| 02 dicembre;
Io sono Gen, e sono una testa di cazzo.
Ogni mattina, come ogni adolescente, mi alzo, vado in bagno, mi guardo allo specchio con spossato disinteresse e penso: "io sono speciale".
"Tutto ok, lo sono davvero," penso. Poi mi sciacquo la faccia, se il cazzo mi puzza troppo mi faccio un bidet, sennò mi cambio le mutande, mi infilo una tuta e via.
Oggi, come ogni mattina, ho fatto esattamente così: ho indossato una tuta, una maglietta random e sono andato a scuola. In aula entro spesso con il volto da pesce lesso, cerco spesso di contrarre leggermente le mascelle, pe darmi un'aria di serietà, ma non sembra che gli altri ci facciano caso.
Pensavo questa cosa attizzasse le ragazze, e invece niente, la mascella acchiappafiche non acchiappa fiche. Potrei concludere il racconto di questa giornata in poche battute, non fosse che, oggi, è accaduta una cosa insolita...devastante in verità: la quarta ora stava praticamente finendo, l'ora dopo ci attendeva il compito in classe di matematica; sia io sia il mio compagno di banco –
un tipo socievole, un cazzone con la battuta pronta, amico di tutti ma apparentemente senza apparenti legami profondi con nessuno – siamo delle pippe in algebra, perciò il tipo ha avuto la brillante idea di fare il simpaticone con le ragazze davanti, chiedendo loro di farci copiare.
Le due ragazze non sono proprio due cime di simpatia, non per i miei standard, s'intende: una, quella seduta all'esterno, è una cessa secchiona ficcanaso e sospetto sia lesbica, ha un naso lungo e curvo, ed è una tipa parecchio suscettibile ed emotiva, la ragazza di fianco, proprio di fronte a me, è una fica d'alta classe: capelli castano-chiari, viso grazioso, occhi verde smeraldo e gambe slanciate, snelle, ben proporzionata poi; penso abbia una terza bella soda e soprattutto, ha un culo da capogiro, una roba che in foto penseresti "questa se l'è ritoccato con photoshop".
Anche la sua voce è abbastanza seducente, sebbene a volte un po' nasale.
Comunque, le due ragazze sembrano indugiare, ma io so che stanno solo giocando, così come so che alla fine di questo flirt da ricchioni, a copiare sarà solo il mio vicino di banco.
E invece, dopo qualche ruffianata, la fichetta fa: "e voi? Se vi facciamo copiare cosa fate in cambio?" Il mio vicino coglie l'occasione al volo e la spara grossa: "quello che volete! Giusto?!"
e mi fissa, anche la fichetta mi fissa; così, preso alla sprovvista esalo un "sì" che più che un sì sembra il verso smorzato di un vecchio che sta cagando liquido al cesso; dev'essere perchè non parlo quasi mai che la mia voce è così mortifera.
Comunque, la tipa di fianco alla fica dice con secchezza: "Non lo so, non voglio rischiare di prendere un 2 nel registro. Se posso, vi aiuto." La fichetta invece non dice nulla, ci fissa mentre la secchiona parla, poi si rigira.
Il compito procede come previsto: una merda. Non so un cazzo e va bene così, non sono mai stato uno che subisce la pressione, specie per questioni scolastiche, e infatti, i miei risultati lo evidenziano. Ghigno mentre lo penso. Il mio compagno di banco intanto è disperato: chiede bisbigliando ai quattro venti, si sbraccia come può, picchierella la schiena della secchiona, che puntualmente lo ignora e si fa più avanti col banco, l'infame. Il tizio mi innervosisce anche, è fuori di sè, non mi fa rilassare, cosa che faccio spesso quando so che qualcosa andrà storto, a una certa gli dico chiaramente: "hai rotto il cazzo, stai fermo" lui si incazza, la prof. ci vede e bye bye, il tipo è al primo banco, a incolparmi, a maledirmi, mentre io mi scrosto la pelle dal labbro e morisco la penna, quieto e senza speranze. Alla fine, avremmo preso 2 entrambi, quindi nessun rancore, almeno per me.
E invece, mentre scarabocchio il foglio, la mano della fichetta mi stringe il polso e mi passa un foglietto: sono le risposte del compito: non tutte, ma sufficienti per una sufficienza, almeno penso, lo spero. Copio senza pudore, quasi lo azzanno quel foglietto. Mi assicuro anche che il mio compagno di banco non si volti per spiarmi e pareggiare i conti: la diffidenza è ciò che ci tiene in vita. Almeno questo, l'ho imparato. O forse no, penso: le risposte potrebbero essere volutamente sbagliate, potrebbe essere una vendetta o uno scherno, ma che scelta ho? Nessuna.
Riprendo a copiare.
L'ora finisce, consegno il compito, il mio compagno torna in fondo, è incazzato, mi insulta ed io ricambio qualche parola, prima di ignorarlo del tutto, anche se il suo odio mi sfiata sul collo.
Procede senza intoppi anche l'ultima ora, solo qualche frecciattina da parte dello stronzo che mi sta di fianco si frappone fra me e la mia quiete.
L'ora finisce, faccio per tornare a casa e come al solito indugio fino alla fine; mi piace uscire per ultimo, lo trovo gradevole, non c'è quella calca di gente che parla, cammina e si dà pacche sulle spalle e si organizza per fare qualcosa dopo la scuola. Io voglio solo andare a casa.
Aspetto qualche altro minuto ed esco; faccio la prima rampa di scale, mi avvio verso la seconda rampa, ma sul pianerottolo c'è lei, la fica che mi ha salvato il culo.
Mi tormento un paio di secondi sul da farsi; non so se ringraziarla o meno, se attaccare bottone o no. Alla fine, mugulo un altro verso mortifero simile ad un "grazie".
Lei mi guarda, mi fissa un paio di secondi, poi mi fa: "Grazie? Devi ricambiare ora."
La guardo, distratto più che confuso, non capisco nemmeno cosa dice, probabilmente lei capisce che io non capisco così fa sì che io possa intendere: "Quarta ora, abbiamo stretto un patto."
La guardo incuriosito; ora ricordo bene e la mia faccia lo lascia trapelare, così le faccio:
"Cioè? Cosa vuoi in cambio?" Lei sorride, per un paio di secondi non dice nulla, poi indica il suo stivale nero. La guardo ancora più incuriosito; non capisco a cosa stia alludendo, non capisco neppure se sta alludendo a qualcosa, e rimango lì, immobile, davanti a lei, con le sopracciglia inarcate e una smorfia che oscilla fra l'inebetito e l'indispettito.
Passa ancora qualche secondo e Lei mi dice: "Puliscilo. Con la lingua." la sua voce è chiara, netta, come un fendente di spada. Ora sono spaesato, le gambe mi vacillano, sento le sopracciglia distendersi il viso rilassarsi: "Come?" soltanto questo riesco a dirle, e, Lei, con il dito ancora puntato sulla punta dello stivale, ancora ripete, lentamente: "Puliscilo. Con la lingua."
I suoi occhi brillano, anche i miei brillano, ma di terrore i miei, e di piacere i suoi.
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