Sire del Loto Bianco Forum BDSM & Fetish

Posts written by mephistofele84

view post Posted: 24/5/2018, 10:24     +1L'amica di famiglia - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
non osavo più sperare alla continuazione di questo capolavoro ! :)
view post Posted: 24/2/2018, 14:22     memorie di uno schiavo - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
quello nemmeno a me ...anzi lo odio xD
però il resto mi sembrava figo
view post Posted: 20/2/2018, 22:13     memorie di uno schiavo - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
questo racconto non è mio ed è anche piuttosto datato ma siccome su questo sito non è presente ed è uno dei miei preferiti ,ho pensato di condividerlo per farlo conoscere a chi non lo avesse ancora letto






La mia storia comincia due mesi fa circa.

Essendo in procinto di terminare gli esami universitari, cresceva per me la necessità di trovare un'azienda in cui poter effettuare lo stage, sul quale avrei poi dovuto relazionare per la tesi finale di laurea. Iniziai quindi la mia ricerca con i soliti motori di ricerca, aprendo e visitando i siti web di diverse aziende del settore nel quale avrei dovuto lavorare. Il classico lavoro di routine: aprire il sito, dare un'occhiata, cercare l'indirizzo “info” o “cv” e mandare il curriculum.

Tuttavia alcune aziende non avevano la propria e-mail rintracciabile sul sito, in quanto avevano un form da compilare a mo' di curriculum on line per i loro database. Nonostante i più di questi fossero lunghi, mi armai di buona volontà e ne compilai circa una ventina. In più avevo già spedito moltissime altre e-mail con il cv allegato, quindi avevo diverse speranze di poter trovare un posto facilmente.

Di fatto non fu così facile, e mi dovetti ricredere sul mio ottimismo. Ricevetti infatti solo una e-mail di risposta direttamente dal dirigente di reparto del marketing di un'azienda, tale ing. John White. Costui mi rispose con una mail piuttosto risoluta, con toni un po' spavaldi anche se non offensivi, chiedendo di contattarlo telefonicamente per fissare un incontro. Prima di chiamarlo però volli togliermi una curiosità: decidetti di indagare sull'azienda in questione per coglierne le dimensioni e l'importanza. Scoprii con sorpresa che l'azienda in questione era la più grossa multinazionale del settore, e molto probabilmente il dirigente del marketing di una corporate di tale livello, tale John White, avrà avuto sotto di sé parecchi dipendenti, quantomeno (per esperienza) direi 70-80 persone. Mi stupì quindi che fosse stato proprio lui a contattarmi di persona, ma non più di tanto in quanto ero consapevole che il mio corso di laurea era selezionatissimo ed inoltre avevo già un po' di esperienza nel campo.

Inizia quindi da qui il racconto di questa mia esperienza. Ma vorrei, prima di continuare, raccontare un episodio che meglio possa descrivere il mio carattere docile e remissivo. Senza questa prima esperienza non sarebbe possibile comprendere il mio comportamento per quanto riguarda il resto della storia e, quindi, della mia vita.



L'iniziazione



Era un caldo pomeriggio d'estate, e miei amici erano tutti in vacanza. Io però non volevo stare a casa, e così decisi di recarmi al centro commerciale vicino a casa, per fare due passi ed ammazzare un po' il tempo. Una volta entrato, notai che il posto era quasi deserto, sicuramente per il fatto che era agosto ed inoltre era un giorno lavorativo.

Decisi di prendere una coca in un bar e di uscire a sedere su una panchina all'ombra. Nell'uscire abbasso l'aletta del mio capello sulla fronte, visto che c'era molta luce e non avevo occhiali scuri, e notai che anche all'esterno non c'era praticamente nessuno, se non un gruppo di giovani, che conoscevo di vista, provenienti dalle case popolari. Erano tutti di origine siciliana, a giudicare dal dialetto che utilizzavano per parlare tra di loro.

Avvistata una panchina ombreggiata, mi avvicinai e mi sedetti, mentre il gruppo in questione stava seduto sulla panchina a fianco alla mia, circa a 3- 4 metri di distanza, o sul muretto appena dietro la panca. Probabilmente il fatto che io fossi l'unica persona in zona oltre a loro attirò la loro attenzione, ed iniziarono a guardarmi, mentre continuavano a parlare tra loro.

Il gruppo era composto da quattro ragazzi e due ragazze. Il modo di fare che avevano era piuttosto arrogante e, di qualunque cosa stessero di volta in volta parlando, dimostravano di esserne sprezzanti ed insolenti. La cosa iniziava ad infastidirmi e a mettermi in imbarazzo, cosa che non sfuggì loro.

Uno di loro disse ad un altro che il suo capello era ormai vecchio e rovinato, da buttare, iniziando a guardarmi con insistenza. L'altro confermò e alzando il tono di voce consigliò all'amico di chiedermi in prestito il mio. Così il giovane si avvicinò e con aria decisamente boriosa mi rivolse la parola:

«Hey bello, fammi provare il tuo cappello, su!»

Vedendo il soggetto in questione, iniziai ad esserne intimorito. Al contrario di me, che sono basso e mingherlino, oltre che debole e docile, lui era alto e con un fisico palestrato, ben visibile sotto la maglietta attillata che portava. Non risposi alla sua provocazione, forse per la troppa paura. Il giovane riattaccò a parlarmi:

«Allora? Sei sordo oltre che sfigato?»

Mi prese il cappello dalla testa afferrandolo per l'aletta. Io feci per alzarmi in piedi, ma con un semplice spintone mi rimise a sedere e si mise a ridere.

«Meglio che stai buono lì, sfigato!»

Detto questo si rivolse ai suoi amici chiedendo cosa pensassero del “suo” nuovo cappello; essi risposero con una risata generale di consenso. Ma ormai il bullo si stava divertendo e non aveva intenzione di smettere lo show.

«Senti sfigato, fa caldo e voglio prendermi da bere. Dammi 5 euro. Anzi, 10 euro, visto che ho finito le sigarette, eheh!»

A quel punto io stavo vistosamente tremando e avevo gli occhi rossi; il centro commerciale era in fondo ad una strada chiusa, in mezzo ad una zona industriale. Essendo agosto tutte le fabbriche erano chiuse e, non essendoci nessuno nei dintorni, l'area era veramente deserta e nessuno avrebbe potuto prestarmi aiuto.

«Che c'è? Hai 5 secondi, poi ti prendo a mazzate oltre che a prendermi tutti i tuoi soldi, è chiaro?»

Non avevo nemmeno la forza di rispondere, e mentre tremavo presi il portafogli, che mi cadde dalla mano. Mi abbassai dalla panchina per raccoglierlo ma il giovane, prima che la mia mano lo potesse raggiungere, ci mise la scarpa sopra. Io alzai la testa per guardarlo, e lui disse:

«sai, ho cambiato idea: innanzitutto la tua coca diventa mia, e poi, visto che mi hai fatto perdere troppo tempo, mi prenderò comunque tutti i tuoi soldi. Però mi fai un po' pena alla fine… riprenditi il tuo cappello.», che si tolse dalla testa e gettò e terra.»

Risate di tutto il gruppo.

«Se però non ti sta bene dimmelo, così l'altro piede te lo metto direttamente in testa!»

Ero completamente annichilito, e così mi rimisi a sedere sulla panchina senza nemmeno rispondere. Il ragazzo raccolse il mio portafogli e si rallegrò del bottino con il proprio gruppo.

«Bravo sfigato! A buon rendere!»

Non ebbi la forza di rispondere nemmeno in quell'occasione.

Mentre tornava nel gruppo, lo guardavo con gli occhi arrossati dalla rabbia e dalle lacrime, sapendo di non poter fare nulla. Ed ecco l'episodio che, per primo nella mia vita, mi fece scoprire che la mia indole mi avrebbe portato ad essere per sempre umiliato.

Mentre guardavo con rabbia il ragazzo andar via, una ragazza del gruppo si alzò di scatto in piedi scendendo dal muretto dove sedeva con gli altri, e guardandomi disse: «tu ti sei appena permesso di guardare con aria di sfida il mio ragazzo, vero?» e, detto questo, iniziò a camminare verso di me. Gli altri la incitavano «Avanti Lety! mettilo a posto!».

Letizia era una ragazza fisicamente robusta ma non sgraziata, con un bel corpo e con un seno enorme, almeno 20 cm più alta di me. Quando arrivò a un paio di metri da me perse quel suo sguardo arrogante e aggressivo di qualche secondo fa… ora sembrava più maliziosa; poco dopo scoprii che con me si voleva proprio divertire, molto più di quanto aveva appena fatto il suo ragazzo.


«Se guardi così Miro significa che hai fegato, allora siediti lì con noi, forza!» e detto questo mi afferrò per la maglietta e mi trascinò fino al muretto. I 4 ragazzi si erano seduti un po' più in l? su un'altra panchina, guardando la scena, mentre l'altra ragazza, Loredana, era seduta sul muretto.

Loredana era leggermente più bassa di Letizia, con i capelli tinti di color mogano / prugna, un fisico snello e slanciato e uno sguardo molto penetrante e determinato che, associato al suo sorriso di scherno, mi faceva sentire ancora più impaurito e senza difese. Letizia si sedette sul muretto, a circa 50 cm di distanza da Loredana, dopodiché mi ordino i sedermi per terra appoggiandomi al muretto, nello spazio tra loro due. L'altezza del muretto era tale che le loro gambe penzolavano facendo arrivare i loro piedi poco sotto l'altezza delle mie spalle. Avevo quindi le loro scarpe da ginnastica Stan Smith polverose a pochissimi centimetri dalle mie spalle.

Come se niente fosse, le due presero a parlare di argomenti abbastanza forti e con atteggiamenti molto focosi, che mi fecero subito tornare in imbarazzo e sentirmi a disagio, soprattutto seduto lì, in quella posizione già di per sé umiliante.

A un certo punto Letizia mi riprese:

«…e tu, mezza sega, cosa ne pensi?»

io purtroppo non ero attento al dialogo, e così balbettai un «N-non saprei…»

Era probabilmente il pretesto che lei aspettava per iniziare a divertirsi con me.

«Allora non ascolti eh? Pensi di poter fregartene!»

Prima che io avessi avuto il tempo di replicare lei si abbassò verso di me e mi mollò un sonoro ceffone, il cui schiocco fu notevole. Subito dopo Loredana attirò la mia attenzione toccandomi la testa col piede e ordinandomi di chiedere scusa a Letizia, cosa che feci all'istante, tra le risate generali delle due.

A questo punto Letizia scese dal muretto e mi fece mettere in ginocchio, eretto, vicino al muro sempre davanti in mezzo a loro; mi tolse il cappello dalla testa,

«questo non ti serve più»

e, rivolta a Miro,

«Amò! Vieni, ho un regalo per te»

Il ragazzo, che prima mi aveva già umiliato, si avvicinò e Letizia posizionò il cappello sulla sua testa.

«Ti sta proprio bene!»

commentò, guardandomi con un sorriso di scherno e, afferrandomi la testa per i capelli e alzandomela verso l'alto (io dopo lo schiaffo ero seduto a terra), mi disse:

«guarda un vero uomo come bacia la sua donna, schiavo!».

Detto questo, lui la abbracciò ed iniziarono a baciarsi appassionatamente, mentre lei con una mano palpava il cazzo di lui e con l'altra mi teneva per i capelli in modo che fossi costretto a guardare la scena, mentre Loredana rideva di me.

Dopo pochi secondi si staccarono e Miro tornò dagli amici; Letizia tornò a sedere sul muretto.

Mentre continuava a conversare con Loredana, ogni tanto mi afferrava la testa per i capelli ma senza forzare, solo per il gusto di avermi come giocattolo, alternando carezze di scherno a strattoni per i capelli, pressandomi la testa al muretto. In alternativa, visto che stavo sempre a testa china, mi prendeva con dolcezza il mento facendomi alzare la nuca, per poi spararmi dei ceffoni, anche 3-4 di fila, il tutto tra le risate generali di Loredana e dei 4 ragazzi che nel frattempo si erano accesi una canna stando sempre sull'altra panchina.

La situazione stava via via scaldandosi, e le percosse di Letizia si facevano più pesanti. Tuttavia quello che era particolare era che si facevano anche sempre più umilianti: il suo scopo era la dominazione, e io con mio stupore non ero più terrorizzato, ma iniziavo a provare che quanto stava accadendo era giusto: chi domina, sopra; chi è dominato, sotto, in ginocchio, proprio come ero stato messo da lei. Intanto anche Loredana aveva iniziato a dimostrarmi che ormai ero il suo verme, oltre che di Letizia, e quando quest'ultima non mi stava schiaffeggiando, lei teneva appoggiato un piede fisso sulla mia spalla, sfregandone il lato sulla mia guancia, come se questa fosse uno zerbino.

Letizia, notando la cosa, disse sarcasticamente:

«Lory, le tue scarpe sono un po' impolverate, vediamo se la mezza sega più aiutarti con le sue guance da checca.»

Così mi afferrò la faccia per il mento e si avvicinò con il suo viso al mio con un sorriso di scherno, lasciò fuoriuscire dalla sua bocca un grande fiotto di saliva sulla mia guancia che stava dal lato di Loredana, la quale riappoggiò il suo piede sulla mia spalla e cominciò a sfregare il lato della scarpa sulla mia faccia proprio dove c'era la saliva, non mancando di commentare:

«Bene, pare che mezza sega ora possa essere battezzato: dimentica per sempre il tuo nome, da ora ti chiamerai semplicemente schiavo! Hai capito?!».

Io, imbambolato, non risposi, e mi arrivò così l'ennesimo schiaffo di Letizia.

«Allora non hai capito! Ti spiego una cosa: da adesso sei nostra proprietà, proprio come un oggetto, e dovrai chiamarci Dee, è chiaro?!»

«sì Dea»

«bravo!»

e mi sputò in faccia, e allora le due scoppiarono a ridere. Letizia continuò:

«altra regola: ogni volta che ti sputo in faccia devi ringraziare, lasciar colare la saliva fino alle tue labbra, bere e ringraziare di nuovo. È chiaro?»

«sì Dea, grazie Dea»

e questa volta fu Loredana ad umiliarmi piazzando direttamente la sua scarpa sulla mia testa, visto che ormai il mio cappello non c'era più da tempo, ormai proprietà del ragazzo di Letizia.

La situazione si era temporaneamente calmata, con le due che parlavano tra di loro mentre mi usavano per sporadiche risate. Loredana si era letteralmente sdraiata sul muretto a aveva ancora la scarpa sulla mia testa. Era particolarmente cattiva, si divertiva a muovere il suo piede sulla mia testa come un giocatore fa quando è immobile e ha il piede sul pallone, avanti e indietro.

Dopo circa 20 minuti di poggiapiedi per Loredana, che alternava le gambe, e di oggetto di sputi per Letizia, le due decisero di divertirsi ancora un po'. Loredana scese dal muretto, si voltò, si abbassò i jeans fino a sotto il sedere e disse a Letizia di metterci la mia faccia. Letizia mi afferrò con una mano per i capelli e con l'altra per il collo e mise il mio naso a pressione con l'ano di Loredana, la quale lasciò uscire una potente scoreggia e molto puzzolente, alla quale tutti e sei risero come forse mai nella loro vita. La ragazza si divertì a tal punto che disse a Letizia di tenermi fermo così, e quindi mi ordinò:

«ora tira fuori la lingua, schiavo, e leccami il buco del culo come fosse un gelato. Quando dico “stop” dovrai aprire la bocca e farla aderire al mio buco del culo, perché significa che ci devo scoreggiare dentro, chiaro?»

«sì, mia Dea»

A questo punto Letizia, che come ho detto sopra era molto forte, mi strappò letteralmente la t-shirt di dosso, lasciandomi a dorso nudo in modo che tutti potessero vedere il mio fisico mingherlino da checca sottomessa. Loredana poco prima si lamentava con Letizia che a mezzogiorno non avrebbe dovuto mangiare così pesante, ed io ora ne assaporavo le conseguenze mentre le due donne ridevano a crepapelle. Leccavo e aprivo la bocca, leccavo e aprivo la bocca, a ripetizione, proprio come mi era stato ordinato di fare, visto che ormai ero uno schiavo.

Dopo un quarto d'ora passato così, Loredana lamentò di essere stata in piedi troppo a lungo e che era stanca, così si tirò su i jeans e si rimise a sdraiare sul muretto. Letizia allora disse:

«Hai visto, merda! Hai fatto stancare Loredana! Ora devi rimediare!»

Stava per iniziare l'ennesima umiliazione: mi ordinò di inginocchiarmi davanti ai piedi di Loredana.

«Ora toglile le scarpe, ovviamente devi fare tutto con i denti!»

L'impresa fu ardua ma alla fine ci riuscii… Loredana non indossava calzini e, nonostante i suoi piedi fossero solo un po' polverosi, emanavano un fetore incredibile.

Neanche il tempo di toglierle che Loredana disse:

«aaah… che bella sensazione. Ottima idea, Lety!»

A questo punto iniziò a passarmi i piedi in faccia, guardandomi sempre da sdraiata con quel sorriso ironico e penetrante che era già di per sé sufficiente per avermi ai suoi piedi.

Letizia mi afferrò quindi per i capelli:

«allora sei proprio coglione! È stata in piedi fino ad ora per causa tua, ed ora vorresti che muovesse i piedi sulla tua faccia da verme? Prendili e strofinateli in volto, merda! Quando hai finito li voglio vedere puliti come appena asciugati dopo la doccia.»

accompagnando il tutto con uno schiaffo. Mentre eseguivo, Letizia era in piedi dietro di me e si era accomodata appoggiando un piede sulla mia spalla. Io, che ero già in ginocchio sulla ghiaia, dovevo quindi anche sopportare il suo peso, che lei scaricava sadicamente tutto su quella gamba.

Loredana apprezzava molto umiliarmi coi suoi piedi, che per altro erano esteticamente perfetti: me li fece baciare, quindi leccare, e quindi me li mise in bocca a mo' di pediluvio, per poi finire ordinandomi di asciugarli con i miei capelli. Nel frattempo Letizia si stava godendo tutta la scena e iniziò ad eccitarsi, toccandosi i capezzoli.

Loredana capì e mi allontanò calciandomi via in volto e Letizia, che era dietro, mi fermò al volo, mentre ero ancora inginocchiato. Mi guardo negli occhi e mi ordinò:

«ora stai fermo e guarda la tua Dea !».

Si spogliò completamente, scarpe e calze comprese. Ora era nuda a gambe divaricate davanti a me:

«prostrati, merda!»

e mi calciò io volto. Dopo essermi rapidamente rialzato, mi prostrai come fanno i credenti di alcune religioni mentre pregano.

Lei iniziò quindi a ridere apertamente:

«alza solo la testa», e così feci.

Lei mi stava osservando imperiosa: il suo corpo era statuario, e la sua vagina molto pelosa. Giusto il tempo di alzare la mia testa e la Dea, a gambe aperte che mi sovrastava, lasciò andare un grande getto di urina direttamente sulla mia testa e sulla mia faccia, con grandi risate di Loredana. Quindi lo trattenne, e mi disse:

«ora avvicinati e bevi. L'unica cosa che berrai oggi uscirà da questa fonte! Ahahah!»

e così feci. Avvicinai la mia bocca, che ormai in quel giorno aveva già assaporato ogni altra umiliazione, e bevetti tutto quanto usciva dalla mia Dea.

Non era finita: Letizia si stava eccitando; così, appena finì di scaricarmi tutto in bocca, mi afferrò per i capelli e mi ordinò:

«lecca ora! Fino a che non ti sono venuta in bocca, piccola troia!»

e il piacere aumentava di pari passo agli insulti:

«sììì… sei la mia puttana, nata per togliere lo sporco dai miei piedi con la tua lingua… per bere la mia piscia! La tua vita da oggi dipenderà dagli scarti del mio corpo, HAI CAPITO?!»

fino a che raggiunse l'orgasmo e sfinita si sdraiò sul muretto, completamente nuda e a gambe aperte.

Guardandola da quella posizione, io in ginocchio nella mia miseria e lei una Dea trionfante, capii che era quello per cui ero nato. Nel frattempo, Loredana era raggiante per lo spettacolo appena visto; si alzò e venne verso di me, mi prese per i capelli e mi trascinò fino ai piedi di Letizia:

«Li vedi questi?! Lety si è spogliata completamente prima e i suoi piedi ora sono tutti impolverati in quanto è stata nello sterrato! PULISCILI, TROIA SCHIAVA!»

Ed eccomi di nuovo asservito a dei piedi tanto belli quanto polverosi e puzzolenti, a baciarli, leccarli, ciucciarli dito per dito e poi tutti insieme, con Letizia semiaddormentata che si godeva il servizio e Loredana che nel frattempo si era spogliata a sua volta. Ora toccava a lei; si portò di fronte a me.

«Come puoi pretendere di pulire bene quei piedi se hai la bocca completamente secca per la polvere, idiota!»

e con questo mi appoggiò un piede sulla metà destra della faccia, e facendo pressione sul mio corpo si abbassò avvicinando la faccia alla mia, e quando fu a pochi centimetri fece il suo magnetico sorriso di vittoria, e disse con fare lascivo:

«ora ti sciacquerò la bocca, amore…»

tolse il piede dalla mia faccia, mi fece aprire la bocca. Portò il piede di Letizia direttamente all'interno delle mia bocca, e iniziò a farle la pipì sul piede in modo che la piscia confluisse tutta nella mia bocca.

«Champagne!»

e si lasciò andare ad una risata trionfale, mentre la cosa andava avanti, lei in piedi, a gambe aperte, con una mano sul fianco e il busto eretto e l'altro braccio teso a tenermi per i capelli.

Terminata anche quest'ennesima completa e totale umiliazione, la situazione si stabilizzò e si calmò. Mentre Letizia riposava semiaddormentata, Loredana si mese a sedere sul muretto, mentre io ero ancora in ginocchio completamente fradicio delle loro urine. Appena sedutasi, Loredana, che era ancora completamente nuda, mi fece un cenno indicandosi con un dito i suoi piedi: non c'era neppure bisogno di parlare per darmi degli ordini; tutto ciò che disse fu:

«non provare ad alzarti in piedi per venire qui. Sei uno schiavo e devi stare a quattro zampe. Guarda i miei meravigliosi piedi: sono completamente impolverati. Visto che sei al mondo per me, ora ripuliscili per bene o ti farò rimpiangere di esistere»

il tutto con una calma e una pacatezza incredibili, segno che ormai la mia situazione era stabile. Ero loro, sotto tutti i punti di vista.

Le due dee si rilassarono così per un po' di tempo. Nel frattempo i loro quattro amici se n'erano andati e, nella zona, non c'era nessun altro all'infuori di noi tre; ciò che mi stava succedendo aveva dell'incredibile perchè mi avevano trasformato in uno spettacolo umano di sottomissione in un luogo pubblico, cose che probabilmente non si vedevano nemmeno 2000 anni fa indietro nell'antica storia. Per fortuna la zona era deserta e non c'era proprio anima viva nei dintorni.

Loredana era talmente stanca che si addormentò, ma poco dopo che questo avvenne fu Letizia a svegliarsi. Neanche il tempo di aprire gli occhi che già mi stava guardando con quell'area da padrona malvagia che non vede l'ora di abusare del suo schiavo e di farlo soffrire a suon di umiliazioni devastanti. È proprio questo il termine giusto: voleva farmi soffrire psicologicamente, era questo che si leggeva nei suoi occhi. A quanto pare il riposino le aveva giovato parecchio, sembrava più in forma che mai; guardandomi mentre ancora leccavo i piedi di Loredana addormentata, commentò:

«molto bene! Hai finalmente capito dov'è il tuo posto. Continua, intanto ora ti spiegherò il tuo futuro»

Letizia iniziò un discorso, non troppo lungo, con cui espose in parola quello che poco prima era stato realizzato in fatti. Avrei dovuto scordarmi per sempre la mia vita normale. Le due ragazze abitavano insieme e avrei quindi dovuto andare a vivere con loro, dove avrei mangiato per terra direttamente dai loro piedi, avrei dovuto essere il loro cuoco e la loro donna di servizio per pulire tutta la casa, essere pronto in ogni momento ad ogni tipo di abuso.

Disse chiaramente che Miro era una copertura, entrambe le due erano lesbiche e segretamente fidanzate: disse questo per farmi capire che io non avrei nemmeno potuto sognare di poter avere del piacere dalla mia condizione di schiavo, perché per loro sessualmente non esistevo nemmeno. Al termine di quest'ultima parte mi guardò in silenzio per alcuni secondi, ordinandomi di guardarla negli occhi. Ero lo sguardo della vincitrice assoluta, che umilia il perdente e lo sottomette.

Scese quindi dal muretto e si avvicinò al mio volto, mentre io ero costretto a stare in ginocchio su ordine di Loredana. Mi prese la faccia per il mento, spalancò le gambe, e mi appoggiò la fica in pieno volto, ordinandomi di tenere la bocca chiusa, e di assaporare l'odore di quella che era, da quel momento in poi, la mia unica ragione di vita. Mi lasciò nel frattempo il mento e mise entrambe le mani sui fianchi, in una classica posa da Dea. Mentre io annusavo, lei approfondì il discorso fatto poco prima, intanto roteava lentamente e leggermente il busto per sfregarmi il suo cespuglio sul volto, sottolineando la mia condizione di oggetto inerme.

«Mentre Lory dorme, inizierò ad insegnarti come mi devi trattare. Mettiti già a quattro zampe, prendi i miei due calzini» eseguii.

«Bene, hai fame per caso?»

e me ne forzò uno in bocca ridendo, legando l'altro intorno al mio volto all'altezza del naso, in modo che fossi sublimato sia dall'odore che dal sapore del sudore dei suoi piedi. Mi ordinava di ciucciare la sua calza e di annusare l'altra, ed io obbedii come il cagnolino che ero, mentre lei si sedette a cavalcioni sulla mia schiena. Il suo peso non era indifferente, e quando si accorse che stavo soffrendo, sia alla schiena che alle ginocchia, commentò scocciata:

«soffri per così poco?»

e ridendo aggiunse:

«allora adesso facciamo una passeggiata. Avanti, cammina schiavo!»

e con questo iniziò a calciarmi col tallone, come i fantini. Il dolore era forte ma non avevo scelta, iniziai a muovermi ed andai avanti per circa 5 metri , quando la Dea mi fece fermare sul marciapiede, in prossimità della pozzanghera che si era formata quando mi scaricarono addosso le loro urine.

Con voce dolce di scherno disse:

«visto che sei dolorante, ti concedo di riposarti almeno le braccia.»

Dalla schiena spostò il suo peso tutto sul mio sedere, e aggiunse:

«ora più abbassare la parte anteriore almeno, no? Ringrazia, verme!»

e detto questo mi diede un calcio in faccia, lasciando il piede davanti al mio volto in attesa del mio bacio di ringraziamento, incombenza che sbrigai a tempo zero.

«avanti, abbassa la tua faccia e le tue spalle fino a terra, in modo che potrai riposarti… ovviamente la faccia dovrà poggiare nella pozza della mia piscia, ahahah!».

Ero in una posizione indescrivibilmente umiliante: in ginocchio con il sedere alzato, dove sedeva a cavalcioni la Dea, e la parte davanti del corpo abbassata con la testa di profilo nella pozza di urine. Letizia dalla sua posizione andò quindi ad allungare le sue lunghe e statuarie gambe, appoggiando un piede sul lato della mia faccia che dava verso l'alto, e l'altro direttamente nella pozza di piscia, davanti al mio volto.

Una volta delineatasi la posizione, la Dea pareva essere molto soddisfatta e trionfante. Iniziò così a muovere il piede sulla mia faccia facendo pressione come se stesse spegnendo una sigaretta, mentre nel frattempo mi insultava nei modi più vari. Non soddisfatta, mi ordinò di aprire la bocca cosicché la sua piscia potesse entrarvi e di bere, ma bere era impossibile vista la posizione del mio corpo.

Se ne accorse:

«oh, ma che peccato! Pare che tu non riesca a bere… ti aiuto io allora…»

detto questo iniziò a buttarmi l'urina in faccia e in bocca con il piede che fino a poco fa era nella pozza di fronte al mio viso, mentre rideva fragorosamente. Era veramente una situazione indescrivibile; eppure il peggio, il degrado assoluto, doveva ancora arrivare, e nemmeno troppo presto.

Ormai il pomeriggio andava verso la sera, e il sole si stava abbassando. Loredana si svegliò e Letizia, che se ne accorse, disse all'amica:

«ben svegliata Lory, ho buone notizie: arriva il bidet a domicilio!»

Loredana sapeva bene cosa stava per succedere, e le due scoppiarono a ridere. Letizia scese dalla mia schiena e mi prese per i capelli tirandomi in posizione eretta ma sempre rimanendo in ginocchio. Mi trascinò quindi fino alla figa di Loredana e mi ordinò di leccarla fino ad un suo ordine di stop. Letizia iniziò quindi ad accarezzare il seno e la pelle del corpo della sua compagna; lei due si lasciarono andare ad una serie di effusioni, baciandosi ed accarezzandosi a vicenda, mentre la mia lingua lavorava. Per potersi meglio esplorare, decisero di farmi sdraiare a terra a pancia in sù, salendo sul mio corpo e calpestandomi dal pene al volto mentre si baciano appassionatamente e si toccavano. Di tanto in tanto una delle due si posizionava all'altezza del mio viso, a gambe aperte e, dandomi un piccolo calcio in faccia, mi faceva capire che dovevo aprire la bocca per un getto di pioggia dorata in arrivo. Quando questo accadeva le due ridevano mentre continuavano a baciarsi, giocherellando con piccoli morsi e colpi di lingua.


Ad un tratto Loredana ricominciò a lamentarsi per il suo infausto pranzo... ma questa volta aveva trovato la soluzione ai suoi problemi:

«Tesoro, quella peperonata mi sta uccidendo! Ho un mal di pancia incredibile, e non mi va di andare a casa per andare al bagno proprio ora!»

ma Letizia suggerì un metodo ottimale per risolvere il problema, bisbigliando nell'orecchio della compagna che si dimostrò subito felice di tale idea.

Le due di fatto contarono a baciarsi e a toccarsi, ma questa volta l'atmosfera si era fatta di fuoco e Letizia, dopo essersi leccata un dito, andò con questo a massaggiare dolcemente il buchetto dell'ano della sua compagna. Fece il tutto con lentezza e delicatezza, fino a penetrarla completamente, mentre Loredana iniziava a godere vistosamente; il tutto mentre io ero ancora sotto i loro piedi, a petto nudo e fradicio delle loro urine. Letizia estrasse il suo dito medio dal culo di Loredana, vedendo che era completamente inzuppato delle feci del suo amore. Alla vista di ciò, Letizia esclamò ghignando:

«Ma tesoro! Avresti dovuto dirmelo prima che ti serviva così urgentemente un bagno! E a quanto vedo è molto molle, quasi liquida…» le due si scambiarono uno sguardo di intesa.

Loredana scese dal mio volto e Letizia, che era in piedi sul mi petto, si rannicchiò per poter avvicinarsi al mio volto, guardandomi con aria trionfante.

«Allora schiavo, cos'è quella faccia terrorizzata? Beh d'altronde è comprensibile: le mezze seghe come te sono nate per essere dominate, ed è logico che tu sia un codardo e che abbia paura di due donne come noi, non credi?»

lasciando scivolare un getto di saliva sul mio occhio destro. Io affrettai la mia risposta affermativa, sapendo cosa mi avrebbe aspettato in caso contrario.

Letizia sospirò un «bene», e si mise comodamente a sedere a cavalcioni sul mio petto, a gambe aperte.

«ora sarai iniziato ad una delle attività che presto sarà per te un incombenza quotidiana. Sai, sei proprio peggio di una puttanella, di una femminuccia timida e spaurita, quindi è giusto che tu abbia almeno un po' di make up.»

e sorrise in modo perfido. Appoggiò quindi il suo dito inzuppato della diarrea di Loredana all'angolo delle mie labbra, e le percorse come per mettermi un rossetto. La sensazione data dall'odore era terribile, tuttavia la mia paura e devozione era tale che non mi ribellai per nulla, anche se avevo paura di scoppiare per l'emozione. Mentre lo faceva, Loredana si posizionò dietro di me e mi bloccò la testa mettendo un piede sulla mia fronte e facendo pressione, in modo che anche se avessi avuto un impeto di rigetto non avrei potuto muovermi.

Chiaramente, nel frattempo, le due erano molto divertite e mi deridevano in continuazione, mentre Letizia mi “truccò” anche gli occhi. Per concludere il mio make-up in bellezza mi ordinò di fare con le labbra quel movimento che fanno le donne dopo che si sono messe il rossetto, facendomi sentire una vera puttanella. Le due ridevano a crepapelle:

«Lory, ma perché abbiamo deciso di chiamarlo schiavo? Lui è una schiava!»

«Hai ragione amore!»

Risate.

«Bene Lory, ora la puttanella è pronta, cosa ne dici?»

la compagna asserì e così Letizia mi ordinò di spompinare il suo dito imbrattato di diarrea. Io proprio non ce la feci ad aprire la bocca, così Letizia iniziò a prendermi a schiaffi fino a che non la aprii.

«Perfetto, vedo che ti sei rassegnata al tuo ruolo, piccola troia!»

Con un sorriso solare di chi vive questa situazione da sopra da anni.

Spompinai così il suo dito, la sensazione era orrenda eppure ero decisamente sorpreso dal non provare nemmeno la minima voglia di voler tentare di ribellarmi, anzi, ero deciso a ripulire quel dito nel modo migliore possibile per soddisfare le mie Dee.

Quando furono stanche, Letizia mi ordinò di rimetterle i calzini, ma entrambe erano ancora senza scarpe.

Loredana sembrava avere un piacere particolare per la mia umiliazione attraverso piedi e scarpe, mi ordinò quindi di rimettere le scarpe a Letizia e quindi di inginocchiarsi davanti a lei. Lo feci, e mi ordinò:

«ora stai in ginocchio eretto e lecca le suole delle mie scarpe prima di rimettermele. Devi farlo molto lentamente, con la lingua completamente piatta, e mentre lo fai guardami negli occhi!».

Era il suggello finale della mia posizione di schiavo effeminato perdente. Svolta quest'ultima incombenza, rimisi le scarpe anche a Loredana. Le due scesero dal muretto, fresche come due rose, e se ne andarono senza nemmeno guadarmi, mentre parlavano tra loro.

Nella situazione in cui ero, dovetti aspettare il buio per poter tornare a casa senza farmi notare, nelle condizioni appariscenti in cui ero. Quel pomeriggio fu l'iniziazione del fuoco e l'inizio di tutto per me.

L'incontro in azienda



Ritorno ora ai tempi recenti.

Dopo aver quindi ricevuto l'e-mail dall'Ing. John White ed essermi informato un minimo sull'azienda in questione, decisi di chiamarlo. Rispose il centralino, che mi passò la segretaria. Essere sempre stato timido e remissivo, il tono di voce malizioso e quasi suadente della segretaria, che mi disse di attendere, mi mandò un po' in confusione. Dopo un primo scambio di battute, infatti, la segretaria, che scoprii poi chiamarsi Helen, probabilmente intuì il mio carattere debole (visto che al telefono ero emozionato e balbettavo continuamente) ed iniziò quindi a darmi del tu e a parlarmi con un tono vagamente sprezzante che mi fece già da subito capire che non aveva grande rispetto per me.

Inoltrò la mia chiamata all'ingegnere. Subito dalle prime parole e dalla rapidità con cui volle liquidare i convenevoli, notai che si trattava di una persona certamente altezzosa e scaltra, nonché intelligente e di indole aggressiva; la sua parlantina faceva inoltre emergere scaltrezza e prontezza nella risposta. Del resto, era quanto più o meno mi aspettavo dopo aver letto la sua risposta alla mia e-mail iniziale.

Mi indicò quindi la sua disponibilità per il colloquio e fissammo un appuntamento (di fatto fu lui a dirmi quando venire, senza nemmeno attendere una mia conferma).

Cercando l'indirizzo dell'azienda venni a scoprire che questa si trovava all'interno di uno dei più moderni, alti e prestigiosi grattacieli dell'area di Manhattan.

Quel giorno puntai la sveglia onde evitare il ritardo, mi vestii di tutto punto, scesi al bar sotto casa per fare rapidamente colazione e presi la metropolitana, arrivando con 15 minuti di anticipo sul posto. Appena entrato nell'atrio di accoglienza, una centralinista mi ricevette e mi indicò il piano e l'ufficio dove dirigermi, specificando che lì sarei stato accolto dalla segretaria dell'ingegnere, con la quale avevo parlato al telefono pochi giorni prima.

Presi l'ascensore per raggiungere l'ufficio, che si trovava all'ultimo piano dell'immenso edificio. Notai con sorpresa, una volta arrivato, che l'ultimo piano, quello dedicato ai massimi dirigenti, era alto circa tre volte un normale piano, conferendo all'ambiente un'area di maestosità nonché di ricchezza, visto il lusso degli arredi del largo corridoio. Arrivai all'ufficio della sig.na Helen Silverstone, dove bussai due volte prima di sentire un sonoro «Prego!».

Aprii la porta, formale scambio di saluti. Prima di avere il tempo di chiuderla, la voce di Helen, che sembrava seccata ed irritata, mi riprese subito con tono severo:

«È in anticipo rispetto all'orario concordato.»

«M-mi scusi, non pensavo di dare problemi…», fui subito interrotto dal suo fare incalzante.

«L'ingegner White è impegnato in una telefonata ora, si sieda qui nel frattempo, ho qualche domanda da farle.»

Obbedii prontamente al suo tono autoritario senza fiatare. La stanza di Helen era piuttosto grande, con una parete completamente a vetri che rendeva il locale molto luminoso ed accogliente. La sua scrivania doveva essere sicuramente lussuosa, così come gli altri complementi d'arredo, ed inoltre la tecnologia dell'ufficio (pc, lampade, fotocopiatrice, etc.) parevano essere all'ultima moda con dei design ultra-moderni.

Helen era una donna sulla trentina, con capelli lisci castani, carnagione chiara e due splendidi occhi verdi, che emanavano sicurezza ed eleganza; sensazione confermata dai lineamenti del suo volto.

Prima di iniziare con le domande di cui mi accennò, andò all'armadio poco distante dalla scrivania per prendere un raccoglitore. Notai così il suo gusto nel vestire un elegante abito che metteva perfettamente in mostra la bellezza del suo corpo, longilineo e proporzionato, anche se non era molto alta. Ai piedi portava dei sandali aperti con tacco alto neri, che si abbinavano alla perfezione con i suoi collant scuri di spessore medio. I suoi piedi erano meravigliosi, con delle caviglie fini e le dita smaltate di blu scuro; non il minimo segno di graffi o vene esposte.

Ad un certo punto iniziò a farmi domande, con un tono di voce e un modo di parlare che si fecero via via sempre più arroganti e aggressivi.

«Dunque, innanzitutto mi ripeta il suo nome, visto che qui di ragazzini come lei ne arrivano a decine ogni mese…»

Questo modo sprezzante di iniziare mi fece subito sentire in soggezione ed un po' impaurito. Risposi alla domanda, e prima ancora che potessi pronunciare per intero il mio cognome, con aria di chi è assolutamente disinteressato, mi incalzò nuovamente:

«La avviso subito: non cerchi di impressionare l'ingegnere durante il colloquio. Quelli come lei dovrebbero ringraziarci anche solo per il fatto di essere ammessi ad un incontro. Ha capito?»

Ero impietrito dal suo tono, non sapevo cosa risponderle.

«Hai capito sì o no?» mi riprese, iniziando a darmi del tu forse in segno di sprezzo, mentre mi fissava con il suo sguardo severo ed ipnotico.

«Certo..»

A quel punto si abbassò i suoi occhiali sul naso, e alzando leggermente la testa (stava guardando il raccoglitore preso dall'armadio mentre mi parlava), e con un sorriso di scherno ed una voce sensuale continuò:

«Molto bene. È importante che tu ti dimostri fin da subito disposto ad obbedire e a stare agli ordini, perché questa è una caratteristica essenziale per chi vuole lavorare con l'ingegner White… anzi, PER l'ingegner White.»

Detto questo mi sorrise e si mise comoda sulla sedia, allungando le gambe e urtando leggermente le mie gambe con la sua scarpa sotto la scrivania, dopodiché appoggiò un piede direttamente sopra una mia scarpa, che era nera e di pelle e appena lucidata.

Con aria ironicamente sorpresa disse:

«Oh scusami! Ho appoggiato le mie scarpe sopra le tue… ora si saranno sporcate…» senza però muoverle minimamente e, vedendo che io più che altro tremavo e stavo in silenzio mentre la fissavo imbambolato, aggiunse:

«Vedo che non ti spiace… meglio così, sono molto comoda.» Muovendo e calcando la sua scarpa sopra la mia come se stesse spegnendo una sigaretta.

Silenzio per alcuni minuti. Helen non mi degnava nemmeno di uno sguardo; continuava ad interessarsi al report che aveva estratto dal raccoglitore. D'un tratto, con voce autoritaria mi ordinò:

«Và a prendermi un bicchier d'acqua al distributore.» Mi alzai ed obbedii, il distributore era all'angolo destro del locale rispetto alla porta, vicino alla parete-finestra. Glielo porsi senza ricevere nemmeno una parola di ringraziamento, né il minimo segno. Ad un certo punto suonò il telefono della sua scrivania.

«Sì? Certo ingegnere, lo faccio entrare subito.»

E poi, rivolgendosi a me, «Ora puoi entrare.» e aggiunge, con un sorriso di scherno, «A dopo».

Bussai alla porta e ricevetti dall'interno l'invito ad entrare. Una volta aperta la porta, prima ancora di guardarmi intorno, decisi di voltarmi e chiuderla con decisione, per cercare di fare una figura migliore di quella fatta con Helen.

Appena voltatomi, vedo l'ingegner White di spalle, davanti alla parete-finestra. Era un uomo alto e di certo con un fisico atletico, capelli corti neri un po' ingellati. Si voltò lentamente, mi squadrò rapidamente; mi fece quindi accomodare:

«Buongiorno! Si sieda.»

John White era un uomo sui 30-32 anni, con la carnagione appena scura, forse anche per via di una probabile abbronzatura, con zigomi alti e pronunciati che gli davano l'espressione della persona che mi ero immaginato: autoritaria, arrogante, acuta, penetrante. Aveva un leggero pizzetto e le sopracciglia perfettamente disegnate. Era vestito di tutto punto: splendida giacca grigio scuro, accompagnata da una cravatta di stile con un fermacravatta in oro; ai piedi portava delle scarpe di pelle marrone chiara senza stringhe e con un solo laccio laterale, lucide alla perfezione e molto signorili.

Mi sedetti ed iniziammo a parlare. Il suo tono di voce era a tratti rilassato, e improvvisamente sapeva diventare severo ed imperioso. Sembrava si stesse divertendo in questa alternanza, in quanto molto probabilmente si era accorto del mio carattere docile e remissivo.

Era perfettamente padrone della situazione, e seppe dirigere la nostra chiacchierata sugli argomenti che voleva e al momento, con un gioco psicologico che mi portò presto a rispondere affermativamente ad ogni sua domanda pur di non dover incorrere nel suo sguardo ipnotico e severo da dominatore.

Mi spiegò nel dettaglio quale sarebbe stato il mio compito all'interno della pianificazione aziendale di marketing, cosa che mi piacque molto. La svolta della nostra discussione si ebbe quando si iniziò a parlare della retribuzione. La situazione stava cambiando: l'ingegnere si mise comodo sulla sua sedia-poltrona, iniziò a fissarmi con quello sguardo magnetico, e attaccò:

«quanto richiede come retribuzione mensile?»

Alla mia risposta, che consisteva in realtà in una somma piuttosto modesta, ebbe un sorriso sprezzante, e disse, iniziando così anch'egli a mostrare la sua vera personalità e a darmi del tu:

«Voglio immaginare che tu stia scherzando! Al massimo posso farti avere un terzo.»

L'ingegnere assunse un'aria irritata mentre pronunciò queste parole; credo avesse interpretato la mia risposta come un atto di arroganza, e a quanto pare la prese davvero male e la mise sul personale, vedendola come un atto di sfida da parte mia.

La situazione per me si stava mettendo male: non ero nella posizione di rifiutare, per due ottime ragioni. La prima era che quell'opportunità fu l'unica che mi si presentò nonostante tutti i cv inviati, e la seconda era che ormai ero alle strette con i soldi, visto che avevo già due arretrati di anticipo da pagare dell'affitto del mio monolocale.

Non ci pensai quindi più di tanto ed accettai, ma lo feci attendere troppo prima della mia risposta, ed ormai l'irritazione negli occhi dell'ingegnere si era trasformata in sfida. Si alzò in piedi, passeggio brevemente davanti alla parete-finestra, e tornò a sedere, mettendosi comodo sulla sua poltrona a rotelle, tipica degli uffici dei dirigenti di massimo livello.

«Vedi, mi hai dato una sensazione di arroganza, e con la gente come te è difficile lavorare» incominciò con un ghigno, mentre io tremavo.

«Dovresti essere un po' più umile, non credi?» e si lasciò andare ad una breve risata.

Stavo iniziando a pensare che per me era finita; l'unica cosa che rimaneva da fare era tirar fuori il mio orgoglio, mandarlo al diavolo ed uscire sbattendo la porta. Tuttavia , la questione economica per me aveva la priorità assoluta. Iniziai ad abbassarmi:

«Io credo di essere umile, signore, è per questo che ho accettato la sua controproposta…»; questo fu molto probabilmente quello che l'ingegnere sperava di sentire. Mi guardò con sfida negli occhi:

«Bene, avrai la tua possibilità allora, se mi dimostri fino a che punto sai essere umile. Avanti, come pensi di convincermi?»

Ormai era chiaro dove voleva arrivare: mi voleva vedere umiliato.

Mi alzai dalla sedia su cui sedevo, e feci il giro attorno alla scrivania. Nel frattempo lui seguiva i miei passi girando la sua sedia, e quando fui di fronte a lui mi gettai ai suoi piedi, e a testa bassa lo supplicai:

«La prego, sono disposto a tutto pur di essere suo dipendente, ho bisogno di lavorare, mi servono soldi… la scongiuro» mentre singhiozzavo e le lacrime iniziavano a cadere dal mio viso. Era il suo trionfo, ed ora poteva fare di me quello che voleva; ero praticamente a testa bassa con il suo piede accavallato proprio davanti alla mia faccia.

Mentre lo supplicavo se ne stava seduto bello comodo, con le braccia sui braccioli e le gambe accavallate davanti a me. Quando finii la mia scenata umiliante, mosse il piede della gamba accavallata, e fece aderire la punta della sua scarpa al mio mento, forzandomi lentamente ad alzare la testa per guardarlo in faccia. Con un'aria trionfante mi disse:

«Vedo che inizi a capire chi comanda qui. Torna a sedere, muoviti! Da oggi ogni volta che ti ordinerò qualcosa voglio vederti scattare, hai capito?!”

«S-sìssignore.»

«Ora siediti e avvicinati alla scrivania il più possibile. Mentre ti parlo mi devi guardare da vicino!»

Obbedii, avvicinandomi a tal punto da appoggiare i gomiti sulla scrivania per essere il più vicino possibile. Girò la sua sedia verso di me e, ormai semisdraiato nella sua lussuosa poltrona, mise i piedi sulla scrivania e li accavallò proprio a pochi centimetri dalla mia faccia, ordinandomi di non muovermi.

Ora stava passando dall'essere arrabbiato al godersi la situazione. Mi chiese ironicamente se mi piacessero le sue scarpe, e alla mia immediata risposta affermativa rise di nuovo.

Dopo pochi minuti di silenzio, in cui il mio ormai nuovo padrone godette a guadarmi in quella posizione, mi ordinò di alzarmi e di avvicinarmi nuovamente.

Una volta di fronte a lui, che aveva voltato la sedia verso di me, mi ordinò di mettermi di nuovo in ginocchio, con le mani a terra e le braccia dritte, quindi in posizione semieretta, e a testa bassa.

Prese quindi uno dei suoi costosi sigari e se lo accese, guardandomi dalla sua posizione dominante e di superiorità. Dopo il primo tiro, iniziò a dominarmi anche fisicamente.

Disaccavallò le gambe e le aprì, dandosi una sistemata con la mano tra le gambe, dopodiché alzo il piede destro e lo appoggiò sulla mia spalla, ridendo leggermente.

«Spero che tu sappia cosa significhi la tua accettazione incondizionata alle tue dipendenze, ora che vedi come tratto i ragazzini effeminati come te, vero? Altro che pianificazioni di marketing, tu da oggi sarai il mio schiavo, e mi chiamerai Padrone. Sono stato chiaro, schiavo?»

«Sì, padrone»

«Molto bene, eheh!» e fece pressione sulla mia spalla come per pulirsi la suola della scarpa.

«Verme, le mie scarpe non dovranno mai avere la suola sporca. E, secondo, io non dovrò mai affaticarmi per pulirla. Ora traine le conclusioni corrette, o pagherai le conseguenze!»

Era chiaro dove voleva arrivare: gli afferrai la caviglia e mi strofinai sulla giacca e sulla cravatta la suola della sua scarpa, più e più volte, mentre lui si godeva la scena con area di dominatore assoluto.

«Cosa credi? Non basta» disse quindi, guardandomi con gli occhi stretti e con il sigaro in bocca. Detto questo, rimise il suo piede sulla mia spalla e fece pressione:

«Giù! Ai miei piedi adesso!»

La pressione che esercitava era troppo forte per il mio fisico esile, e così mi sdraiai a terra a pancia in giù con la testa tra i suoi piedi. Allungò il piede destra sulla mia schiena, mentre quello sinistro me lo appoggiò direttamente sulla testa, pressandomi la faccia contro il parquet del suo ufficio.

La piega che stavano prendendo i fatti era evidente. Mentre sentivo la sua scarpa premere sulla mia guancia, immaginavo che cosa avrei presto passato e la cosa, al posto di risvegliare almeno in minima parte il mio orgoglio, mi eccitava e mi faceva venir voglia di essere ancora più sottomesso, ancora più usato.

Dopo avermi calpestato e aversi pulito i piedi a dovere, mi tolse i piedi di dosso.

«Ora lecca a fondo le mie scarpe. Da oggi sarà un tuo problema quotidiano pulirle!»

Mi diedi di fare per eseguire l'ordine. Ormai ero totalmente pervaso da uno strano desiderio di sottomissione: non mi importava più nulla, l'unico pensiero nella mia testa era servire il mio padrone come meglio potevo, perché ormai ero suo, ero il suo schiavo. Utilizzai quindi tutta la cura possibile: leccai a lingua piatta ogni parte della pelle della scarpa, con lentezza e d accuratezza, e dopo pochi minuti le scarpe scintillavano.

«Bravo schiavo, il tuo Padrone si è accorto che, oltre ad aver capito chi comanda qui, sei anche abbastanza bravo da esserti volontariamente sottomesso. È la logica conclusione, non credi?» detto questo mi appoggiò una scarpa direttamente sulla faccia, senza premere. Io rimasi immobile e risposi:

«Certo mio Padrone. Spero di essere all'altezza di poter servirLa, lei è il mio Dio.»

A questa affermazione il mio Padrone, il mio Dio, aspirò nuovamente dal suo sigaro con gli occhi chiusi ed un sorriso stampato sul suo volto. Abbasso quindi lo sguardo verso di me, mi soffiò in faccia il fumo del sigaro e disse:

«Completa il tuo lavoro!»

Intuii che voleva che gli leccassi anche le suole, e non ci pensai due volte. Così come per la tomaia, lavorai con la lingua piatta e con leccate lunghe e lente, sia per pulire bene sia perché notai che questa tecnica era molto umiliante per me e, al contempo, altrettanto soddisfacente per il mio Padrone.

«Bene! Ora toglimi le scarpe, il tutto con i denti.»

Ovviamente ormai non avevo più alcun potere di rifiuto, ne se l'avessi avuto l'avrei esercitato, visto il mio stato psicologico. Con molta fatica obbedii ed eseguii, ma ne valse la pena per quanto i miei sensi percepirono a compito terminato.

Per la mia vista fu un vero spettacolo naturale: i piedi del mio Padrone erano avvolte da calze di seta / nylon velatissima, probabilmente molto costose, che pressappoco sembrano come i collant da donna. Si poteva intravedere così il piede, forse un 42, perfetto, con le dita affusolate e le unghie veramente belle.

Per quanto riguarda il mio olfatto, la goduria fu ancora superiore in quanto sentii proprio quello che volevo: i piedi del mio Padrone erano accaldati e leggermente sudati, così da sprigionare sia l'odore di cuoio della soletta interna, sia un certo odore stantio di piedi, che adoravo letteralmente. Questo ultimo particolare rese il tutto ancora migliore, in quanto probabilmente significava che il mio Padrone il giorno precedente non si era lavato i piedi e nemmeno cambiato le calze. Ottimo, visto che presto ai suoi piedi avrei pensato io.

«allora, ti piace l'odore dei miei piedi? Sei proprio un verme, una puttanella nata per essere mia schiava ed essere umiliata. Dimostrami quanto ami l'odore che stai annusando, che ti sta inebriando.»

Sempre sdraiato a pancia in giù ai suoi piedi, ne afferrai il destro con le mani ed inizia a baciarlo con devozione, cosa che lo fece ridere di gusto mentre appoggiò l'altro piede sulla mia spalla; ne sentivo il contatto sul mio orecchio.

A quel punto iniziai a sentire che il desiderio di dominazione iniziava a farsi sempre più forte. Presi a leccare a fondo il suo piede ancora nella calza e me lo misi in bocca iniziando a succhiarlo. Mentre feci quest'ultima cosa, lo guardai dal basso con lo sguardo che forse più mi si addice, quell'aria dello schiavo che si dà da fare alacremente e che con aria dolce e remissiva sembra chiedere il consenso sull'operato. Il mio Padrone mi ordinò allora di fare lo stesso con l'altro piede, sul quale stetti concentrato per un buon quarto d'ora.

«Ti sei meritato di togliermi i calzini, coi denti ovviamente. Guai a te se li rovini, te li faccio mangiare schiavo di merda hai capito?!»

«Sì mio Padrone, non succederà, lo giuro.»

«Sarà meglio per te.»

Tuttavia, ahimé, fu proprio quello che successe, ma non a causa mia. Il mio padrone, mentre stavo rimuovendo la parte finale del secondo calzino, ne trattenne apposta una parte tra le dita dei piedi, e così al mio movimento finale il calzino si strappò, e il rumore si sentì chiaramente.

Il Padrone l'aveva fatto di proposito perché voleva avere il pretesto per coronare la sua supremazia.

Si alzò in piedi di colpo:

«Stupida schiava! Guarda cosa hai combinato!» Io ero sempre sdraiato a faccia in giù tra i suoi piedi, mentre lui ora era in piedi ed il senso di dominazione era totale da quella posizione.

Mi mise un piede in testa ed iniziò a schiacciare:

«Ora vedrai come me la pagherai questa!» sputò a terra e mi ordinò di leccare. Con immenso senso di sottomissione obbedii. Quindi sputò di nuovo, ci mosse sopra il piede e mi fece leccare lo sputo direttamente dal suo piede. A quel punto si risedette.

«il tuo posto da oggi è uno ed uno soltanto: sotto la mia scrivania, ma nudo. Quindi ora spogliati, e tieniti solo i boxers e… la cravatta, che sarà il tuo guinzaglio. Ora ci divertiamo!».

Eseguii rapidamente e corsi ad accovacciarmi sotto la scrivania.

«Pancia in su, schiava!» e fatto questo, mi mise un piede in faccia e l'altro sul membro, che chiaramente era in erezione da tempo.

«Aaah, e così godi molto mentre ti domino eh? Bene… inginocchiati sotto la scrivania tra le mie gambe, verso di me… subito, verme!»

Nonostante la scrivania fosse grande, lo spazio tra le sue gambe non era molto ma comunque ci stetti. A questo punto il Padrone mi afferrò per la cravatta e mi mise la faccia tra le sue gambe.

«A quanto pare è questo che vuoi…» e detto ciò, con l'altra mano, mi afferrò la nuca da dietro e presso con forza la mia faccia contro il suo membro. Io stavo letteralmente impazzendo ed avevo una specie di pianto isterico.

«Sei proprio meno di zero, fai schifo! Abbassami la zip e poi i boxers con i denti, schiavetta.» Ero in visibilio, non riuscivo quasi più a controllare la mia voglia. Fatto ciò, mi spostò la faccia con la mano, ed estrasse il suo membro.

Era meraviglioso: di dimensioni un po' maggiori alla media, di una certa larghezza, depilato quasi completamente e con due palle perfette. Era già in piena erezione, la cappella era perfetta e non c'era nemmeno una vena in vista. Non vedevo l'ora del suo prossimo comando, che per fortuna non tardò ad arrivare.

«Dai schiavetta, voglio vederti baciarmi il cazzo con cura e devozione mentre sei lì in ginocchio ai miei piedi. Avanti!»

Il suo cazzo era fantastico; lo baciavo come se fosse la mia ragione di vita, dando di tanto in tanto qualche colpetto di lingua, cosa che lo faceva godere visto il leggero crescere della sua respirazione. Poco dopo ne ebbi la conferma:

«Ora succhialo, puttanella!» e, detto questo, mi afferrò per il retro della testa per i capelli e mi mise d'un colpo solo tutto il suo uccello in bocca, fino a solleticarmi la gola. Stavo godendo quanto lui, io per la dominazione subita e lui per il mio lavoretto; iniziai presto a gemere come una troia in calore, cosa che gli piaceva molto.

«Sai che gemi come la mia segretaria quando me la sbatto? Però c'è una differenza: lei la sbatto sul tavolo perché è una vera donna mentre tu, che sei una schiavetta, non meriti altro che stare lì sotto, ahahah!»

Mi tirò quindi indietro con uno strattone tramite la cravatta, e mi ordinò di leccargli le palle. Mentre eseguivo mi rendevo conto che gli piaceva quasi più del pompino, nonostante avesse esplicitamente dichiarato che sembravo nato per quello, e così le prese direttamente in bocca ed inizia a succhiarle leggermente in modo ritmato, a mo' di massaggio. Ormai era terribilmente eccitato, ed inizia a muovere la lingua sulle sue palle ancora nella mia bocca, il tutto mentre con una mano lo stavo masturbando ormai velocemente.

Presto mi prese per i capelli e mi staccò, mi mise l'uccello davanti al naso e mi venne copiosamente in faccia. La sua sborra sembrava non finire più, dovevo aver fatto proprio un buon lavoro. Alcune gocce mi scesero sulle labbra e le assaporai con la lingua. Il gusto era delizioso, ne avrei voluta molta di più. La prossima volta mi sarei fatto scaricare tutto direttamente bocca, proprio come il cesso umano che sono.

Mi ordinò quindi di ripulirgli in cazzo, cosa che feci immediatamente, godendomi i rimasugli di sperma che c'erano sulla sua cappella perfetta.

Ma non era ancora soddisfatto. Per fortuna, aggiungerei.

«Non credo di averti degradato abbastanza; tu devi capire che qui vali meno delle donne delle pulizie, hai capito?»

«Sì Padrone.»

Fece un sorriso di soddisfazione e supremazia, aveva un sorriso inquietante. Mentre ero ancora in ginocchio ai suoi piedi con la faccia davanti al suo cazzo (ancora duro), mi prese per i capelli e tirò indietro la mia testa, come per meglio vedermi in viso.

«Sai, sei proprio una mezza sega, e ho voglia di pestarti. Cosa fai se te le suono, eh? Ti metti ad urlare?» il tutto con quel ghigno terribile.

Io iniziai ad essere preso dal panico, e iniziai a tremare e mi si arrossarono gli occhi.

«Padrone la prego, non mi faccia male, sono il suo schiavo…»

«La mia schiava, vorrai dire, puttanella!» e con questo, mentre con una mano mi teneva per il sopra della testa per i capelli, costringendomi in posizione eretta, con l'altra iniziò a colpirmi con schiaffi leggeri, dritto e rovescio, scandendoli con ritmo ed il tutto mentre mi insultava in un modo veramente umiliante e degradante. Mentre questo accadeva io iniziai a singhiozzare e a piangere per l'emozione, ma di fatto ero felice, perché era giusto che fosse così, mentre lui rideva di gusto.

Poco dopo smise e mi ordinò di mettermi a quattro zampe, con la faccia però a terra in modo che la parte davanti del corpo poggiasse sulle spalle e quindi con le braccia a terra distese verso le gambe; era probabilmente la posizione più umiliante, forse per questo la mia preferita, soprattutto per essere dominato da un uomo vero come il mio Padrone.

Sapevo che cosa voleva fare. Mi abbassò i boxer, e sputo un paio di volte sul buco del mio culetto, dopodichè mi afferrò per i polsi delle mani, e con un colpo secco fece entrare tutto il suo meraviglioso cazzo nel mio culetto da schiava. All'inizio soffrii molto, ma l'idea di esser dominato in un modo così totale mi fece subito dimenticare il dolore. Ansimavo come una vacca e lui mi stava sfondando il culo mentre tirava le mie braccia.

Era fantastico; a quanto pare il mio culetto gli piaceva molto perché in poco tempo arrivò sul punto di venire. Fu allora che, proprio come speravo, estrasse il suo cazzone dal mio culo, mi alzo la testa da terra per i capelli e me lo mise tutto in bocca, scaricandoci dentro tutto il suo meraviglioso sperma, mentre io ovviamente glielo ripulivo con la lingua e con le labbra (cosa che lo mandò in visibilio).

Non era ancora finita: una volta finito di venirmi in bocca, mi disse:

«Guarda che non è finita qui, nella tua bocca ci entra tutto quello che voglio io, schiava! Apri bene adesso!»

Mi fece spalancare la bocca ed iniziò a pisciarci dentro ordinandomi di bere tutto. Ero al settimo cielo, cercai di bere il più possibile ma purtroppo qualcosa finì sul parquet. La sua piscia era interminabile, e circa a metà del getto mi prese la testa e mi infilò il cazzo in bocca. Gli stavo facendo un pompino mentre mi pisciava in bocca e mentre bevevo! Fu probabilmente l'esperienza sessuale più bella e degradante di sempre.

Quando finì, sempre mentre mi rideva in faccia, estrasse il suo cazzo e mi iniziò a prendere a cappellate sulle guance mentre stava con le mani sui fianchi e mentre mi ripeteva in continuazione insulti di ogni genere. Ero lì in ginocchio, schiavo totale e asservito davanti a un essere superiore che adoravo come un Dio.

«Come la mettiamo ora con la piscia per terra, eh? Vuoi che si rovini il parquet, troia?»

Capii che dovevo leccare, e c'era molto da fare. Mi misi quindi a quattro zampe e, a testa bassa, inizia a leccare la sua piscia, mentre lui rideva apertamente mentre se ne stava in piedi di fronte a me con le braccia conserte e un piede sulla mia spalla, col quale mi schiacciava a terra come il verme che ero.

«Molto bene schiava, per ora mi sono divertito abbastanza, ora rimettimi calze e scarpe che devo andare ad una riunione.» Obbedii non prima di avergli leccato nuovamente a fondo i suoi bellissimi piedi. Mi ordinò di alzarmi in piedi e di seguirlo, anche se io non sapevo proprio cosa stava per succedere, e mi chiedevo se volesse farmi uscire in corridoio nudo ed in quelle condizioni.

Ma chiaramente aveva già mente chi doveva occuparsi di me o, meglio, abusare di me mentre lui non c'era. Entrammo così nell'ufficio confinante che era ancora quello di Helen, dove avevo atteso proprio poco prima.

«Helen, guarda questo verme, è addirittura meglio dei suoi predecessori! Ahahah!»

Ed Helen, che mi guardava sorridendo mentre ero nudo come un verme e a quattro zampe, commento sorpresa: «Davvero? Ottimo signore!»

«Bene, te lo lascio per divertirti un po' mentre sono in riunione… e visto quanto è docile, puoi praticamente fargli e fargli fare tutto quello che vuoi.»; uscì dall'ufficio di Helen e chiuse la porta.

Ero quindi ora in mano ad una padrona. Per come la vedevo, non era tanto importante se si trattasse di un padrone o di una padrona, o di chi fosse; il mio ruolo era quello di essere schiavo per colui o colei a cui venivo asservito, e quindi di servire lui / lei totalmente. Il fatto che Helen fosse una vera dea, sia mentalmente (molto forte) che fisicamente (praticamente perfetta) non cambiava le cose. Io da quel momento ero al pari della sua scrivania, della sua sedia, della suola delle sue scarpe: poteva fare di me ciò che voleva.

Ero in ginocchio a fianco della scrivania. Helen era una donna focosa, questo lo capii subito, il che la portava ad arrivare subito al dunque.

«Vieni qui, sdraiati a pancia in su sotto la scrivania.»

Eseguii. Appoggiò il suo piede destro sul mio petto, accavallando l'altra gamba in modo che il suo piede sinistro, con il suo elegante sandalo nero con tacco alto, fosse proprio sopra la mia faccia.

Guardò sotto la scrivania a cercare il mio sguardo debole e sottomesso, mi penetrò con un'occhiata da vera padrona e mi derise.

«Guardati, verme: hai appena leccato i piedi di un uomo e bevuto la sua sborra e la sua piscia nonostante tu non sia gay, solo perché sei una vera merda che non sa reagire. Beh ora ti umilierò ancora di più, stanne certo. Per iniziare, devi leccare le suole di miei sandali, come un buon cane.»

La mia lingua da schiavo lavorò fino a che la suola non fu perfetta, dopodichè dovetti farlo anche per l'altra. Quindi Helen si divertì ancora un po' con le sue scarpe.

«Guarda i miei tacchi, sono un po' larghi. Beh, le scarpe le compro apposta così per farli spompinare agli schiavi come te, coglione! Ahahah! Avanti, succhia, fammi vedere quello che hai fatto con il cazzo dell'Ingegnere, ahahah!».

Notai subito che Helen era sicuramente molto più perfida del Padrone, glielo si leggeva in faccia quando escogitava qualcosa da farmi fare. Infatti la pratica del pompino al suo tacco non prevedeva che io usassi le mani: lei mi appoggiò il piede sulla faccia, e la parte anteriore rimaneva sempre aderente sulla parte alta del mio viso, da cui faceva leva muovendo il tallone su e giù per farmelo spompinare. Così, oltre all'umiliazione di dover succhiare il suo tacco, mi umiliava anche calpestandomi il volto e pressandolo, oltre che facendomi male. Era veramente una sensazione non descrivibile a parole, qualcosa di paradisiaco per uno schiavo.

«Sai, ho buone notizie per te: è dal giorno in cui ti ho fissato il colloquio che non mi lavo i piedi, proprio perché al telefono ho capito subito che eri nata per essere mia schiava.» e mi derise di nuovo.

«Ora toglimi le scarpe, in fretta!» obbedii, e appena fatto mi fece aderire al volto entrambe le piante dei piedi, calpestandomi la faccia come fosse uno zerbino.

L'odore dei piedi della Dea era davvero fortissimo e terribile, avevo paura di soffocare. Quando iniziò a sentire i miei colpi di tosse iniziò a ridere apertamente, e mi diede un calcio in faccia per farmi smettere.

«Che c'è, non ti piace? Bene, allora apri la bocca e succhialo. Mi raccomando schiava, alternalo con l'altro ogni qualche minuto.»

La cosa andò avanti per un'ora buona, durante la quale a volte mi ordinava espressamente di leccargli a fondo le piante dei piedi. Era una tortura tanto umiliante quanto favolosa, e ben presto non solo mi abituai al fetore dei suoi piedi, ma iniziai ad amarlo.

Ad un tratto rientrò il Padrone dalla riunione. Aveva un sorriso smagliante.

«Cara Helen, ti comunico che alla riunione annuale il reparto che è andato meglio è stato ancora una volta il nostro!»

«Fantastico! Sarà che gli schiavi ci tengono di buon umore e lavoriamo meglio!»

Risate di entrambi. Quindi Helen, mentre mi guardava negli occhi, gli disse: «Bisogna festeggiare con il nuovo collega, cosa ne pensa Ingegnere? Ahah…»

«Ottima idea! Portalo di là, assicurandoti che non si alzi mai in piedi. Anzi, prima gli ho permesso di venire di qui in ginocchio…» e poi, guardandomi, «ora tornerai nella tua posizione naturale: strisciando!»

Di nuovo risate generali. Il Padrone ci anticipò ed andò a sedersi alla sua scrivania mentre Helen, veramente sadica, si divertiva a prendermi a calci nei fianchi mentre strisciavo ordinandomi di essere più veloce:

«Muoviti, verme! È questa la velocità con cui pensi di eseguire i nostri ordini? Bene, questa lentezza significa che hai bisogno di allenamento»; mi si sedette quindi sulla schiena appoggiando i suoi piedi sulle mie spalle, e mi spronava tenendomi per i capelli.

Fu molto doloroso ma alla fine arrivai in prossimità della scrivania del Padrone, il quale se la rideva godendosi la scena. A quel punto Helen si alzò in piedi sulla parte bassa della mia schiena, ed il padrone lasciò la sua poltrona e con le sue scarpe salì anch'egli su di me, pressandomi con una scarpa la testa a terra. I due si abbracciarono ed iniziarono a baciarsi, il tutto in piedi su di me mentre io ero faccia a terra, con un piede del mio padrone che mi schiacciava la guancia. Una situazione per me ideale: una coppia di Dei che, trionfanti, si amano sul proprio inferiore, sul loro schiavo.

La Padrona si stava scaldando, e la sua passionalità aumentava vistosamente. Invertì la sua posizione sul mio corpo con quella del Padrone, il quale quindi era in piedi sul mio petto rivolto verso il mio volto, mentre lei scese per un attimo dal mio corpo. Guardandomi dall'alto con il suo sorriso arrogante e sadico, si chinò verso di me:

«Sei pronto? Ora mi farai il bidét con la lingua mentre spompinerò un vero uomo, cioè non una schiavetta ridicola come sei tu!» detto ciò, mi sputò in faccia e mi calpestò il viso con un piedi (entrambi ancora senza scarpe ma coi collant), il che provocò ilarità generale tra i due.

Si spogliò quindi completamente. Il suo corpo nudo era veramente divino, statuario: il suo seno era perfetto, una terza abbondante con dei capezzoli piccoli e ben visibili nella forma, la sua pancia era perfettamente liscia e le sue gambe sembravano una vera opera architettonica da quanto erano perfette, così come le sue caviglie ed i suoi piedi.

Si mise in ginocchio quindi a cavalcioni in modo da avere i piedi ai lati del mio volto, e l'ano proprio sopra la mia bocca, dandomi le spalle e quindi rivolta verso il Padrone.

Il suo viso era perfettamente davanti alla verga di Lui, ed iniziò subito ad accarezzarla con le sue mani di velluto, per poi prendere a baciarlo.

«Ingegnere, lei ha proprio un cazzo perfetto, è un vero onore poterla soddisfare!» e sorrise perversamente al suo amante, che rispose:

«Il piacere è mio! Hai una bocca e delle mani che qualunque pornostar invidierebbe!»

Risate di entrambi. La Padrona si volse per un attimo a guardami in faccia, e mi ordinò con impeto:

«Idiota! Cosa pensi che ti abbia messo il buco del culo in faccia a fare, eh?! Sei sottomesso, e quindi devi obbedire! Ora LECCA!” urlò, ed io impaurito inizia con foga ad eseguire, cosa che portò i due a deridermi nuovamente.

«Del resto se è stato assunto è giusto che lavori, no?» disse ridendo il Padrone, e ribattè Helen:

«Oh sì, e ancora è solo all'inizio!» e i due sghignazzarono.

Chissà che cosa avrebbero avuto in serbo per me, solo il futuro lo avrebbe poi rivelato.

Il lavoro di Helen doveva essere davvero di ottima qualità, visto che presto il Padrone fu sul punto di venire. A quel punto Helen, estremamente eccitata, si alzò di colpo, afferrò il Padrone facendolo scendere dal mio corpo, ne prese il cazzo e se lo mise in figa.

«Sì, voglio sentirti dentro, voglio sentire il tuo sperma riempirmi per la vacca che sono… sììì…!!»

Il Padrone la riempì di sperma, mentre lei ansimava e si agitava.

Dopo pochi secondi, la padrona aveva già in mente l'ennesima umiliazione da infliggermi.

«In ginocchio eretto, schiava!» e mi alzò praticamente per i capelli.

«Lo vedi questo cazzo? È un vero cazzo, di un vero uomo, virile, potente. Tutto ciò che non sei, insomma» e ridendo continuò: «vedi, è pieno dei miei liquidi oltre che del suo stesso sperma. Ora ci dimostrerai quanto ami lavorare qui! Prendilo in bocca e lavalo alla perfezione, forza!»

Detto questo si mese dietro di me, mentre il Padrone mi era proprio davanti a pochi millimetri con il suo cazzo eretto di fronte a me. La Padrona mi prese quindi la testa da dietro per i capelli e mi forzò il cazzo in bocca.

«Succhia, puttana! Succhia» mentre mi muoveva la testa avanti e indietro. Il Padrone sembrava godersi la scena a giudicare dall'espressione del suo volto.

Lei, da dietro di me, tolse allora la mano dalla mia testa, e appoggiò il suo bacino dietro la mia nuca, comandando il movimento del mio pompino spingendo col busto ogni volta che indietreggiavo. Non potevo fare altro che stare al gioco, per forza di cose, e due si divertivano alla grande.

La scena si prolungò per qualche minuto, fino a quando il Padrone fu ancora in procinto di venire, allorché Helen intervenne nuovamente. Corse a sedersi sul divano dell'ufficio, proprio lì a pochi metri, e disse al Padrone di andare lì e di venirgli sulle piante dei piedi, che lei aveva alzato. Il Padrone mi allontanò allora dal suo pene, avvicinandosi al divano e continuando il mio lavoro masturbandosi. Venne quindi copiosamente sui piedi di lei, quasi completamente bianchi.

Helen allora mi chiamò a sé:

«Schiavo, vieni qui, sempre stando a quattro zampe!» era chiaro che mi voleva far leccare lo sperma dai piedi. Beh, questa volta la sua crudeltà fu ancora maggiore.

Una volta arrivatole davanti a quattro zampe, disse al Padrone di sedersi a cavalcioni sulla mia schiena e di tenermi ferma la testa prendendomi per i capelli. Cosa che il Padrone fece con gusto. La sensazione di averlo sulla schiena mi faceva sentire ancora più inerme e sottomesso, e quindi eccitato.

Una volta immobilizzatami la testa in questo modo, la Padrona prese a sfregarmi con una certa forza i suoi piedi sulla faccia, imbrattandomela completamente di sperma. La cosa la fece letteralmente scoppiare a ridere, mentre continuava nel movimento. Non contenta, dopo pochi secondo che iniziò mi ordinò di stare a bocca semiaperta con la lingua completamente fuori, in modo da farle da vero e proprio zerbino completo.

«Allora ti piace lavorare qui? Vedi, non hai neanche bisogno dei gettoni per la bevanda del pomeriggio. Meglio che avere la solita macchinetta, no?»

Risate di entrambi.

Helen era davvero una donna crudele, e mi trattava come se mi odiasse più di chiunque altro al mondo. La cosa, ovviamente, mi piaceva molto: mi era perfettamente chiaro che essere dominato da una donna perfetta come lei era un fatto naturale per me, anzi, forse un privilegio.

I due iniziarono a dare segni di stanchezza. Si sedettero quindi l'uno accanto all'altra sul divano, ordinandomi di andare a prendere dal frigo (nell'ufficio di lei) una bottiglia di Champagne e due bicchieri. Una volta tornato mi fecero sdraiare davanti al divano, sotto i loro piedi, che si fecero leccare e succhiare mentre bevevano e brindavano al successo della riunione di reparto, ridendo e scherzando con me lì sotto come se fosse la cosa più naturale del mondo. Helen, sempre per umiliarmi, concesse di rovesciarmi qualche goccia di Champagne per terra che avrei poi bevuto con la lingua o, se lei ci metteva i piedi, direttamente dai suoi piedi.

Dopo circa un'ora così, si fece tardo pomeriggio, e i due erano quasi ubriachi. Mi ordinarono rispettivamente di masturbarli con la lingua fino a che lui mi venne nuovamente in bocca e lei in faccia. Helen, non essendo soddisfatta, sembrava ancora più incazzata con me, e mi ordinò di bere la piscia direttamente dalla sua figa, mentre mi teneva per i capelli. Al termine di questa ennesima incombenza, disse che ormai per quel giorno non voleva più vedermi, e quindi mi ordinò di sparire e di tornare il giorno dopo.

«Aspetta, ho un'ultima cosa per te oggi!» e, prima che io potessi alzarmi per andarmene, tirò la mia testa per i capelli vicino al suo culo e, immobilizzandola con entrambe le mani, si lasciò andare ad una scoreggia che fece scoppiare entrambi in grasse risate.

«A proposito, da domani avrai la tua scrivania personale. Sarà la mia! Solo che tu starai sotto di essa… e anche sotto i miei tacchi aggiungerei. Buona serata, cesso umano! Ahahah!» e mi allontanò con un calcio in faccia.

E fu così che si concluse il mio primo giorno di lavoro. I successivi, senza il bisogno di dirlo, furono tutti di questo genere, mentre Helen con me si faceva sempre più cattiva, utilizzandomi per cose progressivamente sempre peggiori: scat, umiliazioni da parte di colleghe (via via sempre più pesanti), sottomissione completa nella vita oltre che in ufficio.

Ad oggi, il Padrone e la Padrona si sono sposati e vivono insieme in un lussuoso appartamento di vari locali in piena Manhattan, ed io vivo lì, in uno stanzino adibitomi. Non vado più al lavoro, in quanto il Padrone mi ha licenziato e costretto a svolgere tutti i lavori domestici, oltre che a soddisfare le sue voglie e tutte le cattiverie della moglie. La Padrona adora invitare le amiche le colleghe, belle o brutte che siano, e obbligarmi a soddisfare le loro voglie e a sottostare ad ogni loro crudeltà. Di recente ha iniziato anche ad affittarmi alle stesse, alcune delle quali sono ex-colleghe con cui all'inizio non fui molto gentile, e che trovarono quindi ogni modo possibile per rifarsi su di me… ma questa è un'altra storia.

Mai avrei sognato di poter arrivare ad una vita così stupenda.
view post Posted: 17/10/2017, 10:23     DarthKnight99 - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
capolavoro ! l'ho trovato brillante e mi ha fatto sorridere amaro in più di un occasione xD
view post Posted: 12/9/2017, 09:11     L'amica di famiglia - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
semplicemente meraviglioso ! hai ricominciato al top come avevi lasciato :)
view post Posted: 10/9/2017, 21:09     L'amica di famiglia - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
sei sempre uno dei miei preferiti e non vedo l'ora di leggere altro scritto da te :)
view post Posted: 21/4/2017, 09:52     Francesco e Giulia - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
Premetto che adoro David e i suoi racconti e sapevo già da prima di questo raccontino che era simpatico !
Però devo dire che anche a me ha lasciato un pò l'amaro in bocca dall'inizio alla fine.
Io non so scrivere e se scrivessi un racconto verrebbe una cosa del genere probabilmente (motivo per cui evito di scrivere dato che non ne ho il talento) ma l'ho trovato comunque un pò irriverente nei confronti di chi anche non avendo grosse qualità si mette in gioco provandoci.
Mi metto nei panni di uno che non è un fenomeno e vuole provare a cimentarsi per la prima volta in un racconto : vedo questa parodia e rinuncio.
E' chiaro che anche io , come tanti,apprezzo i racconti di David( ci metto anche flover e delicato fra i miei preferiti ) sopra a tanti altri , ma se postassero solo quelli davvero bravi avremmo un forum con un post al mese xD
non lo trovo proprio producente
view post Posted: 19/3/2017, 23:11     Una famiglia sotto i piedi della dea - STORIE - RACCONTI FETISH / BDSM
io aspettavo un altro paio di spezzoni prima di esprimere ancora il mio apprezzamento xD altrimenti divento noioso
392 replies since 24/8/2008