Sire del Loto Bianco Forum BDSM & Fetish

Leah

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view post Posted on 22/9/2014, 20:00     +3   +1   -1

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vi presento un racconto che il mio amico Delicato ha scritto appositamente per me...spero che lo apprezziate tanto quanto lo sto apprezzando io che non riesco a smettere di leggerlo da giorni xD


Leah

Marilou si presentò alle otto precise, puntuale come sempre, a casa dei suoi padroni italiani. I

nobili tratti asiatici stonavano con l’espressione rassegnata che si dipingeva sul suo volto ogni

qualvolta si avvicinava a quella porta. Era ormai al loro servizio da dieci anni e avrebbe cambiato

quel lavoro con qualsiasi altro impiego, per quanto faticoso e sgradevole, ma non poteva. Quei

ricconi la trattavano come una schiava ma pagavano bene, e Lulù (come i suoi amici chiamavano

Marilou) aveva bisogno di quello stipendio per mantenere sua figlia Leah, che oramai aveva 18
anni, ma Lulù si rifiutava di mandarla a lavorare. Voleva che studiasse e che lo facesse a tempo

pieno.
Dopo essersi preparata psicologicamente a un’altra giornata di cocenti umiliazioni da mandare giù

senza fiatare, Lulù estrasse la copia delle chiavi che avevano fatto apposta per lei (e non passava

giorno che le ricordassero quanto erano stati buoni a fidarsi fino a questo punto di una straniera)

e aprì la porta.
“Permesso, signora? Sono io, Lulù.” disse appena entrata.
Nessuno le rispose. Molto strano. In genere passavano pochi secondi prima che Gaia, la padrona di

casa, arrivasse sciabattando per affidarle frettolosamente l’elenco delle faccende da sbrigare,

naturalmente senza neanche salutarla.
“Signora?” ripeté Lulù ad alta voce. Nessuna risposta. “C’è nessuno?” gridò la colf. La sua voce

risuonò debolmente negli enormi stanzoni della villa ma sembrò che nessuno l’avesse udita. Lulù

cominciava a preoccuparsi.
“Sciocchezze.” pensò tra sé. Entro pochi secondi la padrona di casa sarebbe comparsa lamentandosi

per i suoi strilli. Ma passò quasi un minuto e nessuno si fece vivo. Lulù richiuse la porta alle

sue spalle e si addentrò dentro il corridoio.
“Forse ci sono i ladri.” le venne in mente ad un tratto “Forse li hanno legati e hanno svaligiato

la casa. Magari li hanno uccisi tutti! La signora Gaia, il signor Matteo e i due ragazzi.”.
Mentre camminava lungo il corridoio sentiva il cuore che le batteva forte. “Calmati.” si disse

“Saranno fuori o qualcosa del genere. Solo perché a quest’ora sono sempre in casa non significa che

per una volta non possano essersi alzati presto.”
Inoltre, vergognandosene un po’, pensò anche un’altra cosa.
“Ma poi che te ne frega se li hanno derubati e legati tutti e quattro come salami? Questi arroganti

che si credono chissà chi, ti costringono a fare gli straordinari senza retribuirteli e ti chiamano

sempre ‘negra’… Dammi retta, torna a casa e che se la vedano loro.”.
Questo era proprio impossibile. Se davvero fossero stati derubati e lei non si fosse presentata a

lavoro il giorno dopo, sarebbero stati capaci di darle la colpa!
“Solo Puffin ti darà forza e grinta a volontà!” gridò una voce ad un certo punto.
Lulù fece un salto di tre metri. Trattenne un urlo a stento.
“Comunque Charlie non resterà proprio solo, signori e signori!” proseguì un’altra voce, questa

volta femminile.
Lulù fece un sospiro di sollievo. Era solo la televisione.
Entrò nella stanza da dove erano arrivati i rumori della televisione. Allora c’era ancora qualcuno

in quella casa. Probabilmente erano Carlo e Luciano, i due figli della coppia. Loro non

rispondevano mai quando Lulù li chiamava, la consideravano parte dell’arredamento.
“Signorini, dov’è vostra ma… oh, mio Dio!” esclamò Lulù entrando nel salotto.
I membri della famiglia erano tutti lì. Ed erano davvero legati come salami! Solo che non c’era

nessun ladro con loro. C’era solo una ragazzina bassa, snella, con lunghissimi capelli neri lisci

come la seta.
“Leah!” esclamò Lulù
“Ciao, mamma!” rispose la ragazza voltandosi “Come stai?”
“Tu… non dovresti essere a scuola?” le chiese la madre senza capire
“Ma no, mamma… cominciamo domani!” rispose la ragazza “E poi oggi avevo cose più importanti da

fare.”
“Non c’è niente più importante della scuo…” cominciò a dire (automaticamente, visto che era una

frase che ripeteva di continuo) Lulù, ma dopo essersi avvicinata rimase senza parole.
Sua figlia stava guardando la TV seduta sul divano ma quello su cui era seduta non era un cuscino

era… la faccia della signora Gaia!
“Signora!” strillò
E per di più i piedi di sua figlia, che calzava due scarpine da ginnastica, poggiavano sulla faccia

di uno dei ragazzi.
“Signorino Carlo!” strillò Lulù sbalordita.
Gli altri due membri della famiglia erano legati a due sedie. Tutti erano imbavagliati.
“Leah! Che stai facendo?” gridò Lulù con tono da rimprovero
“Siediti che te lo spiego, mamma.” rispose Leah sorseggiando un succo di frutta.
Sempre più sbalordita, Lulù si sedette su una poltrona.

Leah era figlia di una colf e di un muratore rimasto invalido dopo un infortunio sul lavoro ma

sopportava quella condizione con dignità. Sapeva di non essere ricca ma non per questo si sentiva

inferiore ai suoi coetanei. Aveva sempre dovuto fare un sacco di rinunce in un’epoca in cui i

genitori regalavano tablet e cellulari alle figlie di dieci anni ma c’era abituata e anche questo

riusciva a sopportarlo.
Quello che non riusciva a sopportare era vedere sua madre tornare a casa a tarda sera e, prima

ancora di preparare la cena, chiudersi insieme a suo padre in camera da letto, dove scoppiava quasi

subito in lacrime raccontando tutte le cattiverie che aveva dovuto subire dalla famiglia per cui

lavorava.
I suoi genitori erano convinti che Leah non li sentisse, ma non era così. Le mura in quella casa

erano di cartapesta e le porte poco più che pezzi di compensato. Si sentiva tutto. E così la

ragazza, fin dalla più tenera età, aveva sentito il racconto dettagliato di anni e anni di

cattiverie e soprusi.
Aveva sentito tutti gli epiteti che erano stati rivolti a sua madre, specialmente dai due figli

della coppia, che da piccoli non si preoccupavano neppure di far finta di essere persone decenti e

non esitavano a definirla ad alta voce “negra di merda”, e addirittura sporcavano apposta la casa

solo per fargliela pulire al grido di “pulisci, schiava!”. I due adulti non erano da meno: anche se

cercavano di salvare le apparenze, si comportavano lo stesso come due negrieri con la loro schiava,

e anche se non lo avevano mai detto chiaramente era ovvio che ci provavano un po’ di piacere.
Il signor Matteo, che era il portaborse del dirigente di una ricca società, era abituato a sfogare

la sua rabbia per tutte le umiliazioni che subiva a causa del suo compito sui suoi sottoposti e,

quando tornava a casa, faceva lo stesso con Lulù. Per lui dare ordini a destra e a manca era una

sorta di esercizio mentale. Lo aiutava a leccare meglio il culo dei suoi superiori il giorno dopo.
La signora Gaia, invece, non aveva scuse. Era semplicemente una sadica. Sempre a casa da sola,

visitata sporadicamente da qualche amica, considerava Lulù una sorta di passatempo. La tormentava

senza sosta passando dalle semplici prese in giro (del tipo “Come sei lenta a sbrigare le faccende

di casa! Ma a quelli del tuo paese la demenza senile viene a cinquant’anni?”) alle umiliazioni più

crudeli. Come quella volta davanti alle sue amiche.
Le aveva invitate a prendere il the e ad un certo punto la discussione era caduta sulla servitù. Le

donne si erano lanciate in una sorta di gara per stabilire chi di loro aveva i servi più incapaci.
“La mia non è neanche in grado di svolgere i compiti più semplici!” aveva starnazzato Gaia “Ecco,

per esempio… Luluuuù!” aveva chiamato.
“Sì, signora?” aveva risposto Lulù senza battere ciglio, nonostante avesse sentito tutto dei loro

discorsi. La signora Gaia, per tutta risposta, aveva fatto cadere un pasticcino pieno di crema

sulle sue scarpe, imbrattandogliele tutte. Quindi aveva ordinato: “Puliscimi le scarpe.”.
Lulù non aveva potuto fare altro che inginocchiarsi e pulire le scarpe della padrona con il lembo

uno strofinaccio. Sotto le risate delle sue amiche, Gaia aveva commentato la scena con frasi come

“Visto? Non sta neanche pulire un paio di scarpe!” e poi via coi vari “Si fa così!”, “Non si fa

così!”, “Così ci metti una vita.” e via discorrendo. “Più in giù con la testa, così vedi bene cosa

stai facendo!” aveva ordinato spingendole la testa verso il basso con una mano.
Leah aveva sentito di tutte queste umiliazioni, e aveva preso nota…

“E tu allora… avresti cercato di vendicarmi?” chiese Lulù sbalordita
“Esatto. Bisogna fare qualcosa, mamma! Non possono trattarti così!” rispose Leah “Stanotte sono

uscita di casa di nascosto, mi sono intrufolata in questa bella villa e ho legato tutti come

salami, tranne quello lì.” indicò il signor Matteo “Ti ricordi quando ho fatto piangere a suon di

calci e schiaffi quel bulletto al parco giochi, da piccola?” chiese
“Eh? Sì ma cosa c’entra…?”
“C’entra, perché oltre ai bulletti piccoli io sono brava anche a far piangere i bulletti grandi.”

rispose Leah “Vero, signor Matteo?”
L’uomo emise una serie di mugugni indecifrabili.
“Certo, certo…” disse Leah “Comunque è stato divertentissimo, mamma! L’ho picchiato per non so

quante ore. Alla fine ha detto che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farmi smettere. E sai cosa

gli ho fatto fare?”
Lulù non rispose. Si limitò a fissare sua figlia a bocca aperta.
“Gli ho fatto firmare un sacco di assegni, atti di proprietà… mi sono fatta rivelare la

combinazione della cassaforte… insomma, mamma, adesso tutto il denaro di questi stronzetti è

nostro! E noi siamo le loro padrone di casa!”.
Lulù spalancò ancora di più la bocca, tanto che per poco non le si slogò la mascella. Provò a dire

qualcosa, anche solo per chiedere se Leah la stava prendendo in giro, ma non ci riuscì e svenne

dall’emozione.

Quando Lulù si riebbe, Leah si sedette al suo fianco e si rivolse agli ex-padroni di casa.
“Le regole in questa casa d’ora in avanti saranno diverse.” spiegò loro “Voi quattro righerete

dritto e chiamerete mia madre ‘Signora Marilou.’. Io invece per voi sarò la ‘Signorina Leah’.

Dovete fare tutto quello che diciamo altrimenti sarete picchiati. Tutto chiaro?”
Nessuno rispose, naturalmente. Tutti e quattro i membri della famiglia erano imbavagliati. Leah

guardò i due ragazzi.
“Adesso vi slego.” disse loro “Però fate i bravi, mi raccomando.”.
Lulù osservò la scena preoccupata.
“Leah… non credo sia una buona…” disse.
E infatti appena Leah li ebbe liberati Carlo e Luciano le saltarono addosso rabbiosi. Ma Leah li

stese entrambi in mezzo secondo dando un cazzotto nello stomaco a Luciano e a Carlo un bel calcio

nei coglioni.
“Siete un po’ fuori allenamento, eh?” chiese guardandoli contorcersi ai suoi piedi “Certo, sempre a

mangiare patatine davanti ai videogiochi…”
“Brutta stronza…” ansimò Luciano alzandosi in ginocchio e tentando di afferrare una gamba di Leah

con le mani tese. Lei fu più veloce di lui e lo mandò nuovamente al tappeto con una pedata in pieno

volto.
Poi si mise in piedi su di lui con i piedi ai lati della sua testa e strinse il suo collo in mezzo

ai polpacci.
“Avanti.” ordinò “Bacia i piedi che ti hanno sconfitto.” Luciano esitò. Leah gli stritolò il collo

con le gambe “BACIALI!” ordinò secca. Poi guardò Carlo, ancora rannicchiato a terra con le mani

sulle palle doloranti “E tu baciami il culo.” gli disse “O ne vuoi ancora?”.
Non ebbe bisogno di ripetere i suoi ordini due volte. I ragazzi stettero per venti minuti buoni a

baciarle i piedi e le natiche mentre lei li guardava dall’alto in basso con le mani sui fianchi.

“Benissimo.” disse Leah “Ora che è stato chiarito chi comanda direi che possiamo slegarli. Tu non

credi, mamma?”
“Io… io non lo so…” rispose Lulù confusa. Era una donna gentile abituata a trattare tutti coi

guanti bianchi ma quella famiglia di arroganti… ridotta così… le sembrava di vivere in un sogno!
“Ma sì, dai… slegali. Così possono dirti quanto gli dispiace di averti sempre trattata male.” disse

Leah.
Lulù fece come aveva detto sua figlia. Slegò Gaia e Matteo, che non provarono neppure a ribellarsi

raggiunsero immediatamente i loro figli inginocchiati davanti al divano su cui era seduta Leah.
“Da chi cominciamo?” chiese la ragazza “Vogliamo cominciare dai due mocciosi?”
“Beh… perché no?” rispose Lulù
“Allora Carlo. Giusto? Forza… hai qualcosa da farti perdonare, vero?” chiese Leah al figlio più

piccolo, che aveva circa 18 anni
“Io non… non…” balbettò il ragazzo
“Tu non hai mai salutato una volta mia madre!” tuonò Leah “E non hai neanche risposto quando ti

parlava lei. Come se fosse un animale. Anzi, peggio! E anche tuo fratello! Avanti! Chiedete scusa!”
“S… scusi tanto, signora.”
“Per cosa?” chiese Leah alzandosi in piedi
“Per averla ignorata!” dissero all’unisono i due terrorizzati “Ci dispiace tanto, signora Marilou!

Chiediamo scusa! Scusa!”
Leah si avvicino ai due ragazzi, che si fecero piccoli piccoli tremando come foglie.
“Sì… vi siete comportati da cafoni… trattare una persona come se non fosse neanche lì…” disse

guardandoli con disprezzo “È come se adesso io mi mettessi qui davanti a voi” continuò piegando le

ginocchia fino a abbassarsi al loro livello “e dicessi ‘Oh, non c’è nessuno qui… posso anche

ruttare senza mettere la mano davanti alla bocca!’”
e quindi mollò un sonoro rutto sulla faccia dei due fratelli. Così forte che tremarono le pareti

della stanza. I due si fecero ancora più piccoli, sia per la paura che per la meraviglia di aver

visto un rutto del genere uscire fuori da una ragazzina così minuta.
“E adesso veniamo alle scuse individuali…” disse Leah “Carlo, tu per esempio hai la cattiva

abitudine di lasciare in giro i calzini sudati per la casa, vero? Appallottolati… e mia madre deve

raccoglierli e srotolarli per te… che schifo… come ti sentiresti se ti mettessi in mano i suoi di

calzini? E magari ti facessi anche sentire il loro profumino?”.
Lulù sobbalzò sulla poltrona. In realtà era una cosa che aveva sognato tante volte, ma non aveva

mai avuto il coraggio di dirlo a nessuno.
“Avanti, mamma, togliti i calzini.” disse Leah “Dobbiamo insegnare una lezione a questo

stronzetto.”.
La donna si tolse le scarpe e poi si sfilò i calzini, già umidi per il lungo viaggio in autobus che

doveva fare ogni mattina per venire a lavoro. Quindi, sorridendo come chi sta vivendo un sogno ad

occhi aperti, li mise in mano a Carlo.
“Annusali.” ordinò Leah secca “FORZA! O vuoi che ti prenda a calci di nuovo…?” il ragazzo si portò

le mani tremanti che stringevano i calzini di Lulù al volto e ci premette contro il naso “Respira

forte. Voglio sentire bene.” ordinò Leah. Carlo annusò più rumorosamente che poté. Lulù non riuscì

a trattenere una risata.
“Passiamo a Luciano, mamma?” chiese Leah, felice di constatare che sua madre cominciava a godersela
“Sì, dai!” rispose Lulù
“C’è qualcosa che fa che ti dà particolarmente fastidio?” le chiese sua figlia “Non smettere di

annusare, tu!” strillò poi rivolta a Carlo
“Uhm… vediamo…” rispose Lulù divertita “In effetti riempie sempre la casa di briciole e poi tocca a

me pulire… è molto seccante…”
“Bene, allora questa volta faremo pulire lui.” dichiarò Leah “Hai quei cracker che ti porti sempre

dietro nella borsa?” chiese alla madre
“Certo!” rispose Lulù
“Dammeli.” disse Leah. Quindi cominciò ad estrarli ad uno ad uno e a buttarli per terra,

schiacciandoli con il piede.
“Pulisci.” ordinò a Luciano, e solo dopo pochi secondi aggiunse: “Con la lingua…”.
Luciano si sentiva umiliato come non mai all’idea di dover obbedire a un ordine del genere dato da

una ragazzina di cinque anni più piccola di lui. Ma dato che ancora si sentiva il naso dolorante

per la pedata di poco prima, non si azzardò a replicare. Si abbassò sul pavimento e cominciò a

leccare via tutte le briciole sotto lo sguardo divertito e soddisfatto delle due asiatiche.

“Com’è che chiami sempre mia madre, tu?” chiese Leah al capofamiglia “Aspetta… fammi ricordare… Ah,

sì! ‘Quella marocchina.’!” tirò a Matteo una sberla micidiale, che per poco non lo fece finire

disteso “Beh, per tua informazione io e mia madre siamo filippine! È chiaro? Filippine! È CHIARO?”

urlò. Afferrò Matteo per i capelli e, tenendolo fermo con una mano, prese a schiaffeggiarlo con

violenza con l’altra, alternando manate con il palmo e con il dorso.
“V… va bene, va bene…” balbettò lui “Non siete marocchine. Ho capito!”
“Sta zitto, merda!” urlò Leah “Abbi almeno la dignità di stare zitto!” e continuò a schiaffeggiarlo

senza pietà.
“Allora, mamma.” disse dopo aver scombussolato la testa di Matteo a dovere “Per cosa vuoi che ti

chieda scusa questo stronzo…? A parte per tutti gli insulti razzisti, ovviamente… Sappi, merdina,

che quelli te li farò pagare tutti… con te sarò particolarmente sadica…” aggiunse sogghignando
“Allora…” disse Lulù “Lui sporca sempre la tavoletta del water facendoci la pipì sopra. Mi

piacerebbe se punissimo…” soffocò una risatina “…la parte del suo corpo che ha sbagliato.”.
Niente di più facile per Leah, che calò i pantaloni a Matteo con uno strattone e afferrò il suo

pene.
L’uomo cominciò a gridare talmente forte che dovettero infilargli uno strofinaccio in bocca per

farlo smettere. Leah continuava a stritolargli il membro come se per lei fosse la cosa più naturale

del mondo. Glie lo attorcigliava e glie lo spiegazzava come se niente fosse, come se si trattasse

solo di una pallina antistress.
“Ti imploro, basta! Basta!” urlò Matteo quando, a furia di strillare, riuscì a sputare lo

strofinaccio
“Non implorare me, coglione!” disse Leah “Implora mia madre! Io finché lei non è soddisfatta

continuo.”
“Ti imploro Lul… ehm… signora!” urlò Matteo “Non ce la faccio più!”
“Uhm… non so…” disse Lulù divertita “Mi chiedi scusa per tutte le volte che hai fatto pipì sulla

tavoletta?”
“Sì! Sì! Scusa per tutte le volte che ho fatto pipì sulla tavoletta!” gridò Matteo muovendosi come

un tarantolato
“E per tutte le volte che mi hai chiamata negra?” chiese Lulù
“Sì! Scusa per tutte le volte che ti ho chiamata negra!”
“Anche per tutte le volte che mi hai chiamata marocchina?” chiese Lulù
“Sì! Scusa per tutte le volte che ti ho chiamata marocchina!”
“E per tutte le volte che hai detto male degli stranieri in mia presenza?” chiese Lulù
“Scusa per tutte le volte che ho detto male degli stranieri in tua presenza…” urlò Matteo quasi

piangendo “Ti prego… non ce la faccio più… non ce la faccio più davvero… dille di smettere…”
“Lascialo, Leah.” disse Lulù ridendo “Come prima lezione può bastare.”.
Leah lasciò andare il pene di Matteo, che si accasciò al suolo agonizzante. Entrambe le filippine

si voltarono verso la padrona di casa. Era il momento di punire il membro della famiglia che

entrambe odiavano di più.

“Non sai fare niente! Bisogna sempre spiegarti tutto dieci volt… blub… blub… glu… glu…” esclamò

Gaia. Le ultime parole si persero in un gorgoglio sommerso.
“Poi cos’altro è che mi dici sempre?” disse Lulù “Ah, sì! Quella cosa di rimandarmi al mio paese.

Forza, dilla.”
“Un giorno di questi ti rispedisco a calci al tuo pae… blub… blub… gurgle…”
“Altre cose che questa stronza dice sempre, mamma?” chiese Leah
“Vediamo… ah, sì! Dice che se non fosse per lei starei in mezzo a una strada.” rispose Lulù
“Prova a ripeterlo adesso, stronza.” disse Leah
“Per piacere, Leah… io lo so che tu sei una ragazza seria…” piagnucolò Gaia
“SIGNORINA Leah per te, puttana! E ora ripeti quella frase. SUBITO.” strillò Leah stringendole il

collo
“Se non fosse per me saresti in mezzo a una stra… glu… glu… gurgle…”.
Ogni volta che Gaia diceva una di quelle frasi Leah le spingeva la testa dentro il water e

contemporaneamente tirava l’acqua.
“Basta, ti prego…” pregò piangendo
“Leah, è stupendo!” esclamò Lulù raggiante “Sentire la voce sgradevole di questa… donna interrotta

dallo scarico del water! Guardarla riemergere tutta fradicia! È bellissimo!”
“D’ora in poi lo faremo tutti i giorni, mamma.” disse Leah “Con lei e con tutti quegli altri

pezzenti che abbiamo lasciato legati di là, se non fanno i bravi. Adesso però mi sa che ho bisogno

del water…”
Gaia tentò di rialzarsi ma Leah la spinse giù bruscamente
“Chi ti ha detto di rialzarti? Resta dove sei!”
“No!” gridò la donna terrorizzata “Non farmi la cacca in testa, ti prego! Non farlo!”.
Come se non l’avesse sentita, Leah si sedette sulla sua schiena e si abbassò i pantaloni.
“Per favore, no… no… no…” continuò a pregare Gaia, ma la sua voce diventava sempre più debole,

sempre più rassegnata a quello che stava per succedere, finché non si trasformò in un singhiozzare

sommesso, nell’attesa che le feci di Leah le imbrattassero tutti i capelli.
Ma non arrivò nessun escremento. Ad un tratto Gaia sentì il suono di una portentosa scoreggia e la

testa che le tremava come se fosse stata travolta da un treno in corsa.
“Tranquilla.” disse Leah “Ti cagherò in testa prima o poi, ma questa volta non mi scappava.” e,

ridendo, mollò una seconda scoreggia.

Leah aveva sempre avuto il problema delle scoregge. Era praticamente incapace di farle silenziose,

anzi, le sue erano sempre forti come cannonate e la cosa la imbarazzava tantissimo.
Come aveva spiegato a sua madre, però, davanti a quattro molluschi come quelli non era necessario

sentirsi in imbarazzo. Anzi, disprezzarli al punto tale da scoreggiargli in faccia senza problemi

era un modo per far loro capire quanto poco li considerassero.
Per questo motivo, dopo la punizione di Gaia, la ragazza si tolse pantaloni, scarpe, mutande e

calzini e, rimasta solo con la maglietta, si sdraiò a pancia in giù su un divano.
“Ora vi scoreggerò in faccia a turno.” spiegò “Quando mia mamma vi chiamerà voi verrete qui vicino,

metterete la faccia a due centimetri dal mio culo e io ci scoreggerò sopra finché mia mamma non

dirà che può bastare. Non ho voglia di alzarmi per costringervi, quindi venite qui di vostra

spontanea volontà. CHIARO?”
“Sì, signorina Leah!” risposero in coro i quattro schiavi, tremanti e inginocchiati in fila davanti

al divano.
“Con chi cominciamo, mamma?” chiese Leah
“Non lo so. Tu da chi cominceresti?” chiese divertita la donna
“Facciamo da Matteo, dai.” disse Leah “Poi deve andare a lavorare, giusto? Ora che il suo conto in

banca è intestato a noi ci tengo al suo stipendio!”.

Quel giorno Matteo non riuscì a combinare niente a lavoro. Continuava a pensare alle cocenti

umiliazioni che aveva subito da quella ragazzina che ormai teneva in pugno lui e la sua famiglia, a

come lo aveva costretto a baciare i suoi piedi nudi e quelli della sua colf prima di uscire di

casa, perché “uno schiavo aveva il dovere di salutare degnamente la sua padrona”. Una parte di lui

non voleva tornare a casa da quella peste, voleva scappare per chissà dove, magari andarla a

denunciare.
Ma non poteva denunciarla. Leah aveva distrutto tutte le registrazioni delle telecamere di

sicurezza di casa sua e ora lui non era in grado di dimostrare che tutte le donazioni che le aveva

elargito glie erano state strappate con la forza. E poi… che figura ci avrebbe fatto se avesse

detto in giro che una ragazzina con un quarto dei suoi anni l’aveva sottomesso in quel modo?
La suoneria del suo cellulare distolse Matteo da questi pensieri.
Guardò il display e vide la scritta “La tua somma padrona 2”. Leah aveva costretto tutti i membri

della famiglia a salvare con quel nome il suo numero di telefono, mentre ovviamente “La tua somma

padrona 1” era il nome del numero di sua madre.
Rispose.
“Ciao, brutta merda.” disse la voce all’altro capo del telefono
“Salve, signorina Leah.” rispose lui
“Sono qui con quei mocciosi viziati dei tuoi figli. Sono sdraiata mezza nuda su un lettino e quei

due molluschi mi stanno facendo aria con due ventagli di piume. Hanno paura che se si fermano li

picchierò di nuovo” si interruppe per ridere di gusto “Insomma, me ne stavo qui a rilassarmi e sai

cos’è successo?”
“Che… cosa, signorina?” chiese Matteo reprimendo la rabbia
“Che sento che mi sta per venire una scoreggia bella potente. Anche più potente delle mie solite.”

rispose lei
“E… allora…?” chiese Matteo
“Semplice. Voglio mollartela in bocca.” spiegò Leah come se fosse una cosa normalissima “Quindi

devi venire subito qui.”.
Matteo guardò il cellulare che aveva in mano come se pensasse che quello che aveva sentito fosse

dovuto a un’interferenza.
“Cosa?” domandò “Ma signorina, io sto lavorando… io…”
“Lo so, coglione!” lo interruppe lei “Cosa credi? Trova una scusa e esci. Dai, vieni qui, ti mangi

la mia scoreggiona e poi torni a fare quello che stavi facendo.”
“Non… posso…” rispose lui rabbrividendo “Non posso allontanarmi dall’ufficio solo perché devo…”

guardò la collega dell’ufficio vicino, ricordandosi di essere a portata d’orecchio “…fare questa

cosa.”
“Facciamo così.” disse Leah dall’altra parte “Se non sei qui tra mezz’ora rompo il naso ai tuoi

figli a pedate. E poi, quando torni a casa, ti faccio scoppiare una palla stringendotela forte

forte con una mano. Che ne dici?”
“Eh?!” gridò Matteo incredulo
“Sono le due meno un quarto.” continuò Leah “Se non sei qui per le due e un quarto sai cosa

succede. Io ti ho avvertito. Ciao-ciao, coglione!”
“No, Leah! Aspe…” gridò Matteo.
Troppo tardi. Sentì distintamente un “bip” che lo avvertiva della chiamata interrotta.
Si alzò di scatto e senza neppure infilarsi la giacca si catapultò nei pressi della sua collega,

che si era alzata per sistemare dei fogli in una archivio.
“Sonia” le disse Matteo trafelato “c’è un problema a casa mia. Devo assentarmi per un po’. Coprimi

tu col direttore.”
“Cosa? Non ci penso nemmeno!” sbottò quella “Tu non mi hai mai coperto tutte le volte che sono

dovuta andare a prendere i miei figli che stavano male a scuola. Adesso te lo sco…”
“Sonia! Per piacere! Ti prego! TI PREGO!” urlò Matteo in preda al panico. E prima che lei potesse

rispondergli si gettò ai suoi piedi. Era completamente rannicchiato sul pavimento, con la faccia a

pochissimi centimetri da terra, proprio dove c’erano le sue scarpe… le stava… leccando gli stivali!
La donna fissò con gli occhi sgranati quell’uomo generalmente così altezzoso e sicuro di sé che le

leccava le scarpe prostrato a terra.
“D’accordo! D’accordo!” esclamò quasi spaventata da quell’atteggiamento sottomesso “Vai pure! Ci

penso io con direttore.”
“Grazie, Sonia! Grazie!” esclamò lui lasciando la stanza di corsa.

“Maledetto traffico!” gridò Matteo battendo i pugni sul volante “Proprio adesso doveva uscire di

casa tutta questa gente!”.
Guardò l’orologio sudando freddo. La lancetta dei minuti era quasi a metà del percorso.
“No! No! No!” strillò con voce isterica “Non ce la farò mai così!”.
Stava quasi per mettersi a piangere quando alla sua destra, in lontananza, scorse una stradina. La

conosceva bene…! Era una stradina sterrata, chiusa al traffico, che passava vicinissima a casa sua.

L’aveva percorsa a piedi insieme ai ragazzi durante qualche gita domenicale.
“Potrebbero arrestarmi per questo.” pensò ad alta voce “E non farà bene alle sospensioni… no… per

niente bene…”.
Ma non aveva scelta. Con una sterzata da film girò la macchina di novanta gradi e uscì dalla strada

maestra. Forse tagliando in mezzo ai campi ce l’avrebbe fatta.

“Ah, eccoti, finalmente…” disse Leah vedendo Matteo che entrava nella stanza correndo come un matto
“Ho fatto… più in fretta… che ho potuto, signori…” rispose lui col fiatone
“Sì… sì…” disse Leah distrattamente “Sono… le due e dodici minuti. Ancora tre minuti e i tuoi

figlioletti sarebbero stati sfigurati, lo sai?”
“Sì… signorina…”
“Avanti. Non mi fare perdere tempo. Sai cosa devi fare.”.
Matteo si inginocchiò davanti al culetto sodo di Leah, coperto, si fa per dire, da un tanga a filo

interdentale.
Più delicatamente possibile, per evitare di farla arrabbiare, Matteo glie lo scostò dall’ano e poi,

cercando di non pensare a quello che stava facendo, ci accostò le labbra.
Dal culo della ragazza uscì una scoreggia poderosa, così lunga che Matteo poté assaporarla appieno.

Quel sapore gli sarebbe rimasto sulla lingua fino al giorno dopo. Lo schiavo pregò che finisse

prima possibile.
“Ah!” disse alla fine Leah soddisfatta “Me l’hai fatta tenere per mezz’ora, lo sai? Lo senti come è

diventata bella fagiolosa in tutto questo tempo?”
Matteo non rispose. Non aveva neanche il coraggio di staccare le labbra dal suo culo.
“Ti ho fatto una domanda, merdina!” sbottò Leah cominciando a irritarsi “Rispondi!” e gli mollò in

bocca un’altra scoreggia, stavolta meno lunga della precedente ma bella potente, come uno schiocco

di frusta.
“Sì, signorina. L’ho sentito.” rispose
“Baciami il culo, forza!” ordinò lei sprezzante “Faccia di merda che non sei altro.”
Matteo baciò umilmente le piccole solide natiche di Leah, e non si azzardò a fermarsi prima che

glie lo dicesse lei.
“Adesso torna a lavoro, avanti!” gli disse piegando di colpo una gamba per dargli una pedata in

testa “Non puoi mica battere la fiacca! Io e mia madre abbiamo delle spese!”
“Sì, signorina.” rispose umile Matteo. E poi, a testa bassa, uscì.

“Ah! Ah! Povero coglione!” rise Leah appena Matteo fu uscito. Poi si rivolse a Carlo e Luciano “Ho

i talloni screpolati. Ciucciatemeli finché non diventano morbidi e lisci. FORZA!” ordinò.
I due obbedirono. Posarono i ventagli ma lei aggiunse: “Non vi ho detto di smettere di farmi

aria.”.
I due recuperarono subito i ventagli e, con molta difficoltà, ciucciarono i talloni di Leah mentre

continuavano a sventagliarla.
“Vi conviene che i miei talloni siano belli morbidi.” spiegò la ragazza “Perché ho intenzione di

prendervi a calci finché non mi implorerete di uccidervi con questi.”.
E, ridacchiando tra sé, si distese con una guancia appoggiata sulle braccia conserte. Si addormentò

cullata dal suono dello sciacquone che proveniva dal bagno, dove sua madre si stava ancora

divertendo a immergere la testa della sua ex-padrona nel water. Mentre dormiva Leah sognò tutte le

umiliazioni che avrebbe fatto subire a quei quattro stronzi nei giorni precedenti. Se li immaginò

ai piedi del tavolo costretti a nutrirsi solo delle sue scoregge, mentre lei e sua madre gustavano

le migliori leccornie. Si immaginò sua madre che cagava in testa alla signora Gaia, che da allora

in poi avrebbe fatto meglio a chiamare “schiva Gaia”. Si immaginò di prendere in bocca in naso di

Carlo e Luciano e ruttare con forza nelle loro narici.
La cosa migliore era che una volta svegliatasi avrebbe potuto realizzare tutti quei sogni. E molti

altri, naturalmente. Dopotutto quei quattro deficienti sarebbero stati i loro schiavi per tutta la

vita. Ah… che prospettiva meravigliosa!
 
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SM0K3
view post Posted on 24/9/2014, 02:04     +1   -1




Bello, grazie per averlo condiviso :)
 
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manservetta
view post Posted on 26/9/2014, 00:52     +1   -1




Spettacolare è il genere che amo continua avanti ..... bellissimo ti ringrazio
 
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Delicato.Autore
view post Posted on 26/9/2014, 01:19     +1   +1   -1




CITAZIONE (SM0K3 @ 24/9/2014, 03:04) 
Bello, grazie per averlo condiviso :)

Condividere i racconti è come rubare! :cry:

Ovviamente scherzo. L'ha comprato, può farci quello che ci pare. :lol:
 
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Flover_991
view post Posted on 26/9/2014, 09:03     +1   -1




Mephistofele, diglielo: "E c' mancass pur!" ahahah
 
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manservetta
view post Posted on 26/9/2014, 09:11     +1   -1




Amo moltissimo le storie con le donne di colore o straniere dove schiacciano sotto i piedi con razzismo gli italiani
 
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SM0K3
view post Posted on 26/9/2014, 10:34     +1   +1   -1




CITAZIONE (Delicato.Autore @ 26/9/2014, 02:19) 
CITAZIONE (SM0K3 @ 24/9/2014, 03:04) 
Bello, grazie per averlo condiviso :)

Condividere i racconti è come rubare! :cry:

Ovviamente scherzo. L'ha comprato, può farci quello che ci pare. :lol:

ahahah nono hai ragione, fossi in te riunirei gli scrittori del forum e farei una lettera di protesta bella e buona!
 
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view post Posted on 26/9/2014, 12:07     +1   -1

Professore/essa SM

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più che altro sono contento che il racconto sia piaciuto ...
l'hanno letto il 1000 e hanno ringraziato solo in 2 ,ma va bene dai ! meglio che niente :)
 
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manservetta
view post Posted on 26/9/2014, 23:11     +1   -1




Uno dei migliori in questo forum .... magari fossero sempre così
 
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view post Posted on 27/9/2014, 23:55     +1   -1
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bellissimo racconto, corto ma bello :-)
 
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9 replies since 22/9/2014, 20:00   3950 views
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