| XIV. Stare a casa di Bernardo rendeva Ester molto infelice. La famiglia di lui non era male. Suo suocero era decisamente il membro di quella famiglia che preferiva. Tutte le volte che aveva tradito Bernardo si era dispiaciuta paradossalmente più per i suoi suoceri che per il suo fidanzato stesso. La madre di Bernardo era una donna molto gentile, ma aveva un rapporto troppo simbiotico con il suo unico figlio maschio. Bernardo aveva una sorella di 21 anni, Aurora, ed Ester le voleva bene come a una sorella. Aurora era quanto più di dissimile potesse esistere da suo fratello. Aveva iniziato a lavorare appena dopo la maturità, a ridosso dei 19 anni, e cercava di essere quanto più indipendente dalla sua famiglia, sia economicamente che emotivamente. Era molto graziosa, aveva dei chiarissimi capelli biondi a caschetto e gli occhi neri. Aveva un modo di vestire abbastanza curioso, al contrario degli altri membri della sua famiglia che vestivano sempre in modo distinto. Si era sempre apertamente definita come una ragazza bisessuale.
Era sera, e in quel momento in casa c’erano solo Ester e Bernardo. Tra i due non c’era il minimo dialogo e tutto taceva, fino al momento in cui Aurora irruppe in casa. La ragazza sbatté forte la porta e si lasciò cadere su un divano. Era visibilmente corrucciata, rossa in volto e aveva gli occhi lucidi. Ester sospettava che Aurora avesse pianto molto. «Tutto ok?» chiese preoccupata Ester, ben sapendo però che la risposta fosse tutt’altro che positiva. Aurora non rispose, ma si limitò a tirare fuori una sigaretta dalla borsetta per poi accendersela. «Puoi evitare di fumare in sala? Lo sai che mi dà fastidio il fumo» disse Bernardo, senza accorgersi che sua sorella stava con l’umore sotto i piedi, o almeno fingendo di non accorgersene. «Puoi evitare di rompere i coglioni?» disse Aurora per tutta risposta. «Evitare di rompere i coglioni?» disse Ester. «Quell’idiota di tuo fratello?». «E tu puoi evitare di fare sempre l’acida?» disse Bernardo un po’ stizzito. «Come hai detto?» disse Ester alzandosi e guardando Bernardo minacciosamente. «Nulla» disse Bernardo, che non aveva voglia di litigare. Ma ormai era troppo tardi. Ester gli si avvicinò e gli diede uno spintone molto forte. «Bravissima» approvò Aurora. «Dagliene anche uno da parte mia». Ester fece per spintonarlo di nuovo, ma Bernardo quella volta riuscì a parare il colpo. Ester lo guardò con rabbia, ma non provò a colpirlo di nuovo. «Ringrazia che a fumare non sia io ma tua sorella» gli disse Ester. «Altrimenti ti sarebbe arrivato uno schiaffone».
Aurora continuava a sembrare molto triste ed Ester le si avvicinò. «Che succede tesoro?» le chiese affettuosamente, abbracciandola. La ragazza esitò. «Non ho la certezza, ma credo che papà abbia un’altra» disse Aurora. Ester si sentì gelare a quella rivelazione, e si ricordò di quando Bernardo le aveva rivelato di averla tradita. «Che cosa meschina» disse Ester dopo attimi di silenzio ghiacciato, accarezzandola e consolandola. «E come mai pensi questa cosa?». Aurora continuava ad esitare, forse chiedendosi se fosse il caso di parlarne con Ester o se fosse meglio tenersi il segreto. Fu Bernardo a rompere il silenzio. «Hai prove o sono solo accuse infondate?» le chiese. «Tu devi solo tacere» gli disse Ester con disprezzo. «Tuo padre ha tanti pregi, e se fosse vero che ha un’altra, sei stato capace di prendere da lui solo una cosa, l’unica peggiore». Ci fu qualche attimo di silenzio assordante. A spezzare il silenzio fu poi Aurora. «Che intendi dire?» chiese ad Ester. «Tuo fratello mi ha tradita» spiegò Ester. «All’inizio che stavamo insieme. Con una cameriera sudamericana». Aurora guardò Bernardo negli occhi con fare minaccioso. Il ragazzo arrossì. «È passata una vita» tentò di giustificarsi, arrampicandosi sugli specchi. «Sono cose che…». «Cose che?!» urlò Aurora, alzandosi furiosamente. «Ma ormai la mia rivincita l’ho avuta» disse Ester. «Anche io ti ho tradito». Bernardo impallidì, e anche Aurora parve essere rimasta senza parole. Ester aveva ottenuto un effetto scioccante e quasi si pentì di aver sputato il rospo. «Hai tutta la mia stima» le disse infine sorprendentemente Aurora. «I maschi credono di essere i soli ad avere il diritto di fare delle scappatelle, e questo solo perché hanno il pisello tra le cosce. Poi se lo facciamo noi donne siamo troie. Ben vi sta!». Poi la ragazza si rivolse ad Ester e le poggiò una mano su quella di lei. «Se non ti volessi un bene dell’anima ti direi di lasciare quel pezzo di merda di mio fratello già da ora. Ma poi mi mancheresti troppo».
Ester strinse molto forte la mano di Aurora e la guardò nei suoi bellissimi occhi neri. «Ti prometto che per te ci sarò sempre, qualunque cosa accadrà con Bernardo». «Chi ti sei scopata?» chiese Aurora curiosa come se nulla fosse, non come se suo fratello e la sua ragazza avessero appena rivelato di essersi traditi a vicenda. «Anch’io voglio sapere!» urlò Bernardo con quanto più fiato avesse in gola. «Chi cazzo ti sei scopata? Sentiamo». «Ah, ti piace immaginare la tua ragazza tra le mani di un altro uomo?» chiese sarcasticamente Aurora. «Comunque ti vedo corrucciato fratellino, come mai? Non ti piace la cosa? Tu l’uccello a un’altra ragazza l’hai saputo infilare. Ora Ester racconterà tutto nei dettagli e tu ascolterai dall’inizio alla fine. Vai a prendere i popcorn». «Mi piace l’idea» sorrise Ester. «Da oggi considerati single» disse Bernardo gelido, scuotendo la testa, dopodiché uscì di casa sbattendo forte la porta, lasciando le due ragazze sole.
XV. Era ormai l’imbrunire. La giornata era stata molto mite. La primavera era nel pieno del suo splendore, ma la sera la temperatura era ancora piacevolmente fresca. Alessio Pisani era su un palco, intento a leggere e tradurre Shakespeare a un festival della letteratura insieme ad alcuni colleghi ed ex colleghi. Tra il pubblico c’era anche lei, Ester, curiosa di vedere come se la cavasse Pisani in lingua inglese, soprattutto dinanzi ad un certo pubblico. La ragazza non poté che constatare quanto fosse bravo nella pronuncia e quanto fosse sicuro di sé, senza quasi avvertire la pressione per il fatto di essere osservato e ascoltato da molte persone. Pisani leggeva con trasporto il sonetto 20 di Shakespeare: «A woman’s face with nature’s own hand painted, Hast thou, the master mistress of my passion; […]». Quando arrivò il momento della traduzione, Ester prese al balzo l’occasione per cercare di metterlo in difficoltà. Il ragazzo tradusse le prime due righe in questo modo: «Viso femmineo che Natura di sua man dipinse hai tu, sire signora della mia passione». E fu in quel momento che Ester alzò vistosamente la mano, attirando l’attenzione di molte persone lì presenti, dal momento che nessuno aveva interrotto prima di allora le varie letture. Giusy era presente e guardò male Ester. Fu turbata dalla presenza della ragazza e ancor più turbata per il fatto che avesse deciso di interrompere il suo amico. Pisani era piuttosto concentrato sulla lettura e fu Mariagrazia, una sua ex collega, a fargli delicatamente cenno per indicargli Ester.
«Sì?» chiese Pisani, che era incuriosito ma anche un po’ nervoso, memore di come erano andate le cose l’ultima volta che Ester aveva attirato la sua attenzione in pubblico. Ester si alzò e sorrise, mostrando di essere molto sicura di sé, non badando al fatto che a qualcuno avrebbe potuto dare fastidio quell’interruzione. «Posso chiederle una cosa riguardo la traduzione del sonetto?». «Dica» fu la laconica e incerta risposta di Pisani, dopo qualche istante di sgomento. «Posso chiedere per quale motivo ha reso master mistress come sire signora?» chiese Ester, fingendo stupore. «La traduzione non dovrebbe essere padrone padrona?». Ci fu qualche sussurro qua e là, e molti la guardarono come a chiedersi se fosse stato davvero il caso di interrompere una lettura così coinvolgente per una domanda così apparentemente stupida. Pisani tuttavia non si scompose e cercò di dare la sua spiegazione ad Ester. «Credo che siano termini più sensuali per parlare della passione del poeta. Invece padrona e padrone sono termini più duri». «E io credo che sia proprio quello il bello» disse Ester con una smorfia irritante stampata in volto. «Il protagonista viene visto contemporaneamente come un padrone e una padrona dalla connotazione sessuale incerta, che sembra dominare letteralmente il poeta. Shakespeare ha usato master e mistress, non sir e madam. Un motivo ci sarà. Ma comunque è solo un mio pensiero. Che reputo però giusto. Posso porle un’ultima domanda, Signor Pisani? Poi prometto di non disturbarla più». «Dica pure» rispose Pisani, un po’ rosso in volto. Giusy sussurrò qualcosa nell’orecchio dell’amica, qualcun altro si limitò a fissare Ester con la faccia sospettosa o comunque spiacevolmente sorpresa. «Gentile» disse Ester, senza levarsi dal viso quella smorfia irritante, sempre incurante della tacita ma ostile reazione del pubblico. «Come mai secondo lei Shakespeare ha detto sia padrone, al maschile, che padrona, al femminile?». Giusy si trattenne dall’alzarsi e mollare uno schiaffone a quell’insopportabile e invadente ragazza. «Semplicemente perché secondo molti studiosi probabilmente Shakespeare era bisessuale» spiegò Pisani con naturalezza. «Credo sia un’osservazione più che giusta» disse Ester. «Ma io credo una cosa. Pur essendo bisessuale e pur avendo il protagonista gli attributi maschili, Shakespeare ha donato all’uomo la bellezza di una donna, perché la giovinezza è progettata per essere associata alle donne. E il protagonista ha tutti gli attributi positivi delle donne. Non crede che sia questa un’ammissione della superiorità delle donne?». Si sentì mormorare. Ester aveva davvero fatto scena e Pisani sembrò un po’ imbarazzato. Tuttavia il ragazzo non si scompose. «Shakespeare descrive però questa figura con i genitali maschili e vuole coprire i difetti del sesso femminile, pur celebrandone la bellezza fisica» spiegò Pisani. «Non credo che la sua reale intenzione sia stata quella di celebrare una presunta superiorità delle donne. Non credo nemmeno che l’epoca in cui è vissuto sia stata ottimale per un pensiero del genere, ma non è la sede opportuna in cui parlarne. Se non c’è altro, preferirei completare la mia lettura». «Faccia pure, Signor Pisani» disse Ester. «La ascolto volentieri». La ragazza si sedette e, come promesso, non disturbò più Pisani.
Alla fine del festival, dopo gli applausi e i saluti di rito, la maggior parte del pubblico andò via, ma Ester restò lì in attesa. Quella sera era impeccabile come sempre. Pettinata, truccata, vestita elegantemente, unghie smaltate di bianco e dei sandali coi tacchi ai piedi che lasciavano intravedere gli alluci, anch’essi smaltati di bianco. Pisani la fissò ed era ovvio che lei volesse parlare con lui. «Una serata bellissima» commentò Ester quando fu sicura che non ci fosse nessun altro eccetto lei, Pisani e Giusy. «Lei è davvero bravo in inglese. I miei complimenti». «Sarebbe stata una serata bellissima, certo, se lei non avesse interrotto la lettura volutamente per rovinare la prestazione di Alessio, destabilizzarlo, e fare domande stupide e perverse che non c’entrano niente con Shakespeare. È stata davvero fuori luogo» disse Giusy, scandendo ogni parola con un tono particolarmente astioso. «Ma cosa dice?» le disse Ester con una pacatezza molto fastidiosa. «Ho fatto due semplici domande. Una di traduzione e una di contenuto. È lei ad essere troppo maliziosa». «Io… maliziosa… Ale andiamo via per favore» tagliò corto Giusy, non volendo litigare con Ester. Non perché lei avesse paura di affrontarla, ma per evitare di causare guai all’amico in sede d’esame o, peggio, per la tesi. «Cos’è tutta questa fretta?» chiese Ester. «Io in realtà sono qui per scambiare due chiacchiere con Alessio. In privato». «Ale no» disse Giusy categorica, minacciando l’amico con lo sguardo. «È una cosa importante» insistette Ester. Pisani osservò Ester con degli strani pensieri che gli passavano per la mente. Quella donna aveva caratteristiche che non aveva riscontrato mai in nessun’altra persona. Era curioso di sapere cosa si nascondesse dietro quella corazzata così dura. Perché quella che aveva doveva per forza essere una corazzata. A prescindere dalla tesi e dal percorso didattico, Pisani voleva saperne di più su di lei. Anche se era evidente che lei si divertisse a torturarlo e umiliarlo, e che non si facesse scrupoli a farlo anche in pubblico. Il suo orgoglio gli suggeriva di lasciarla perdere ed andar via senza nemmeno salutarla. Ma il suo cuore stranamente pareva pensarla diversamente.
«Va bene» cedette alla fine Pisani. «Mi dica». «Alessio, no!» urlò Giusy afferrandogli il braccio e stringendolo, quasi strattonandolo verso di sé. «Non farmi incazzare». «È una scelta mia, Giusy» disse Pisani, liberandosi dalla morsa dell’amica. Giusy parve essersi offesa per la cosa. «Io non ci credo» disse Giusy scuotendo la testa. «Davvero non ci credo. Siamo come fratello e sorella e non ascolti i miei consigli. Vattene con lei ma poi non ti venire a lamentare. Perché già so che lo farai». Giusy si voltò e andò via con passo deciso. Pisani sembrava scosso per la reazione ostile dell’amica. «Lasciala sfogare» gli disse dolcemente Ester, riportandolo alla realtà. «Le passerà». «Cos’è che voleva dirmi?» chiese Pisani, chiedendosi se avesse fatto la scelta giusta accettando di parlare con Ester e lasciando andare via Giusy. Si ricordò di quella serata in cui confessò all’amica le sue preoccupazioni riguardo Ester, quando Giusy ancora non credeva ai suoi sospetti. Pensò alla ragazza eccentrica e bionda che non aveva più incontrato e che aveva sospettato fosse stata Ester a mandargliela alle calcagna. Ora la situazione si stava completamente ribaltando. Era Giusy a voler tenerlo lontano da Ester, ma lui non riusciva a chiudere i rapporti con lei, anche se c’erano migliaia di ottimi motivi per farlo.
«Mi segua in macchina» disse Ester ridestando Pisani, che avvertì forti palpitazioni al petto. Quando Ester gli parlava passava dal tu al lei come se nulla fosse. Non sapeva se la cosa lo incuriosisse, lo eccitasse o lo preoccupasse di più. Essendosi più o meno fatto un’idea di che tipo fosse Ester, si sarebbe potuto aspettare di tutto. Faceva bene a fidarsi? Non sapeva effettivamente se lei avesse buone intenzioni. Pisani si guardò intorno: non c’era molta folla in giro, soprattutto in virtù del fatto che era una serata in piena settimana. Pisani scelse di fidarsi e seguì Ester. Si sentiva molto più nervoso delle altre volte. Non era mai stato particolarmente a proprio agio mentre era in compagnia di Ester, ma le altre volte era diverso. Era all’università, in pieno giorno, in una località accessibile da chiunque. Invece in quel momento… Provò una sorta di brivido lungo tutto il corpo quando si sedette nell’auto di Ester, che era locata in un parcheggio piuttosto isolato. Non era mai stato in un luogo così ristretto in compagnia di Ester, e non le era mai nemmeno stato così vicino, eccetto per quei momenti in cui lei gli calpestò un piede e gli parlò nell’orecchio.
«Ora guardami attentamente negli occhi» disse Ester a un certo punto, con dei modi del tutto differenti da quelli che Pisani si sarebbe aspettato. Il ragazzo deglutì. Ora guardarla negli occhi era davvero difficile. La sua lotta interiore era se esserne attratto o impaurito. «Sei stato tu a mandare la lettera al Rettore?» gli chiese Ester con un tono che non aveva mai usato con lui. Sembrava gentile e supplichevole, la qual cosa spiazzò Pisani, abituato al fatto che Ester l’avesse sempre trattato con degli arroganti modi da snob. «Se sei stato tu e lo ammetti ora, ti prometto che non mi arrabbio, ci mettiamo una pietra sopra. Io… ho bisogno di sapere. Guardami negli occhi mentre me lo dici». «Non sono stato io» disse Pisani, non distogliendo il suo sguardo da quello di Ester. «Te lo giuro su quanto ho più di caro. Glielo» si corresse. Le aveva parlato come se avessero un rapporto confidenziale da anni. In effetti, ora che ci pensava, lei era più grande di lui ma solo di poco, tra loro due c’erano pochissimi anni di differenza. «Okay, ti credo» disse Ester, che poi parve pensierosa. «Mi sembri una persona molto sincera e corretta, Pisani. Fingere il contrario sarebbe insensato. Ma chi può essere stato ad inviare quella lettera di reclamo?». Le veniva in mente solo una persona. Ma perché avrebbe dovuto farlo? «Non le so proprio dire» disse Pisani, e ovviamente in questo era sincero. «Per questa sera puoi darmi del tu» disse Ester. «Lo farò. Ma solo se mi chiami Alessio» disse Pisani. I due si guardarono intensamente negli occhi.
Si sentì il rumore di un’auto che si avvicinava a quella di Ester. Pisani fissò la macchina e parve riconoscerla. «Non è l’auto del Professor Ranieri quella?» chiese, avendo visto qualche volta il professore recarsi all’università con un’auto molto simile. «Oh merda!» esclamò Ester ad alta voce, facendo sobbalzare il ragazzo. Poi mise in moto e sfrecciò via veloce. «Dove sta andando?» chiese Pisani allarmato. «Non dovevi darmi del tu, Pisani?» disse Ester, dando particolare enfasi al cognome di lui. «Lascia perdere. Comunque non voglio assolutamente che il Professor Ranieri ci veda insieme». «Perché?» chiese Pisani, anche se un’idea se l’era fatta. «E secondo te perché, stupido?» disse Ester, che dopo un po’ accostò. «Io… credo sia meglio che mi ritiri» disse Pisani sentendosi un pesce fuor d’acqua. Ma non passò molto che la presunta auto del Professor Ranieri riapparve a accostò poco dietro quella di Ester. Dall’auto uscì una persona ma… non fu il Professor Ranieri. Era un ragazzo. «Puoi stare tranquilla» disse Pisani sollevato, «mi sono sbagliato, non è l’auto del Professor Ranieri, è solo un modello simile». «È il mio ragazzo» disse Ester, che osservava la scena dallo specchietto retrovisore. «Il mio ex ragazzo voglio dire» si corresse. «Ah» disse Pisani nervosamente, mentre Bernardo si avvicinava. «Ti sta seguendo?». Ester per tutta risposta baciò Pisani sulla bocca, che rimase letteralmente folgorato e paralizzato dalla cosa. Paralizzato invece non fu il suo membro, che ebbe un improvviso e inaspettato risveglio.
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