò la soglia. Un lungo vestito di seta bianca le fasciava il corpo ricoprendolo fino alle caviglie. Ad ogni passo gli orli del vestito svolazzavano e il suono dei tacchi a spillo dei suoi sandali neri e argento risuonava nella stanza. Sedette sul divano davanti a me e rivolgendomi uno sguardo duro e gelido che mi era del tutto sconosciuto in lei, indicò il suolo ai suoi piedi. -Cosa aspetti schiavo? Sai già quel che devi fare.- Il tono delle sue parole non ammettevano alcuna replica e senza esitare mi prostrai fino a sfiorare il suolo con la fronte, baciandolo umilmente per esprimerle la mia devozione.
Improvvisamente le immagine vivide della vita in collegio di cui avevo scritto scorsero davanti ai miei occhi. I contorni indistinti dei sogni si espandevano varcando il limite della realtà e divenendo parte di essa. Nadia premette lievemente il tacco sul mio capo e mi ordinò di sollevarmi quel tanto che bastava per poter offrire il mio viso all’assoluto dominio del suo piede.

-Bene, vedo che la memoria ti è tornata schiavo. Buon per te, se le cose fossero andate diversamente avrei dovuto mandarti nel centro di rieducazione e lì sanno essere più dure e severe persino di Miss Sobieskji. -
La mia confusione andava man mano scemando e il solo pensiero di servire e adorare la mia Padrona occupava la mia mente mentre baciavo e leccavo la suola delle sue scarpe.
-Forse non ti è ancora del tutto chiara la situazione e probabilmente non mi hai ancora riconosciuta.- disse spingendomi via e facendomi stendere supino sul pavimento.
-Vediamo se ora mi riconosci.- aggiunse sfilandosi le scarpe e salendo sul mio petto. Quando vidi la pianta del suo piede nudo sospesa sul mio viso, calare lentamente fino a raggiungermi, riconobbi subito il piede delle foto allegate ai messaggi di Miss Lucinda.
-Mi è sempre piaciuto molto quello che scrivi e per questo mi sono interessata a te e sono intervenuta in tua difesa quando il Consiglio ha iniziato a trovare sospetto il tuo comportamento.

Ma forse hai prima bisogno di qualche delucidazione per capire ciò che ti sto dicendo.- Dopo essere scesa dal mio petto tornò a sedersi sul divano e ad un suo cenno la raggiunsi carponi e iniziai ad accarezzare con umidi baci la pelle vellutata dei suoi piedi. Mentre la mia lingua scivolava tra le sue dita, scorrendo delicatamente lungo le rotondità del suo alluce e tra i dolci sentieri disegnati sulle sue piante, lei si rilassò tra soffusi gemiti che di tanto in tanto vibravano nella sua voce che mi avvolse con le straordinarie rivelazioni del suo discorso.

-Sappi che colei che stai adorando è la Dea Suprema del regno dei drow. La nostra esistenza si è celata fino ad ora in leggende e storie fantasy che narrano di una comunità di elfi oscuri la cui società è governata dalle donne. Bizzarro come le leggende si avvicinino spesso alla realtà. La nostra razza un tempo imperava su tutto il mondo, i nostri maschi erano ridotti in schiavitù, usati per le guerre e i lavori più duri, mentre gli umani erano poco più che polvere sotto i nostri piedi. Ma, come tutti i più grandi imperi, anche il nostro finì per collassare a causa di guerre interne. Restammo in pochi, un gruppo troppo esiguo per poter continuare a dominare tutto il globo e il nostro impero si ridusse a un piccolo regno. Non appena cominciammo a riprenderci dalla nostra decadenza, iniziammo a infiltrarci tra i vili umani e da allora, con un lento e duro lavoro, abbiamo organizzato la nostra rinascita. Affinando le nostre arti e le nostre capacità di dominio abbiamo scoperto lo strano potere di fascinazione che i piedi delle donne, sia umane che drow, hanno su tutti i maschi e abbiamo deciso di sfruttarlo per assoggettare nuovamente la razza umana rifondando il nostro impero. Il collegio in cui sei stato allevato aveva proprio questo scopo, anche se le cose non sono andate esattamente nel modo in cui l’hai descritto. Non esiste nessuna pozione magica, è solo la tua natura di schiavo che ti ha spinto a sottometterti incondizionatamente a Miss Sobieskji. Il desiderio di sottomettersi a noi alberga nel cuore di ogni essere di sesso maschile, basta saperlo portare alla luce, e questo è ancor più vero per te che discendi dalla razza dei drow.-

Ciò che il suo discorso mi rivelò mi sorprese e ancor di più mi stupì quanto credibili e vere apparivano al mio intelletto quelle parole. Un drow, uno schiavo, nient’altro che questo io ero e uno strano senso di gioia e soddisfazione s’impossessò di me a quel pensiero mentre continuavo a leccare i piedi della mia Dea Suprema.
-Dopo il collegio il Consiglio ha continuato a tenerti d’occhio, trovando in te un motivo di orgoglio. Ma quando hai smesso di rispettare le scadenze abbiamo pensato a una tua eventuale ribellione, per cui sarebbe stata necessario un breve soggiorno nel centro di rieducazione. Per tua fortuna io li ho fermati e ho deciso di sondare io stesso il tuo animo. Ho trovato in te uno schiavo devoto e per questo sarai perdonato per la tua insubordinazione. Però, dopo averti rivelato tutto questo, non potrai più tornare alla tua vita di prima, c’è sempre il rischio che tu possa commettere l’errore di divulgare queste notizie. Il nostro controllo su di te diverrà più stretto d’ora in poi e sarò io stesso ad esercitarlo, prendendoti con me come mio schiavo personale. E’ un onore questo di cui pochi maschi possono beneficiare. Di sicuro te ne rendi conto e sono certo che tale privilegio sia per te un motivo di gioia.-

Non si sbagliava la mia Dea e Padrona Suprema e il mio perpetuo leccare e baciare adorando i suoi piedi fu una tacita risposta più che soddisfacente per lei. Il sole ormai illuminava tutta la stanza, una nuova alba era sorta su di me, rinascevo ora finalmente come schiavo e l’astro della mia Padrona brillava radioso nel cielo della mia devozione.
view post Posted: 15/11/2011, 14:31     Il collegio - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
Finalmente ti sei ripreso stupido cane ingrato!- La voce della professoressa Sobieskji tuonò dall’alto aggredendo le mie orecchie ancora in preda all’intontimento quando riaprii gli occhi. Vidi la suola della sua scarpa premuta sul mio viso e presto avvertii il dolore che mi procurava il suo tacco che affondava nella mia pelle. Tirai fuori la lingua e leccai il cuoio della sua scarpa, dimenticando che non mi era permesso leccare le sue scarpe senza il suo permesso.
-Come osi cane!-
Con una pedata mi bloccò facendomi quasi perdere nuovamente i sensi e con rabbia conficcò il tacco della sua scarpa nel mio petto stropicciandolo come se stesse spegnendo la cicca di una sigaretta.
-Cosa ne facciamo ora? Non possiamo più addestrarlo ormai… forse dobbiamo cancellare i suoi ricordi e mandarlo via.-

Il suono della voce della direttrice mi sorprese e solo allora iniziai a percepire la realtà che mi circondava. Mi trovavo steso sul fresco parquet del soggiorno della professoressa Sobieskji con le mani legate dietro la schiena, ero accanto al divano e voltandomi vidi i piedi della direttrice non molto lontani dal mio viso.
Mi scrutava con curiosità mentre parlava con la mia Padrona e le sue lunghe gambe che terminavano nelle appuntite decoltè m’indicavano minacciosamente quasi attirandomi magicamente a sé, mentre il tacco della professoressa Sobieskji continuava insistentemente a scavare nel mio petto. Non sapevo com’ero finito lì, forse era stata la locandiera a chiamare le mie carceriere perché venissero a prendermi, non ricordavo nulla eccetto il sapore acre del suo sudore che avevo leccato con impeto attraverso le sue calze pregne dei frutti di una giornata di lavoro. La mia crisi d’astinenza aveva reso vana la mia fuga riconducendomi alla mia prigionia e mi riscoprii ad essere quasi felice di questo.
Sentivo il mio malessere diminuire poco a poco, sovrastato dal potere incontrastato dei piedi della mia Padrona che anche nel dolore sapevano donarmi piacere.
-Ma quel macchinario è ancora in via sperimentale, non ne conosciamo ancora bene gli effetti.-
-Lo so Margot, ma non possiamo mica tenerlo segregato qui per sempre…-
-Certo che possiamo, è un trovatello… non ha nessuna famiglia a cui far ritorno, quindi potrò tenerlo qui al mio servizio addestrandolo a dovere fino alla laurea.-
-Non lo so, è rischioso. E poi quando si sarà laureato dovremo comunque lasciarlo libero e ci troveremo ad affrontare di nuovo questo problema.-
-Non preoccuparti, quando arriverà quel giorno mi supplicherà di poter restare. Ormai mi appartiene, è proprio per questo che la sua fuga è stata un totale fallimento… non può stare lontano dai miei piedi, l’hai visto tu stessa quanto desidera leccarli. Non è in grado di opporsi al mio volere, la sua mente è stata condizionata in maniera irreversibile. Sarebbe un vero peccato buttar via un elemento così valido ai fini del nostro progetto.-
-Credi che non si ribellerà più?- -Ne sono certa… non è vero schiavo?!- disse afferrando il guinzaglio di cui solo in quel momento mi resi conto e strattonandomi fino a farmi mettere in ginocchio.
-Si Padrona.-

La direttrice rise di gusto vedendomi così e sollevò una gamba poggiando il piede sul mio viso, curiosa, forse, di sperimentare l’ebbrezza che poteva regalarle un atto di assoluto dominio come quello.
Per un attimo mi chiesi quanto piacere provassero nell’umiliarmi a quel modo e se era paragonabile a quello che provavo io assumendo la droga dalle loro scarpe, o se forse era anche di gran lunga superiore ad esso.
-Lucia! Non poggiare le scarpe sporche sulla sua faccia… aspetta che lui si occupi prima di pulirle con la sua lingua…-
-Ah si, scusa… hai ragione.- disse la direttrice abbassando il piede con grazia sul pavimento davanti a me.
-Avanti schiavo! Lecca!- ordinò la professoressa Sobieskji afferrandomi per i capelli e premendomi il viso sui piedi della direttrice.

Leccando i piedi della mia nuova Padrona vi ritrovai lo stesso dolce sapore dei piedi della professoressa Sobieskji, evidentemente anche la direttrice aveva cosparso la pelle delle sue scarpe con la stessa droga e le lucidai con foga tra le risa compiaciute e di scherno delle mie tiranne.
-Avevi ragione Margot… è davvero un bravo cagnolino.- disse rimirando la scarpa che avevo già fatto risplendere con la mia lingua.
-Puoi tenerlo, ma solo se lo farai usare anche a me ogni tanto.-
-Ma certo cara, è a tua completa disposizione.-
-Grazie Margot… ne avevo proprio bisogno sai? Ho molte scarpe da lucidare è un così abile lustrascarpe è quel che mi ci voleva!-
-E pensa che sa fare bene anche altro oltre a questo…-
-Ah si? E cosa?-
-La sua linguetta è ottima anche per rilassanti pediluvi…-
-Davvero? Devo assolutamente provarlo allora!-
-Che aspetti schiavo, non hai sentito cosa ha detto la tua nuova Padrona?!- disse la professoressa Sobieskji tirandomi per un orecchio.
-Lascia cara, faccio io…-
-Si, giusto… è come un cane, ha bisogno di imparare anche la tua voce per riconoscerti come Padrona…-
-Da bravo schiavo, toglimi le scarpe… oh, ma ha ancora le mani legate questo povero cagnolino…- disse scoppiando in una sonora risata.
-Va bene, per questa volta farò da sola.- aggiunse sfilandosi le scarpe e poggiando i piedi fasciati dal nylon dei collant scuri sul mio viso. Per un po’ si divertì a sfregarli sul mio viso asciugandoli del sudore di cui erano intrisi, poi ne poggiò uno sulla mia testa e l’altro sul mio viso facendolo combaciare perfettamente con la sua pianta.
-Ti piacciono i miei piedi piccolo?-
-Si Padrona…-
-Che carino… mi chiama Padrona.- disse accarezzandomi con dolcezza il contorno del viso con la punta del piede prima di adagiarla sulle mie labbra.
-Da bravo cagnolino, leccami i piedi ora… fammi vedere quanto ti piacciono.-

Sotto il suo sguardo vigile e attento iniziai ad insinuare la mia lingua sotto le sue dita che continuavano ad esercitare la loro lieve pressione sulla mia bocca. Abbracciai con enfasi il sapore intenso dei suoi piedi in cui si mischiavano quelli delle scarpe e del nylon delle sue calze oltre che dell’agognata droga che mi aveva reso loro schiavo.
Lei si distese incrociando le braccia dietro la testa e si rilassò totalmente abbandonandosi al massaggio plantare che le offriva la mia lingua. La superficie liscia dei suoi collant era ormai madida della mia saliva e lei di tanto in tanto strofinava i piedi tra i miei capelli nel vano tentativo di liberarsene.
-Non c’è che dire Margot, è davvero molto bravo questo cucciolo d’uomo… diventerà un perfetto schiavo se continuerai ad addestrarlo così bene.-
-Si, ha molto talento… ti spiace se mi unisco anch’io? Ho i piedi molto stanchi e un bel massaggio è proprio ciò di cui ho bisogno.-
-Ma no, fai pure cara… in fondo il cagnolino è il tuo. Forse però dovresti liberargli le mani, così può servirci meglio.- disse la direttrice ridendo.
La professoressa Sobieskji allora si alzò e mi slegò le mani facendomi ricadere carponi. Poi tornò a sedersi e si sfilò le scarpe e le calze avvolgendole attorno al mio collo.
-Sulla pelle nuda è molto più piacevole, prova anche tu.-
La direttrice non ebbe esitazioni a seguire quel consiglio, si liberò subito delle calze zuppe della mia saliva e poggiò i suoi piedi nudi sul mio viso accanto a quelli della professoressa che avevo già iniziato a leccare. Entrambe si divertirono a giocare con la mia faccia mentre la mia lingua arrancava tra i loro piedi senza più riuscire a distinguerli l’uno dall’altro.

Il mio viso era totalmente ricoperto dai loro piedi che si strusciavano su di esso e s’infilavano nella mia bocca esplorando la mia cavità orale premendo la mia lingua che instancabilmente continuava il suo lavorio bagnando la loro pelle con le sue carezze. Ero totalmente pervaso dal loro aroma che mi stava causando quasi un overdose e i loro risolini e commenti di scherno che avrebbero dovuto umiliarmi risuonavano invece dolcemente nelle mie orecchie e mi spingevano a leccare ancora con più passione i loro piedi succhiando le loro dita e avvolgendole tra i miei caldi e devoti baci. Poi la professoressa improvvisamente si alzò allontanandosi e mi lasciò per alcuni istanti solo con i piedi della direttrice che ridendo soddisfatta ne infilò uno nella mia bocca spingendolo dentro più che poteva e solleticò il mio palato agitando le sue dita mentre cercavo invano di continuare a leccarle. Poco dopo la professoressa Sobieskji tornò con una tinozza piena d’acqua e la posò sul pavimento davanti a me.
-Su, bevi cane! Non hai più saliva e non riesci più a leccare come si deve i nostri piedi se non bevi prima un po’ d’acqua.-
-Aspetta! Voglio sottoporlo anch’io alla cerimonia di investitura come hai fatto tu…- disse la direttrice immergendo i piedi nella tinozza.
-Si, giusto… la berrà leccandoti i piedi! Avanti schiavo, bevi!- disse la professoressa calcando il piede sul mio capo e spingendomi col viso nell’acqua della tinozza fino a premerlo sul dorso dei piedi della direttrice. A grandi sorsate bevvi l’acqua in cui la professoressa Sobieskji continuava ad immergermi bloccandomi col peso del suo piede fino quasi ad affogarmi e ben presto la mia lingua si ritrovò a lambire nuovamente i piedi della direttrice prosciugando tutta l’acqua attorno a loro.
-Povero cucciolo… dovevi avere proprio una gran sete.- La professoressa Sobieskji allentò la pressione sul mio capo che rimase chino sui piedi della direttrice, poi mi afferrò per i capelli tirandomi su e sovrastando il mio viso col suo mi annientò col suo sguardo severo e sprezzante.
-Ti è piaciuto il nettare della tua Dea, vero schiavo?! Sai bene di non esserne degno dopo la tua fuga e che meriteresti di essere punito e non premiato dai nostri piedi!-
-Si Padrona, mi perdoni…- sussurrai gemendo per il dolore.

Sentivo il suo alito soffiarmi in faccia rabbioso e la sua mano strattonare con forza i miei capelli costringendo la mia bocca a restare aperta in una trattenuta smorfia di dolore della quale lei approfittò sputandoci dentro ripetutamente.
-Neanche di questo sei degno!- aggiunse sputandomi ancora in bocca e costringendomi ad ingoiare la sua saliva. Poi abbandonò il mio capo e con un paio di calci al ventre mi fece ricadere prostrato. Nel dolore vedevo i piedi vogliosi della direttrice infilarsi sotto il mio viso esigendo ancora i baci della mia lingua e quelli della professoressa salire sulla mia schiena e percorrerla fino alla testa, sulla quale si rigirò tornando a sedere sul divano. I loro piedi tornarono a divertirsi con la mia faccia strofinando le piante su di esso mentre li leccavo con inesauribile avidità, come se la mia sete di loro fosse inestinguibile. Ancora una volta fui investito da quella miriade di sapori e odori che sommergevano il mio viso e divenivano tutt’uno con la mia bocca scorrendo con perverso impeto dentro me.

Potevo talvolta distinguere i piedi ancora umidi della direttrice da quelli della professoressa velati da un po’ di polvere che si era appiccicata alle sue piante quando era andata a prendere la tinozza con l’acqua. Ma poi di nuovo si confusero tra di loro immergendosi più e più volte nella mia bocca e i miei pensieri divennero sempre più sfocati, nella mia mente annebbiata campeggiava solo il volere delle mie Padrone e il dolce aroma dei loro piedi, mia unica fonte di gioia e meta di tutti i miei desideri.
-E’ stupefacente quello che sei riuscita a fare di lui…-
-L’ho solo reso consapevole della sua natura mostrandogli l’immensa superiorità delle donne e il giusto modo di rapportarsi ad esse…-
-Già… e da quanto ci ha riferito la padrona della locanda si direbbe che l’ha appreso bene.- disse la direttrice con tono beffardo.
-Lui sarà il precursore di una nuova era… vedrai che presto tutti gli uomini impareranno a sottomettersi alle donne riconoscendo in loro le assolute Dee e Padrone dell’umanità. Il cosiddetto sesso forte soccomberà sotto i nostri tacchi adorandoci con devozione!-

Fine quinta parte...domani l'epilogo
view post Posted: 14/11/2011, 16:55     Il collegio - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
La mia vita, con tutte le abitudini che da sempre l’avevano accompagnata, cambiò bruscamente in seguito alla mia rinascita come schiavo della professoressa Sobieskij. Ogni mia fantasticheria svanì lasciando il posto a lei che era diventata ormai l’indiscussa tiranna di ogni mio singolo pensiero. Il piacere di servirla e adorarla mi veniva somministrato quotidianamente a piccole dosi, come se si trattasse di una preziosa e potentissima droga della quale non potevo fare a meno ma che non mi era possibile assumere in quantità troppo massicce. Quando non ero ai suoi piedi mi era severamente vietato fare qualsiasi cosa che non riguardasse lo studio o la pittura.

La mia Padrona voleva che coltivassi il mio talento e che soprattutto eccellessi nello studio di tutte le materie.
-Saresti del tutto inutile come schiavo se tu non sviluppassi al massimo tutte le tue capacità raggiungendo livelli ben superiori rispetto a quelle degli uomini comuni!- disse quando m’impartì il suo ordine.
Per alleviare le mie frequenti crisi di astinenza potevo beneficiare delle calze usate che ogni giorno la professoressa Sobieskij mi infilava in bocca prima di costringermi ad abbandonare le sue stanze e delle scarpe che dovevo lucidare accuratamente con la mia lingua consegnandole l’indomani al suo risveglio. Le sue calze, pregne del soave aroma dei suoi piedi, soggiornavano gran parte della giornata nella mia bocca solleticando il mio palato e tenendomi compagnia durante le ore di studio e anche in quelle notturne, quando chiudendo gli occhi precipitavo nel mondo dei sogni, ritrovando immancabilmente la mia Padrona.

Attendevo con ansia di vederla anche durante le orse di lezione, sperando ardentemente che lei mi punisse per poter segretamente godere del suo dominio, e questo avveniva puntualmente ogni volta, spesso senza alcun valido motivo, quasi con una sorta di affetto. Accoglievo con gioia il dolore dei ceci per poter stare prostrato davanti a lei, che dolcemente allungava di tanto in tanto i piedi fino a sfiorare quasi le mie labbra. Tutto mi appariva perfetto mentre la mia razionalità con tutti i suoi naturali dubbi e sospetti dormiva un sonno profondo schiacciata dal peso insostenibile della mia improvvisa follia. Sembrava essere destinato tutto ad una perpetua immutabilità, ma bastò un breve istante di lucida e quasi inconsapevole ribellione per capovolgere la situazione gettandomi in faccia il guanto rivoltato della mia passione.
Dopo tre mesi di ligia schiavitù e di massacrante studio che mi permise di terminare da solo il programma di ogni materia, decisi di prendermi una meritata pausa e di recarmi nel mio amato cortile, che oltre ad essere stato a lungo il mio rifugio aveva rappresentato anche l’impensabile punto di svolta della mia vita. Varcai la soglia del corridoio che portava al cortile provando uno strano senso di nostalgia per quel luogo e con ansia mi diressi verso il muro che con tanta cura e impegno avevo dipinto. Ma giunto a pochi passi dalla mia meta udii delle voci che mi spinsero a nascondermi dietro una colonna tenendo il fiato sospeso per la sorpresa di quell’inaspettato dialogo a cui mi trovai ad assistere.

Vidi due figure confabulare davanti al mio dipinto e in una di loro potei riconoscere subito la mia Padrona, l’altra era la direttrice del collegio e sembrava estremamente interessata dai miei disegni. Pensai che la mia Padrona nonostante tutto mi avesse tradito e che avesse mostrato alla direttrice i miei disegni sul muro per farmi espellere, ma ascoltando il loro discorso scoprii che il motivo per cui erano lì era di gran lungo diverso da quello che io potessi immaginare.

-Come vedi ha molto talento e non solo in questo… sono certa che potrà tornarci molto utile per la nostra causa, tu non credi?-
-Si, credo tu abbia ragione. Resta da vedere se sarà disposto ad eseguire ogni nostro ordine dedicandosi alla realizzazione del nostro progetto.-
-Di questo non devi preoccuparti, grazie alla mia abilità e alla pozione sono riuscita a farlo mio schiavo… posso fare di lui ciò che voglio, vive solo per il piacere di adorarmi e servirmi. Mi è bastato fargli assumere la droga una sola volta dai costingendolo a leccarmi i piedi ed è diventato subito il mio animaletto domestico.-
-Quindi quella pozione si è rivelata efficace… ma sei sicura che sia irreversibile il suo effetto?-
-Si, finché non gli viene somministrato l’antidoto lui ne sarà totalmente dipendente.-
-Ma Margot, non possiamo tenerlo qui e drogarlo per sempre, altrimenti non ci sarebbe di alcuna utilità… quando abbandonerà il collegio dovrai dargli l’antidoto e allora come faremo a controllare la sua mente?-
-Di questo non devi preoccuparti, l’antidoto non lo libererà dal modo in cui gli è stata somministrata la droga… a quello resterà per sempre legato.-
-Quindi continuerà ad essere il tuo schiavo anche dopo?-
-Non solo il mio… diventerà un uomo sottomesso e servizievole con tutte le donne, un perfetto servo del nostro nuovo mondo e ci aiuterà a realizzarlo anche a costo della sua stessa vita.-
-Chi avrebbe mai pensato che i nostri piedi potessero divenire un’arma così potente… se ci avessimo pensato prima avremmo realizzato già da tempo il nostro sogno.-
-Non preoccuparti lo realizzeremo presto e non solo le nuove generazioni, ma anche noi potremo goderne.-
-Si, se quest’esperimento funziona, presto metteremo in commercio la lozione attraverso una nuova linea di calzature femminili… quando lo faremo non ci sarà uomo al mondo che non desideri di le cari i piedi delle donne.-
-Sarà comunque necessario continuare ad addestrare schiavi che vadano a formare la classe dirigenziale del domani per poter dare vita alla nuova società…-
-Lo so, infatti dall’anno prossimo gli insegnanti del collegio verranno tutti sostituiti dalle nostre adepte e il percorso di studi del collegio sarà prolungato fino alla laurea… e se ciò non dovesse bastare stiamo comunque addestrando anche un esercito di schiavi che ci fornirà il necessario sostegno militare, ma a questo ricorreremo solo nel momento finale del nostro piano… per il momento, se funziona, ci limiteremo a creare una buona classe dirigenziale a noi sottomessa e a diffondere il più possibile la dipendenza dai piedi femminili negli uomini.-
-Sono certa che funzionerà… stasera ti mostrerò il mio schiavo e ti renderai conto tu stessa di quanto efficace è la droga che gli ho somministrato.-
-Bene, sono proprio curiosa di vedere cosa si prova a farsi leccare i piedi da un cucciolo d’uomo.-
-Esattamente ciò che si prova a farseli leccare da un cane mia cara Lucia… del resto non c’è alcuna differenza tra di loro, non credi?- disse la professoressa Sobieskij beffardamente.
-Eh no Margot, qui ti sbagli … i cani sono di gran lunga meglio degli uomini…-

Entrambe scoppiarono in una sonora risata, mentre io, ancora incredulo per quanto avevo ascoltato, faticavo a riprendermi. Era dunque questo il motivo per cui non riuscivo a fare a meno dei piedi della professoressa Sobieskji?
Provai un enorme disgusto per quanto avevo fatto, lei era riuscita a sottomettermi attraverso la droga e a far sì che le leccassi i piedi senza neanche più accorgermi di quanto fosse umiliante farle da cane, facendomi apparire il tutto come qualcosa di cui essere quasi orgoglioso, ma ora la vergogna e la rabbia in me riaffiorarono con forza davanti a quella rivelazione. Sapevo che non avrei potuto far nulla contro quella pozione di cui aveva già sperimentato ampiamente l’efficacia, ma non avevo alcuna intenzione di continuare a farle da schiavo lasciandole calpestare a quel modo la mia dignità. Corsi subito nella mia stanza e preparai alla meglio la valigia per abbandonare quella strana prigione in cui mi avevano costretto. Quella sera, invece di recarmi da lei scodinzolando come un cagnolino, sarei fuggito dal collegio ed avrei denunciato le assurde pratiche a cui ero stato sottoposto.

Attesi con impazienza che il sole tramontasse e poi subito mi avventurai lungo il giardino del collegio, che in quell’occasione mi apparve stranamente luminoso, come un viale dorato che m’indicava la via della mia futura e imminente liberazione. Il muro di recinzione dell’istituto era molto alto, quasi insommortabile, ma per fortuna avevo con me una copia della chiave del cancello che la professoressa Sobieskji mi aveva dato proprio il giorno prima ordinandomi di andarle a comprare un nuovo paio di calze in paese. Non c’era mai nessuno a sorvegliare l’ingresso dopo le sette e mi fu facile sgattaiolare via senza che nessuno mi vedesse. La professoressa Sobieskij mi attendeva per le otto nelle sue stanze, quindi avevo almeno un’ora prima che lei potesse accorgersi della mia assenza ed almeno un altro paio d’ore perché capisse che ero fuggito dal collegio. Per raggiungere il paese ci volevano circa trenta minuti a piedi, avevo tutto il tempo di raggiungerlo e trovare un treno che mi portasse il più lontano possibile da quel luogo.

Mi avventurai alla cieca lungo il sentiero di campagna illuminato dalla pallida luce di una timida luna quasi spenta, l’assurda realtà del collegio mi aveva sconvolto e tra la rabbia per ciò che avevo dovuto subire e la paura di essere nuovamente imprigionato, giunsi come un moribondo alla stazione desolata del paese. Invano cercai qualcuno a cui chiedere informazioni sul prossimo treno in partenza, ma persino la biglietteria era chiusa e quella piccola stazione mi parve quasi abbandonata, come il fatiscente edificio di un binario morto. Per fortuna trovai una bacheca su cui era affisso un foglio sbiadito che riportava gli orari dei treni, ma non ebbi il tempo di esultare perché scoprii che su quei binari passava solo un treno che portava alla città più vicina e che la prossima partenza era prevista per il mattino dopo alle sei.

Solo, infreddolito e con pochi soldi, mi ritrovavo bloccato e col rischio di essere riacciuffato dalla mia carceriera, della quale non osavo immaginare neanche la reazione alla scoperta della mia fuga, sapevo bene quanto potesse essere crudele e di certo mi avrebbe punito duramente se fosse riuscita a ricondurmi con sé nella mia prigione. Vagai a lungo per le stradine del paese cercando un luogo in cui ripararmi, con la speranza che nessuno venisse a darmi la caccia fino al mattino dopo. La mia attenzione fu attratta dall’insegna di una piccola locanda dalla quale mi giungeva un caldo e allegro vocio, forse lì mi sarei potuto rifugiare e riordinare le idee per decidere cosa fare, pensai. Il tepore dell’aria piena di alcol e di fumo mi abbracciò e mi dondolai ritrovando per un attimo un po’ di serenità in quell’allegro caos che mi circondava in modo quasi benevolo.

La padrona della locanda mi scrutò con curiosità, meravigliata forse di vedere un ragazzino con la divisa da collegiale nel suo locale. Il collegio non permetteva a nessuno, se non in caso di emergenza, di allontanarsi dall’istituto e in paese non doveva essere molto comune la presenza di studenti, soprattutto la sera.
-Dimmi la verità carino, sei fuggito di nascosto dal collegio?- disse la locandiera.
A queste parole mi si gelò il sangue e fui quasi sul punto di scappare, temendo che lei potesse chiamare la direttrice per avvisarla.
-Non preoccuparti piccolo… è giusto divertirsi un po’ ogni tanto…- aggiunse strizzando l’occhio.

Tirando un sospiro di sollievo le sorrisi con gratitudine e quasi mi commossi per il suo modo di fare così affettuoso e amichevole che da sempre mi era negato, ma proprio quel calore e quella dolcezza mi fece improvvisamente piombare nella disperazione riportandomi all’effettiva realtà della mia situazione.
Ero giunto al collegio direttamente dall’orfanotrofio, al mondo non esisteva alcun posto che potessi definire casa e al quale potessi tornare, se non proprio quello da cui ero appena fuggito. Mi resi conto che l’unico vero legame che avevo avuto nella vita era proprio quello di schiavitù che la professoressa Sobieskji mi aveva imposto e che il nulla mi attendeva lontano dalla mia prigione. Forse avevo commesso un grande errore a scappare dal collegio e una volta preso il treno che avrebbe coronato la mia fuga non avrei saputo proprio cosa farne della mia vita.

Cominciavo ad avere dubbi anche riguardo l’idea di denunciare le sevizie che avevo subito, chi avrebbe creduto a quella storia assurda e che peso poteva avere la parola di un trovatello senza nessuno contro quella della professoressa Sobieskji. Denunciando l’accaduto avrei solo rischiato che mi riconducessero a forza all’istituto e in quel caso la mia Padrona mi avrebbe sottoposto a supplizi inimmaginabili per punirmi. Ormai non mi restava da fare altro che continuare a scappare verso quel nulla senza voltarmi indietro. Una volta giunto in città mi sarei trovato un lavoro e mi sarei arrangiato a vivere per strada, mi attendevo tempi molto duri, ma in qualche modo me la sarei cavata e nessuna presunta Padrona mi avrebbe più umiliato costringendomi a leccarle i piedi. I pensieri si susseguivano vorticosamente nella mia mente alternando disperazione e speranza, ma improvvisamente si arrestarono ricadendo sui piedi della mia Padrona e mi accorsi che già da diverso tempo il mio sguardo si era incantato contemplando i piedi della locandiera che girava tra i tavoli.

Seguivo con desiderio i suoi passi nei zoccoli di legno, immaginandomi prostrato a baciare e leccare i suoi piedi stanchi attraverso le spesse calze che indossava. Gli effetti della droga che la professoressa Sobieskji mi aveva somministrato stava riaffiorando e senza l’antidoto presto avrei avuto una crisi d’astinenza di cui non conoscevo neanche le conseguenze. Per fortuna avevo portato con me un paio di calze usate della mia Padrona per poter resistere a questi attacchi, ma non me ne sarei potuto servire a lungo. Con uno sforzo immane allontanai lo sguardo dai piedi della locandiera e mi ritrovai a fissare la mia immagine nello specchio.
Al collo portavo ancora il collare della mia Padrona, pur essendo fuggito da lei non avevo potuto disobbedire all’ordine di indossarlo sempre, mi resi conto che il condizionamento mentale che mi aveva imposto era più potente di quanto pensassi. Che sia ormai troppo tardi per me? Possibile che l’impronta dei suoi piedi nella mia mente sia ormai incancellabile e che la mia esistenza sia segnata per sempre?
-Che c’è tesoro, non ti senti bene? Di certo la fame non ti manca comunque…- disse portando via il piatto vuoto dal mio tavolo. Preso dalla pazzia che mi era stata inculcata, seguii la padrona della locanda nel retro e la trovai seduta a riposare, approfittando del fatto che erano rimasti pochi clienti.
-Eh no cucciolo, qui non puoi stare…- disse vedendomi.
-Mi perdoni, volevo solo ringraziarla per la sua gentilezza e chiederle se potevo esserle d’aiuto.-
-Non è che per caso non hai soldi per pagare?-
-No, no… i soldi ce li ho…-
-Allora non c’è bisogno che mi ringrazi, ho fatto solo il mio lavoro tesoro.-
-Ma no, la prego… lasci che la ringrazi massaggiando i suoi piedi stanchi, la supplico…- dissi cadendo in ginocchio ai suoi piedi.
-Tu devi essere pazzo ragazzo mio…- disse ridendo con imbarazzo per il mio comportamento.
-La supplico, non mi neghi il piacere di poter baciare i suoi piedi.- dissi piangendo e bagnando le sue calze con le mie lacrime.
-Eh si… tu sei decisamente un pazzo!-
Incapace di rialzarmi continuai ad implorarla e a piangere sui suoi piedi finché lei non si impietosì.
-Su, basta piangere ora… se proprio ci tieni tanto fai pure, ma solo per un paio di minuti, chiaro?-
-Si Padrona…-
-Padrona? Ma da quale manicomio sei fuggito?-
Io ormai non sentivo più le sue parole ed ero totalmente preso dai suoi piedi e dal loro aroma che aspiravo avidamente mentre glieli massaggiavo ricoprendoli di delicati baci.
-Però… sei bravo a fare massaggi. Ce ne vorrebbero di più di pazzi come te, soprattutto dopo una dura giornata passata a servire tra i tavoli.-
Strofinando il viso e la bocca sui suoi piedi riuscii a mitigare almeno in parte la mia crisi d’astinenza, ma quel lieve sollievo non bastò e preso da un raptus di follia iniziai a leccare e succhiare le sue calze infilandomi il suo piede in bocca.

-Ok cucciolo, basta così! Ora stai esagerando!- Con una pedata mi allontanò, ma io non desistetti dalla mia vana ricerca della dose di droga che speravo di trovare sui suoi piedi e mi aggrappai a loro continuando a leccarli senza accorgermi delle sue urla e dei colpi del suo zoccolo che ricevevo sulla testa. Strinsi i suoi piedi premendomeli contro il viso e continuai a leccarli finché non fui preso dalle convulsioni e caddi svenuto ai suoi piedi.

Fine quarta parte...
view post Posted: 14/11/2011, 11:34     Il collegio - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
Dopo il tramonto la sagoma austera del collegio assumeva un’aria particolarmente sinistra che gli alberi alti e scuri del giardino rendeva ancora più inquietante. La luna proiettava le ombre degli alberi agitati dal vento lungo il selciato su cui mi aggiravo guardingo, sforzandomi di scacciare i fantasmi che si affacciavano nella mia mente approfittando di quell’atmosfera sepolcrale. Le stanze degli insegnanti si trovavano in un edificio adiacente al dormitorio di noi alunni e spesso, quando non riuscivo a dormire, mi soffermavo a guardare con curiosità le sue luci dalla mia finestra, chiedendomi come fosse la vita di un professore quando smetteva i panni di insegnante e diveniva un semplice essere umano tra le quattro anguste pareti della sua camera. Non ero mai stato lì e faticai per riuscire a trovare la stanza della professoressa Sobieskji.

Agli studenti di solito era vietato entrare nel dormitorio dei professori e temetti che qualcuno potesse vedermi e chiedermi spiegazioni per la mia presenza lì, anche perché non avrei saputo in che modo giustificarla. Cominciai a chiedermi come avrebbero reagito i professori o la direttrice se a un loro eventuale interrogatorio avessi risposto che stavo eseguendo solo un ordine della mia Padrona. Anche se i discorsi della professoressa Sobieskji erano molto convincenti, dubitavo che gli altri professori potessero trovare normale la schiavitù che mi aveva imposto. Forse mi sarebbe bastato parlarne con la direttrice per liberarmene, ma se lo avessi fatto si sarebbe trattato comunque della mia parola contro quella della professoressa e probabilmente mi sarei ritrovato io sotto processo per aver inventato tutto ed aver ingiustamente accusato un insegnante.

Mi attaccai a questo pensiero per giustificare il mio remissivo silenzio, ma sapevo bene che il motivo per cui accettavo passivamente il volere della mia Padrona era un altro. Nell’angosciante silenzio dei grandi corridoi cercai di attutire più che potevo il suono dei miei passi facendoli scivolare con estrema lentezza sul pavimento. Con agitazione leggevo i nomi sulle porte delle stanze disperando di riuscire a trovare in tempo quella della professoressa Sobieskji. Ero certo che sarei stato punito duramente se avessi tardato anche solo di un minuto all’appuntamento e non osavo neanche immaginare quale sarebbe stato il mio castigo. Poi udii dei passi dietro di me e preso dal panico iniziai a correre salendo su per le scale fino all’ultimo piano dell’edificio.

Alla fine della rampa di scale mi fermai appena in tempo prima di andare a sbattere contro la porta della direttrice. Al contrario dei primi tre piani in cui c’erano le porte di otto stanze, all’ultimo ce n’era solo un’altra oltre a quella della direttrice e avvicinandomi ad essa lessi con gioia che era proprio quella della professoressa Sobieskji. Dalla forma regolare e squadrata dell’edificio dedussi che quei due appartamenti dovevano essere molto più grandi di quelli degli altri professori, ma non mi soffermai a lungo a chiedermi le ragioni di questa differenza. Le otto stavano per scoccare e mi affrettai a bussare alla porta della mia Padrona sperando che non fosse già troppo tardi.

Quando la porta si aprì, la professoressa Sobieskji mi apparve in tutto il suo regale splendore e in vesti che mai avrei immaginato di vederle indossare. Il suo corpo snello e flessuoso era avvolto in una lunga veste di seta nera che si adagiava morbidamente sulle sue forme e i suoi piedi come stelle brillavano in sabot di pelle, anch’essi neri, coi tacchi a spillo e aperti sul davanti.
-Benvenuto nel mio regno schiavo… sei stato molto puntuale, meriti un premio per questo.-
A questo saluto risposi prostrandomi subito a baciare il suolo ai suoi piedi, così come lei mi aveva insegnato.

La professoressa Sobieskji sembrava molto soddisfatta nel avermi lì ai suoi piedi e di potersi servire di me nell’intimità del suo appartamento. Varcai la soglia del suo regno carponi e allo stesso modo la seguii fino al divano del suo ampio soggiorno. Il suo appartamento era molto più grande di quanto mi aspettassi ed era riccamente arredato, decisamente molto diverso dalle normali stanze di un dormitorio e molto più simile ad una piccola reggia. La stanza era immersa in una tenue penombra rischiarata solo dalla flebile luce di alcune candele profumate e di uno scoppiettante camino che donava un’atmosfera ancor più magica e quasi irreale a quel momento che recava già in sé i segni di arcane e sconosciute sensazioni senza tempo.

Dopo essersi seduta la professoressa Sobieskji si sfilò i sabot e immerse i suoi piedi nudi in una bacinella colma d’acqua e petali di rosa che aveva precedentemente preparato.
-Ecco il premio per la tua puntualità…-disse indicando i suoi sabot.
-Leccali!- Mi gettai sulle sue scarpe vuote come un cane che addenta un succulento pezzo di carne e le leccai avidamente insinuando la mia lingua fin negli angoli più riposti, nutrendomi dell’aroma intenso che conservava ancora dei suoi piedi come se si fosse trattato di una droga di cui ero ormai irrimediabilmente dipendente e della quale sentivo un assoluto bisogno.
-La devozione con cui adori la tua Padrona ti fa onore e per questo riceverai la giusta investitura che farà di te il mio servo prediletto.- disse con solennità, ma dalla sua voce trapelava anche un divertito compiacimento quasi beffardo per la mia sottomissione quasi canina.
-Ora basta leccare, avrai tempo a sufficienza per farlo ancora in seguito.
Togliti la camicia e distendila sul pavimento così che la possa usare per asciugarmi i piedi.-
Eseguii il suo ordine rimanendo a torso nudo e restai a guardare in religioso silenzio i suoi piedi emergere dalle acque floreali della bacinella e posarsi sulla candida camicia della mia divisa.
-L’acqua in cui ho immerso i miei piedi sarà la sacra bevanda che segnerà il tuo ingresso nel mio regno come schiavo e discepolo, elevandoti al di sopra dell’ignoranza degli uomini. Bevi schiavo e diventa mio!-

Non appena bagnai le labbra nel liquido della bacinella sentii il sapore dei suoi piedi investirmi potentemente e bevvi tutta ‘acqua fino ad ubriacarmene sentendo su di me un effetto quasi allucinogeno. Quando sentii quel dolce e strano nettare scivolare dentro me e sommergermi, una sete inestinguibile nacque in me e nei piedi della mia Padrona vidi l’unica sorgente capace di dissetarmi.

-Bravo schiavo! Ora il tuo corpo e il tuo spirito sono pronti a trascendere i limiti del pensiero comune. Potrai abbandonare la tua infelice condizione di arrogante inferiorità e recidere i legami con la società corrotta degli uomini per entrare a far parte di una nuova civiltà di esseri superiori. Plasmerò la tua mente liberandola dal gravoso peso di secoli di insulse ed erronee credenze che fin dalla nascita ti sono state ingiustamente imposte. Questo sarà il giorno della tua rinascita e rimarrà impresso per sempre nella tua mente come tale, perché oggi intraprenderai il percorso che farà di te un uomo nuovo.-
La mia sete continuava a crescere impetuosamente, fino ad impedirmi di ragionare, e implorai umilmente la mia Padrona di poter leccare i suoi piedi. Parole che mai avrei immaginato di poter pronunciare sgorgarono d’istinto dalla mia bocca e si riversarono sul suolo che baciai con devozione mentre le mie suppliche come timide onde lambivano i piedi della professoressa Sobieskji.

-Il desiderio devoto e intenso di uno schiavo per la sua Padrona è molto prezioso, è un sentimento che dovrai coltivare fino al dolore, solo così potrai vedere la luce. Ora seguimi continuando a mostrarmi tutta la tua devozione!- disse alzandosi.
Baciando le orme dei suoi passi strisciai dietro lei fino al fuoco del camino e in preda alla follia che era nata in me attesi con ansia i suoi ordini.
-Ora ti conferirò gli emblemi della tua investitura.-

Mentre continuavo a baciare il pavimento la sentii cingere il mio collo con un collare di pelle nera a cui poco dopo agganciò un corto guinzaglio.
-Questo è il simbolo della tua nuova ed irreversibile condizione e dovrai indossarlo sempre per non dimenticare ciò che sei… e quest’altro sarà invece il marchio tangibile e indelebile del mio dominio e servirà a ricordarti sempre a chi appartieni.- disse armeggiando con un attizzatoio nella brace del camino.
Ancor prima che mi rendessi conto di ciò che volesse farmi la sentii salire sulla mia schiena affondando i suoi tacchi con forza nella mia pelle e, mentre tirava a sé il guinzaglio per tenermi ben fermo, un lancinante dolore mi raggiunse all’improvviso alla base del collo, poco al di sotto del mio collare. Sentii un intenso bruciore che mi parve percorrere tutte le mie membra esplodendo nella mia mente e che senza darmi neanche il tempo di gridare mi fece perdere i sensi.

Quando riaprii gli occhi vidi nuovamente il fuoco scoppiettante del camino accanto a me, dovevo essere rimasto lì disteso per diverso tempo dopo essere svenuto per il dolore che ancora sentivo pulsare sul mio collo. I piedi della professoressa Sobieskji con il loro suadente profumo solleticarono i miei sensi facendomi quasi dimenticare subito il dolore, il loro peso gravava dolcemente sul mio corpo, di cui lei aveva fatto un comodo poggiapiedi mentre ero esanime.
-Vedo che ti sei ripreso finalmente! La “S” infuocata con cui ti ho marchiato deve averti fatto molto male e di questo dovresti rallegrarti, il dolore è il solo mezzo di ascesi di cui l’uomo dispone.- disse tallonando il mio viso quando mi voltai verso lei.
-Ebbene, non c’era qualcosa che desideravi ardentemente che la tua Padrona ti concedesse?- disse sorridendo maliziosamente.

Subito mi risollevai prostrandomi ai suoi piedi e mi accinsi ad implorarla, ma non appena la mia bocca si aprì per pronunciare le parole più umili di cui il mio cuore fosse capace, lei mi fermò facendo aderire perfettamente la pianta del suo piede sul mio viso, come se si fosse trattato della più comoda delle sue pantofole, e fece scivolare la punta tra le mie labbra costringendomi a un dolce silenzio.
-Il desiderio che leggo nei tuoi occhi è più eloquente di qualsiasi supplica. Puoi leccare i piedi della tua Padrona ora, te lo sei meritato.- disse spingendo ancor di più il piede nella mia bocca, fino ad immergerlo quasi per metà tra le carezze della mia lingua.

Leccando i suoi piedi sentii sparire totalmente il dolore, come se in quella umiliante e per me sempre più piacevole e indispensabile pratica si celasse un portentoso rimedio per ogni male. Tutto si dileguava in un nulla indistinto e per me esistevano solo gli incantevoli piedi della mia Padrona e soltanto lei, che si era magicamente impossessata in un sol colpo del mio destino e della mia vita, era la detentrice e la fonte di ogni mia emozione. I suoi piedi erano per me l’unico possibile accesso al Paradiso, in loro, nella loro pelle morbida e vellutata, era custodita la chiave della mia infinita gioia, ma erano allo stesso tempo anche lo strumento che permetteva alla mia Padrona di infliggermi qualsiasi pena, facendo sì che lei divenisse la mia unica e assoluta Sovrana, capace di decidere e disporre liberamente della mia esistenza.

Fine terza parte...a breve il seguito
view post Posted: 13/11/2011, 17:19     Il collegio - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
La professoressa Sobieskji era il sogno e allo stesso tempo l’incubo di ogni studente del collegio. Il suo fascino e la sua bellezza ammaliava tutti e chiunque la vedesse non poteva non restare soggiogato dal suo portamento altero ed elegante che la faceva apparire come una dea irraggiungibile. Nel preciso istante in cui la s’incontrava per la prima volta si provava amore per lei e un forte desiderio di adorarla, ma ben presto questi sentimenti si tramutavano in terrore per la sua severità e la crudeltà delle sue punizioni. Quando entrava in classe e dava inizio alla sua lezione tutti tremavano e si aveva l’impressione di entrare in un’altra dimensione, in un mondo oscuro e spaventoso di cui lei era l’assoluta tiranna e dal quale non si potesse fuggire.

Noi alunni diventavamo improvvisamente sudditi di una crudele regina che al più piccolo errore ci avrebbe punito duramente senza mostrare alcuna pietà. Venivamo sottoposti ad umiliazioni impensabili di cui non parlavamo mai tra di noi dopo le lezioni, avevamo timore anche solo di pronunciare il nome della nostra professoressa quando uscivamo dalla classe e ciò che subivamo rappresentava un segreto che non confidavamo a nessuno, neanche a noi stessi. Credo che nessuno oltre a me avesse sperimentato fino ad allora un umiliazione paragonabile a quella a cui ero stato sottoposto in cortile e quando il giorno dopo entrai in classe attesi con maggior ansia e timore del solito l’arrivo della professoressa. Temevo le conseguenze dei suoi discorsi del giorno prima e allo stesso tempo, senza capirne il perché, sentivo quasi di desiderarle.

Dopo essermi separato da lei iniziai quasi a dubitare della realtà di quanto era successo. Forse era stata solo un allucinazione, o forse ero crollato senza accorgermene in un sonno profondo dopo avere finito di dipingere il muro e avevo fatto quel bizzarro sogno, pensai. Ma quando la professoressa varcò la soglia dell’aula richiudendo la porta dietro di sé non ebbi più alcun dubbio sulla realtà di quanto era avvenuto il giorno prima nel cortile e il suo sguardo mi rammentò subito quale fosse ora la mia situazione e la mutata natura del rapporto che c’era ora tra di noi. Tutti ci sentivamo in balia di lei come se fossimo suoi vassalli e ci sentivamo inermi in sua presenza sapendo che lei poteva disporre di noi a suo piacimento, ma ora io mi trovavo su un piano ben diverso da quello dei miei compagni e potevo percepire tutto il peso del suo dominio su di me sentendomene totalmente sopraffatto.

Sapevo che le regole della schiavitù che mi aveva imposto avevano valore solo quando ero solo con lei, ma temevo ugualmente che lei potesse decidere di usufruirne anche in quel momento e stranamente, per un attimo, fui io stesso ad essere tentato di alzarmi dal mio posto e prostrarmi a baciare il suolo ai suoi piedi per salutarla. Non capivo cosa mi stesse succedendo, continuavo a provare vergogna per il fatto che lei mi trattasse come se fossi il suo servo e che potesse ancora chiedermi di leccarle i piedi, ma una parte di me desiderava proprio questo ed era felice di quella assurda condizione a cui ero legato.
Avevamo due ore di lezione quel giorno con lei e durante la prima ora, mentre lei commentava un nuovo brano di letteratura latina, continuai a fissare ossessivamente i suoi piedi sentendomene quasi ipnotizzato. Sedevo al primo banco e ciò mi permetteva di sbirciare senza alcuna difficoltà sotto la sua cattedra e mentre lo facevo mi accorsi che lei ricambiava quei miei sguardi con un enigmatico sorriso compiaciuto e quasi di scherno. Poi all’improvviso cessò di leggere chiudendo rumorosamente il libro e chiamò Daniele, che sedeva al banco affianco al mio, per interrogarlo. Gli diede una versione molto difficile da svolgere e, mentre aspettava che lui scrivesse la traduzione sulla lavagna, si mise a passeggiare tra le file di banchi.

Daniele era tra i più bravi in latino, ma tradurre un testo complesso e che mai prima di allora avevamo studiato, per di più senza l’ausilio del vocabolario, non gli fu facile. Procedeva molto lentamente mostrando diverse esitazioni mentre scriveva e il suono dei tacchi della professoressa che risuonavano nella stanza probabilmente accrescevano la sua agitazione provocandogli quasi un attacco di panico che gli impediva di ragionare. Passarono poco più di cinque minuti, durante i quali Daniele riuscì a svolgere quasi un terzo della versione che gli era stata assegnata, nessuno di noi avrebbe saputo far meglio di così, ma la professoressa si avventò su di lui con rabbia e lo afferrò per i capelli strattonandolo.

-Sei un incapace!- gli urlò in faccia.
-Sono stanca di perdere il mio tempo con delle bestie come te e vedere tutti i miei insegnamenti sprecati! Ti insegnerò io ad impegnarti di più nello studio! Prendi il sacco di ceci!- aggiunse colpendolo al volto con un violento ceffone. I ceci rappresentavano una delle torture più dolorose e anche più frequenti alle quali la professoressa ci sottoponeva. Bastava molto poco per meritarsi quella punizione, anche un semplice colpo di tosse che disturbasse la lezione poteva essere un motivo più che sufficiente per subire quel trattamento e forse tutti eccetto me avevano provato almeno per una volta quel dolore.

Rosso in volto per la vergogna oltre che per lo schiaffo ricevuto e quasi sul punto di scoppiare in lacrime, Daniele prese il sacco di ceci che si trovava in un angolo in fondo all’aula e senza bisogno che la professoressa gli fornisse altre indicazioni, estrasse alcune manciate di ceci e li dispose accanto alla cattedra fino a formare un piccolo tappeto sul quale si mise carponi. Mentre il mio compagno restava in quella posizione, la professoressa tornò a sedersi e riaprì il libro riprendendo la lettura del brano con cui aveva dato inizio alla sua lezione. Daniele era visibilmente scosso e forse per questo perse l’equilibrio e scivolò sui ceci cadendo rumorosamente a terra. Trattenere le risa davanti ad una caduta del genere è impossibile, anche quando ci si trova in un regime del terrore come il nostro e inevitabilmente tutti scoppiammo in un ilare boato liberatorio davanti a quella scena che ben presto avrebbe scoperto il suo lato terribilmente tragico.
La reazione della professoressa Sobieskji non si fece attendere e quando vide la testa di Daniele ai suoi piedi infierì su di lui calpestandolo e ordinandogli di rimettersi carponi sui ceci.
-Sei più stupido di un cane! Non riesci neanche a stare a quattro zampe! Ma ci penserò io ad insegnarti a farlo!- disse aprendo un cassetto della sua cattedra ed estraendo un frustino da amazzone.
-Voi che avete riso ora conterete i colpi!- aggiunse rivolta a noi. Sconvolti dalla paura di poter diventare le prossime vittime, contammo ad alta voce le dieci frustrate che la professoressa fece calare violentemente sulle natiche del nostro compagno che ad ogni colpo gridava pietà implorando il perdono della sua crudele carnefice.
-Spero che questa lezione ti sia sufficiente!- disse riponendo il frustino nel cassetto della cattedra.
-Ora vedremo se hai imparato…- aggiunse sedendosi sulla sua schiena e restandoci fino al suono della campanella.

La figura snella e slanciata della nostra professoressa troneggiava inquietante sulla schiena di Daniele che a fatica resistette sotto il suo peso, mentre lei con estrema noncuranza continuava a commentarci frammenti tratti da brani di letteratura latina. Quando la lezione finì e lui fu finalmente libero, si rialzò esausto rimettendo al loro posto i ceci ed abbandonò in silenzio e a testa bassa l’aula. Tutti si allontanarono quasi fuggendo da quella stanza di tortura e anch’io sarei stato felice di farlo se la professoressa non mi avesse trattenuto con un perentorio cenno imponendomi di restare.
-Sai benissimo cosa fare… quindi fallo se non vuoi che ti punisca.- disse quando l’aula si fu svuotata del tutto. Senza farmelo ripetere mi avvicinai alla cattedra e mi prostrai subito a baciare il suolo ai suoi piedi. Lei accolse il mio saluto poggiando un piede sul mio capo e costringendomi a restare con le labbra premute sul pavimento.
-Perché mi fissavi i piedi durante la lezione?-

Quella domanda mi colse di sorpresa e rimasi in silenzio temendo che la mia risposta potesse rappresentare per lei un valido motivo per punirmi.
-Quando ti faccio una domanda esigo che tu mi risponda subito!- disse aumentando la pressione del piede sul mio capo.
-Le chiedo perdono Padrona, guardavo i suoi piedi perché desideravo poterli leccare…- sussurrai.
-Bene, sapevo che ti saresti rivelato un buon discepolo e un servo devoto. Per questa volta ti perdono e ti concedo di leccarmi i piedi per premiare la sincera e profonda sottomissione che esprimono i tuoi desideri.-
Pronunciò quest’ultime parole con estrema dolcezza e dopo aver sollevato il piede dal mio capo attese il giusto tributo della mia bocca. Avvicinando le labbra alle sue scarpe fui subito travolto dal profumo dei suoi piedi e con impazienza mi accinsi a denudarli per potermi nutrire nuovamente del loro misterioso sapore.

-Come osi!- disse sottraendo il piede alla mia presa e colpendomi con un calcio sufficientemente forte da farmi sanguinare il naso.
-Non ti ho detto che potevi togliermi le scarpe schiavo! Se ti ordino di leccarmi i piedi tu devi solo tirare fuori la lingua e leccare e se quando te lo ordino indosso le scarpe tu devi leccare anche quelle!-
-Perdono Padrona.-
-Ti ho già perdonato a sufficienza per oggi! Ora usa la tua lingua per pulire il sangue che hai fatto cadere sul pavimento e poi vai a prendere i ceci!-
Eseguii il suo ordine leccando tutto il mio sangue dal pavimento e nel farlo mi accorsi che anche sulle mattonelle su cui lei aveva camminato si sentiva, seppur leggermente, l’odore sconvolgente dei suoi piedi. Quando finii di ripulire il mio sangue strisciai sulle ginocchia fino al sacco di ceci, rispettando la regola di dover stare sempre in ginocchio in sua presenza.
-Ora lecca!- mi ordinò porgendomi la suola delle sue scarpe non appena mi vide prostrato davanti a lei sullo strato di ceci.

Il contatto coi ceci mi procurava un dolore atroce, ma nonostante questo mi sottomisi al suo volere ed iniziai a leccare le suole delle sue scarpe. Il potente aroma dei suoi piedi mi raggiunse anche attraverso le scarpe e mentre le lucidavo ebbi l’impressione che il dolore che mi causavano i ceci diminuisse fino quasi a scomparire. Anche leccare le sue suole mi dava sensazioni di inaspettato piacere e quei sapori stavano divenendo quasi come una droga per me ed ogni volta che la mia lingua scivolava sulle sue scarpe il mio incomprensibile desiderio di leccarle aumentava a dismisura e cominciavo seriamente a temere le conseguenze di questa mia dipendenza che accresceva ancor di più il potere che la mia Padrona aveva su di me. Mentre le leccavo i piedi cominciavo a sentirmi davvero fortunato per il fatto che lei avesse deciso di fare di me il suo servo e sentivo quasi di amare quell’umiliante stato di schiavitù.

-Basta così! Le hai leccate abbastanza! Ora rimetti i ceci al loro posto e poi ritorna strisciando ai miei piedi!- disse spingendomi via col piede.
-Ricorda che anche leccare le suole delle mie scarpe per te è un privilegio e che devi essermi grato per questo! Se ho deciso di farti mio schiavo è stato perché ho visto qualcosa di speciale in te. Sono pochi gli uomini capaci di comprendere la superiore bellezza delle donne, ma qualcosa mi dice che tu sia in grado di farlo e per questo ho deciso di educarti evitando che l’ignoranza del mondo ti possa traviare. La foresta che hai dipinto e le figure femminili con cui l’hai popolata mi hanno rivelato i segreti più profondi del tuo animo e stamattina, dopo averla osservata attentamente ho deciso di revocare l’ordine che ti avevo dato di cancellarla. Hai molto talento e m’impegnerò per insegnarti ad usarlo nel modo giusto. Un futuro radioso ti attende, tu sarai il portatore di grandi e sacri valori che fonderanno una nuova e splendente civiltà.-

Mi rallegrai del fatto che lei non desiderasse più che io distruggessi il mio lavoro, ma il resto del suo discorso rimase alquanto oscuro per me. Se i miei disegni le piacevano e non voleva più che li cancellassi, per quale motivo il giorno prima aveva minacciato di farmi espellere e perché dovevo comunque continuare ad essere il suo schiavo? Stando alle sue parole trovarmi in quello stato, prostrato ai suoi piedi e pronto a leccarli come se fossi stato il suo cane, doveva rappresentare un privilegio per me e doveva rendermi migliore, ma io proprio non capivo come ciò fosse possibile, così come non capivo cosa le avessero mostrato di me i miei disegni.

Eppure, nonostante i dubbi, fui sopraffatto dalla strana logica delle sue parole e mi convinsi delle loro ragionevolezza senza riuscire ad oppormi alla sua carismatica personalità. Per quanto fosse umiliante, leccare i suoi piedi e le suole delle sue scarpe mi procurava un immenso piacere e per questo non mi fu difficile credere che si trattasse di un privilegio per me poterlo fare. Inoltre nel tono della sua voce e nel suo modo di parlami e di impartirmi ordini c’era qualcosa di ipnotico che mi soggiogava annientando ogni mia resistenza.

-Ora ho degli impegni da sbrigare.- disse alzandosi.
-Ma più tardi avrò bisogno di te… stasera, alle otto in punto, dovrai raggiungermi nelle mie camere. Vedi di non tardare!-

Fine seconda parte...continua...
view post Posted: 12/11/2011, 12:43     ciao a tutti - PRESENTAZIONE
ciao, mi sonoo iscritto diversi mesi fa ma ho cominciato ggi a pubblicare storie e video.
C'è solo un problema: quando carico i video metto l'URL che mi dice magaupload ma è sempre scorretto. come faccio? potete aiutarmi per favore, che ho dei video interessantissimi da condividere?
view post Posted: 12/11/2011, 12:06     Il collegio - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
Era da diverso tempo che avevo iniziato a dipingere sulle grandi mura bianche del cortile sul retro del collegio. Non passava mai nessuno di lì, sembrava abbandonato a se stesso e da quando l’avevo scoperto ne avevo fatto il mio rifugio segreto. Ci si arrivava percorrendo un lungo e buio corridoio a cui si accedeva attraverso una rozza porta dal legno un po’ marcio nascosta dietro le scale di servizio del collegio. Dopo un tragitto quasi labirintico il corridoio improvvisamente si illuminava attraverso delle ampie arcate che si affacciavano sul cortile. Il bugnato e i mattoni grezzi che rivestivano i muri e la pavimentazione mi davano la sensazione di trovarmi tra le rovine di un antico tempio o di una chiesa sconsacrata e mi piaceva starmene seduto sul basso muretto all’ombra delle arcate che correvano lungo il corridoio a leggere qualche libro o a disegnare.

Proprio mentre disegnavo mi venne l’idea di rendere più accogliente il mio rifugio, e così cominciai a dipingere un paesaggio dalla ricca e florida vegetazione tra la quale emergevano sinuose ninfe lungo le tre mura perimetrali che separavano il cortile dal resto del mondo e che al contrario di quelle della facciata del collegio erano lisce e bianche come se fossero state da poco ricoperte con l’intonaco. Impiegai quasi due mesi a finirlo e il lavoro si rivelò molto più faticoso di quanto mi aspettassi, soprattutto per la quantità di colore che fu necessario per ricoprire i muri e per la difficoltà di portarlo di soppiatto fin lì, ma in compenso il risultato fu molto soddisfacente. Quando mi sedetti sul muretto ebbi l’impressione di trovarmi immerso in una foresta incantata e rimasi ad osservarla a lungo, fantasticando su quali segreti potesse celare al suo interno, seguendo con la mente le ninfe che mi ammiccavano tra gli alberi. Estraniarmi nei mondi paralleli della mia fantasia attraverso i libri o la pittura mi aveva sempre affascinato, al punto che fin dalla più tenera età avevo preferito quell’immenso universo ai ristretti confini della realtà dalla quale rifuggivo librandomi nel cielo sconfinato della mia immaginazione.

Mi ero talmente abituato a vivere in quei mondi artificiali da non poterne più fare a meno e col passare degli anni tornare anche solo brevemente alla vita vera mi riusciva particolarmente doloroso e mi spingeva con sempre più forza ad isolarmi da tutto quello squallore dalle tonalità grigie e fosche che mi circondavano e che mi apparivano sempre più soffocanti e che la vita del collegio aveva reso ancora più opprimenti. Proprio per questo non appena potevo correvo a rifugiarmi in quel misterioso e magico cortile di cui avevo fatto il mio Eden e nel quale potevo elevarmi al di sopra di tutto trovando la mia serenità e la felicità che il resto del mondo mi negava.
-Piccolo delinquente! Guarda cos’hai combinato!-

Ero talmente preso dalla mia foresta e dal turbinio di pensieri che affollavano la mia mente, che non udii l’arrivo della professoressa Sobieskji alle mie spalle, e quando lei mi afferrò per i capelli scaraventandomi a terra riuscii solo a stento a comprendere le parole che mi urlava contro, faticando a riprendermi dallo stordimento causato dalla violenza improvvisa con cui mi aveva aggredito. Tutte le sue accuse di vandalismo mi offesero profondamente, ero convinto di aver abbellito e non deturpato il cortile della scuola, e a malincuore promisi che avrei ripulito tutto facendo tornare il muro com’era in origine.

-Credi che questo possa bastare?! Hai commesso un atto di vandalismo e per questo dovrai essere punito!-
Ero rimasto semisteso lì dove lei mi aveva scaraventato e la vedevo ergersi su di me e quasi sul punto di schiacciarmi coi suoi tacchi mentre continuava a sgridarmi puntando su di me il suo sguardo infuocato.
-Dovrò informare la direttrice, atti del genere sono inammissibili in un istituto rispettabile come questo, meriti l’espulsione per quel che hai fatto!-
Trovavo piuttosto improbabile che la direttrice potesse espellermi per una cosa così innocente, forse a lei sarebbe anche piaciuto il modo in cui avevo dipinto i muri del cortile, eppure le parole della professoressa e il tono con cui le disse, mi fecero temere che avesse ragione e che il pericolo di un espulsione fosse più reale di quanto potessi immaginare.
-No, la prego!- dissi risollevandomi da terra e ritrovandomi, pur non volendo, in ginocchio davanti a lei.

Quando mi vide inginocchiato ai suoi piedi e pronto a implorarla, il suo atteggiamento mutò ed i suoi occhi brillarono di una strana luce, come se fosse compiaciuta e soddisfatta della mia umiliazione. Nei due anni in cui l’avevo avuta come insegnante avevo avuto modo di notare in lei un atteggiamento quasi sadico verso tutti i suoi alunni, me compreso, al punto tale da farmi spesso sospettare che provasse un perverso piacere ad umiliarci punendoci duramente anche per motivi futili, e proprio in questa sua propensione a godere soddisfatta delle umilianti punizioni che ci infliggeva vidi improvvisamente la mia salvezza. Il fatto che l’avessi pregata in ginocchio forse sarebbe bastato a farla desistere dalla sua idea di farmi espellere e proprio per questo rimasi in ginocchio con aria implorante.

-Le tue preghiere servono a ben poco. Se lasciassi correre tu non impareresti nulla e in futuro diventeresti senz’altro un criminale.-
-Ma no, le giuro che non lo diventerò e che non farò mai più nulla del genere!-
-Se vuoi che ti creda dovrai convincermi della sincerità delle tue parole. Solo se sarò certa del tuo pentimento potrò fare a meno di avvisare la direttrice dell’accaduto.-
Detto questo, si sedette sul muretto accavallando le gambe e puntò il suo sguardo severo su di me.
-Ebbene! Cosa aspetti?! Vieni qui e chiedi perdono per quel che hai fatto!- disse indicando il suolo ai suoi piedi.
Mi alzai avvicinandomi a lei, che continuava ad osservarmi come se attendesse che io dessi inizio a uno spettacolo in suo onore, e a testa bassa le chiesi scusa fingendo come meglio potevo di essere pentito per il disegno sul muro che avevo faticato tanto a realizzare e del quale ero molto orgoglioso nonostante la sua ramanzina.

-Non sei stato abbastanza convincente!- disse prendendomi per un orecchio e tirandomi giù fino a farmi mettere nuovamente in ginocchio davanti a lei, col viso a pochi centimetri dalle sue scarpe.
-Su, riprova!-
-Le chiedo perdono per aver dipinto sul muro del cortile, sono pentito per quanto ho fatto. Farò qualsiasi cosa lei vorrà per rimediare e sono pronto ad accettare la punizione che lei riterrà più opportuno infliggermi, ma la supplico, non dica nulla alla direttrice.-
-Così va meglio, ma non basta. Li conosco bene quelli come te, ragazzini sbandati che se non vengono raddrizzati per tempo diventano dei pericolosi delinquenti. Hai bisogno di imparare il rispetto delle autorità e della legge, solo così potrai diventare un uomo perbene, onesto e ligio al dovere. Come tua insegnante non posso assolutamente accettare di vederti crescere come un balordo e mi impegnerò personalmente ad educarti. Grazie a me apprenderai cos’è la disciplina e diventerai un vero uomo.-
Mentre parlava fece sgattaiolare il piede fuori dalla scarpa e lo avvicinò al mio viso.
Il forte odore del cuoio delle sue scarpe mischiato al sudore del piede m’investì ancor prima che potessi comprendere il motivo per cui le sue dita stessero avanzando insistentemente fino alla mia bocca.

-Per cominciare imparerai a mostrare rispetto e a piegarti con umiltà e devozione davanti all’autorità dei tuoi superiori, sottomettendoti incondizionatamente al loro volere.-
La punta del suo piede premeva con impazienza contro le mie labbra, senza che io riuscissi a capire il senso di quanto mi stava dicendo.
-Lecca!- intimò con voce ferma e severa. Le mie labbra si schiusero incredule al suo comando e lei ne approfittò per intingere l’alluce nella mia bocca. Sentendo il sapore del suo piede tra le mie labbra provai uno strano e indistinto piacere, a cui si accompagnò lo stupore per la sua richiesta, che mi impediva di reagire in alcun modo al suo comando.
-Non hai sentito? Lecca!- ripeté.
Pur essendo ancora immerso nella meraviglia di quella situazione surreale, mi piegai docilmente al suo volere, agendo come se mi trovassi all’interno di un sogno bizzarro che si percorre con incredulità e con la curiosità di vederne la fine. Tirai fuori la lingua ed iniziai a leccare timidamente il suo piede pregno del sapore di sudore e del cuoio della scarpa.

Mentre lo leccavo sentii crescere in me una forte eccitazione che sovrastò ben presto la vergogna per il gesto umiliante che stavo compiendo e fui quasi felice quando lei si tolse anche l’altra scarpa offrendo entrambi i piedi agli umidi baci della mia lingua che continuò a lungo ad insinuarsi tra le sue dita e in ogni piega della sua pianta. Più leccavo i suoi piedi e più il loro sconvolgente sapore mi appariva buono, come un delicato nettare, dolce come mie miele, di cui mi nutrivo avidamente. La mia bocca era colma di quella strana e deliziosa essenza e la mia lingua, seppur dolorante, continuava senza sosta il suo piacevole lavoro, come se fosse incapace di fermarsi.

-Bene, per ora può bastare. Mi hai dimostrato di essere realmente pentito e deciso a diventare un uomo probo e degno del collegio che frequenti, quindi posso concederti il mio perdono e premiarti dandoti la possibilità di migliorare attraverso i miei insegnamenti.- disse schioccando le dita e ordinandomi con un cenno di rimetterle le scarpe.
-A partire da questo preciso istante sarai il mio discepolo prediletto e il mio personale e devoto servitore, così potrò impartirti la giusta educazione evitando che tu commetta nuovamente atti incresciosi come quello di oggi. Sarai addestrato severamente per divenire un membro rispettabile della società del domani. Questo è un onore che concedo a pochi e mi auguro che saprai essere all’altezza dell’opportunità che ti sto offrendo.-

Dopo averle calzato le scarpe rimasi prostrato ai suoi piedi percependo il profumo e il sapore di cui la mia bocca era ancora imbevuta. Accolsi distrattamente le sue parole e mi sorpresi a desiderare di leccarle nuovamente i piedi mentre lei mi parlava. Proprio non riuscivo a capire per quale motivo quel gesto così disgustoso a cui ero stato costretto dalla paura di una possibile espulsione avesse potuto sconvolgere in maniera così profonda e piacevole i miei sensi. La voglia che avevo di tornare a leccarle i piedi mi sorprendeva più delle sue richieste di sottomissione. Che legame poteva mai avere l’educazione con la servitù e come poteva un insegnante imporre cose simili ad un suo alunno? Era a dir poco assurdo il suo comportamento, ma per lo stato in cui mi trovavo in quel momento tutto mi parve quasi naturale, se non addirittura ovvio.

-Ricorda, la tua non sarà una punizione, bensì un premio e spero che saprai essermi grato per questo. Mi aspetto da te la più totale e assoluta dedizione e sottomissione e non ammetterò nessun errore! Sono stata chiara?-
-Si professoressa… la ringrazio.- sussurrai baciando la punta delle sue scarpe.
Al mio bacio lei si sottrasse subito e fece calare un piede sul mio capo premendo la mia faccia contro il suolo.
-Il fatto che tu mi abbia ringraziato baciando umilmente le mie scarpe mi fa sperare bene riguardo all’esito del tuo addestramento e mi fa sperare che sarai un ottimo allievo ed è solo per questo che stavolta non ti punirò. Ma bada che baciare me o qualsiasi altra donna è un privilegio che non si può ottenere senza permesso! In futuro non azzardarti a baciarmi i piedi o le scarpe se non sarò stata io ad ordinartelo! Se vorrai mostrarmi la tua gratitudine o la tua devozione potrai farlo baciando il suolo ai miei piedi e mi aspetto che tu lo faccia anche per salutarmi, solo dopo aver fatto questo potrai permetterti di supplicarmi di concederti il permesso di baciarmi i piedi! E un’altra cosa… sei il mio servo e come tale dovrai rivolgerti a me chiamandomi “Padrona” e dovrai sempre stare in ginocchio al mio cospetto, anche per alzarti dovrai chiedermi il permesso se non sono io ad ordinartelo, chiaro?-
-Si Padrona…-
-Naturalmente tutte queste regole valgono solo quando siamo da soli se non sono io ad ordinarti diversamente.- disse infine sollevando il piede dalla mia testa e lasciando che io la risollevassi abbastanza da poter nuovamente posare il mio sguardo sulla punta delle sue scarpe.
-Ora porgimi i tuoi saluti come si deve e poi vai in camera tua a studiare!-

Con un bacio sfiorai il suolo ai suoi piedi e rimasi con le labbra premute sulle mattonelle del cortile finché lei, dopo aver fatto leva col piede destro sul tacco sollevando la punta dal suolo, non mi ordinò di baciarne la suola. Fui molto solerte nel piegarmi a questa ennesima e umiliante richiesta e baciando la sua suola, che scoprii sorprendente pulita, aspirai brevemente il profumo del suo piede verso il quale provavo un crescente desiderio e che ora mi appariva come una meta irraggiungibile che con fatica mi sarei dovuto riguadagnare. Dopo aver ottenuto quest’ulteriore prova della mia sottomissione la professoressa Sobieskji mi spinse via con la punta del piede, come se fossi un cane troppo affettuoso e invadente di cui lei ora volesse liberarsi, e si allontanò sparendo nel collegio e lasciandomi solo col suono dei suoi passi che continuò a lungo a riecheggiare nel cortile.

Fine prima parte. se vi è piacuta posto anche le altre
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